Si è spenta questa mattina Monica Vitti. Nata a Roma il 3 novembre del 1931 con il nome di Maria Luisa Ceciarelli. Scopre l’amore per il teatro sin da ragazzina quando la guerra faceva da padrona nella vita di tutti, gioco e recitazione erano compagni pomeridiani in cortile con gli amici. Attrice dal talento smisurato, musa di Michelangelo Antonioni, attrice per Mario Monelli, compagna di Albero Sordi nelle più intense pellicole della commedia italiana. Interprete di grandi film al fianco di Tognazzi, Manfredi, Gassman. Lei, nella sua lunghissima carriera, è attrice e regista. Con la sua capacità inesauribile di dar vita a personaggi intensi, particolari, veri, ha segnato un viatico indelebile nella storia del cinema non solo italiano. La notizia è stata data dal compagno Roberto Russo che attraverso l’amico Walter Veltroni ha affidato ai social la comunicazione. Con un Twitter Veltroni annuncia questa triste notizia: “Roberto Russo, il suo compagno di tutti questi anni, mi chiede di comunicare che Monica Vitti non c’è più. Lo faccio con dolore, affetto, rimpianto”. Monica Vitti è riuscita a dar voce e corpo alla donna borghese, popolana, senza alcuna difficoltà. Maestra per le attrici che nel corso degli anni si sono affacciate nel mondo del cinema è riuscita con la sua grazia, il suo carattere forte, la sua natura sensuale e spiritosa, la sua gentilezza e profondità, il suo sguardo enigmatico ma anche accarezzante a creare un genere recitativo che appartiene solo a lei. Gli ultimi anni della sua vita non sono stati generosi, una malattia degenerativa l’ha portata a ritirarsi dalla vita pubblica. La sua è una carriera straordinaria come solo le grandi dive possono vantare: 5 David di Donatello come migliore attrice protagonista (più altri quattro riconoscimenti speciali), 3 Nastri d’Argento, 12 Globi d’oro (di cui due alla carriera), un Ciak d’oro alla carriera, un Leone d’oro alla carriera a Venezia, un Orso d’argento alla Berlinale, una Cocha de Plata a San Sebastián, una candidatura al premio BAFTA. Se ne va un’antidiva, un’eccellenza italiana con la sua voce roca e gli occhi che bucavano lo schermo.
Un viaggio d’amore che, esperienza dopo esperienza, diventa perfetto
“Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo e unico (M. Buber)”. Daniela Poggi ha portato e porta nel suo essere nel mondo qualcosa di nuovo, qualcosa che la rende prima e ultima. L’amore che mette in ogni esperienza della sua vita richiama l’amore intenso narrato da Martin Heiddeger poiché, lei ben sa, che: “l’amore è un’esperienza più ricca di qualsiasi altra possibile esperienza umana e un dolce fardello per coloro che sono presi dal suo abbraccio? Perché diventiamo ciò che amiamo ma rimaniamo anche noi stessi (M. Heidegger)”. Questo è il viaggio d’amore all’interno del suo viatico vissuto che l’ha portata oggi a creare Bottega Poggi. Il suo modo, generoso e gentile, di ringraziare la vita con tutte le sue declinazioni e i suoi abitanti. Daniela ha l’innata capacità di tendere una mano, sempre e comunque, per questo e per molto altro ancora, è ambasciatrice non solo di Unicef ma di altre organizzazioni umanitarie. “Questo è il modo in cui l’amore inesorabilmente intensifica il suo segreto più intimo”, per interpretarla con una visione heideggeriana. In fondo, come Daniela sa che “Un destino umano si dona a un altro destino umano, e il compito del puro amore è di mantenere questo dare così vivo come lo era nel primo giorno (M. Heidegger)”. Il nostro incontro è stato un viaggio nel viaggio alla scoperta di due mondi apparentemente lontani che si sono intersecati e riconosciuti con la significante cifra del dialogo. Cara Daniela, sei attrice e conduttrice di programmi televisivi di successo, ma tu chi sei? Oh, che domandona! Sono una persona che cerca di pensare. Sono una donna, in una sola parola: una persona. Forte e determinata, delicata e gentile, passionale e vera, aggiungo io! Raccontaci la tua prima esperienza di attrice? A 15 anni ho interpretato Andromaca di Jean Racine, in francese. All’epoca ero in collegio. Cosa ricordi? Ho vissuto, per la prima volta, la vita di un’altra persona. Ho capito che c’era qualcosa di strano in me. Cosa significa “c’era qualcosa di strano”? A 15 anni entrare nella vita di una donna adulta che soffre, che prova un dolore enorme per un tradimento, per la morte di un figlio … ecco capirla, viverla, darle voce e anima è stata un’esperienza intensa che ha schiuso la percezione di qualcosa di particolare. Cosa hai pensato? Che non ero una ragazzina normale, non pensavo solo alla mia vita da adolescente ma c’era qualcosa in più. Ero un po’ particolare. Perché sei stata in collegio? Sono stata in collegio in due periodi distinti della mia vita: il primo periodo tra i 7 e gli 11 anni, vivevo una parte in collegio e l’altra fuori. Dopodiché ho fatto altri tre anni vivendoci, volevo studiare lingue. Com’è l’esperienza del collegio? Quando sono entrata frequentavo la seconda elementare, è stato devastante, molto doloroso, sono riuscita a convincere mia mamma a tirarmi fuori, così passavo metà giornata lì e l’altra fuori. I miei genitori erano separati, c’era una situazione complicata. La seconda volta, invece, la ricordo con soddisfazione. È stata un’esperienza anche goliardica, di grande cambiamento, una prova di autonomia e indipendenza, di ribellione e resilienza, di anarchia. Ho capito che nulla poteva sopraffarmi, che non poteva esserci niente e nessuno che mi avrebbe messo i piedi in testa, a meno che non lo scegliessi io. Quando hai deciso di fare l’attrice? Non credo di avere mai deciso, mi sento come una foglia che è stata trasportata dal vento, sono stata messa lì. Il mio sogno era quello di conoscere il mondo e soprattutto capire le persone, per questo ho studiato lingue, ho continuato a formarmi come interprete parlamentare e traduttrice. Invece? Non riuscivo a vivere in una società che mi imponeva delle regole che non si confacevano al mio modo di essere, così sono andata a fare la GO al Club Mediterranée in Tunisia. Sono stata via un anno. Nel Club mi hanno scelto per fare gli spettacoli serali agli ospiti. Da lì ho iniziato … seppur il palcoscenico, la passerella sono sempre stati mondi abbastanza frequentati nella mia gioventù. Cosa hai fatto? Ho iniziato a fare le sfilate che ero una bimbetta, avevo 7 anni, ho sempre continuato fino a 19 anni. Sono sempre stata posizionata in un mondo visibile all’altro sia recitando sia indossando un abito per una sfilata sia per comunicare qualche cosa. Il tuo impegno nel sociale è intenso, sei ambasciatrice dell’Unicef? Nella vita ho sempre cercato di prendere una posizione, non sono una vigliacca, forse è l’unico difetto che non ho. Sono una che ha sempre lottato per la giustizia sia per un’equità, una condivisione, ci ho sempre messo la faccia, mi sono sempre rimboccata le maniche, sono stata in prima linea a difendere un po’ tutto e tutti. Per questo sono stata nominata ambasciatrice dell’Unicef nel 2000. Sono anche testimonial di altre organizzazioni umanitarie. Cosa hai fatto per l’Unicef? Due missioni in Africa. Una profonda dedizione all’altro? Ognuno di noi, famoso o non famoso, ha il dovere di dividere la propria vita tra i propri impegni di vita privata e il resto del mondo. Altrimenti ti sei guardata l’ombelico e la punta dei piedi, e lì finisce il tuo mondo! Il tuo più bel “viaggio d’amore”? Il mio più bel viaggio d’amore l’ho fatto per raggiungere un ragazzo colombiano dopo che avevamo vissuto una storia d’amore meravigliosa, avevo 20 anni. Dall’Italia sono partita per la Louisiana vivendo con lui per un periodo. Tutto molto meraviglioso perché c’era la gioventù. Eravamo due persone completamente diverse l’una dall’altra che avevano solo voglia di amarsi. E poi c’era l’amore giovanile che rende tutto possibile, perché non hai ancora i fantasmi dentro di te. Perché “Non si paga Social Theatre”? Il cortometraggio! Esatto. Ti ringrazio che me lo chiedi. Ho vinto un bando ministeriale sul tema di quanto il teatro può essere importante come riscatto da una situazione di indigenza. Avevo già scritto la sceneggiatura di un film da girare in Mozambico, tratta da
Così è se vi pare: trecento pagine per mettermi a nudo
“Ognuno ha dentro di sé un mondo immenso da raccontare”. È grazie a quel mondo che la persona può riconoscersi riconoscendo l’altro da sé attraverso il riconoscimento vissuto sin dal suo arrivo nel mondo della vita. Una creatura quando giunge nel mondo conosce solo la percezione corporea e l’odore della madre, ha in sé l’esperienza del mondo in utero con le sensazioni e percezioni vissute di quello spazio ristretto dove nutrimento e amore non mancano. Poi arriva la vita nel mondo, le declinazioni cambiano, le atmosfere si modificano, gli odori e le voci si sommano, gli stimoli sono tanti e il ricordo di quel mondo acquatico resta nelle proprie cellule. Adesso c’è da fare i conti con il mondo della vita e i suoi abitanti. Così l’esistenza accade partendo da quel primo momento di contatto con l’altro: la madre. Da quel momento il piccolo cucciolo d’uomo dovrà fare i conti non solo con la sua natura ma anche con le ingiunzioni dell’altro, dell’ambiente. Esperienze intense, a volte, profonde e dissonanti dal proprio essere. Allora, solo allora, il mondo si oscura, diventa amaro, si inaridisce all’interno di meccanismi di difesa che sfiniscono e portano a perdersi. La spinta alla sopravvivenza è più forte così Ciaula può davvero scoprire la sua luna e incamminarsi in un viatico nuovo, scoprendo quei sorrisi, quei sapori, quelle atmosfere che aveva negato a sé. Il viaggio di Stefano mi ha emozionata, questa intervista mi è entrata nelle viscere, ha scosso come uno tsunami le mie emozioni, mi ha aiutato a comprendere ancora di più il mondo di chi come lui vive la sua dimensione. Stefano non solo è un grande uomo, è un marito speciale e un padre difficile da trovare. Sua figlia ne è la custode e la fortunata compagna di viaggio in questa mondanità che spesso perde la sua cifra significante nel chiacchiericcio di un insignificante senso comune. «Papà, voglio che tu sappia che anche se ti vesti da donna per me sei una persona normale, e soprattutto un papà meraviglioso», che dire di fronte a tanta saggezza? Non resta che leggere, assaporare e raccogliere come un dono prezioso il regalo che Stefano Ferri ci fa della sua esperienza di vita. Caro Stefano, sei un imprenditore di successo, hai una moglie, una figlia, sei eterosessuale, ma adori i tacchi a spillo e il tubino, perché? Per spiegare compiutamente la ragione ho dovuto scrivere un romanzo autobiografico (Crossdresser–Stefano e Stefania, le due parti di me, Mursia Editore). Però, in linea di massima, qui posso dire che questo è il mio modo di integrare la parte maschile e quella femminile. Ciascuno di noi, psicologicamente parlando, è un po’ maschio e un po’ femmina, nessuno può vivere se non avendo raggiunto il perfetto incastro fra questi due lati della sua personalità. In genere è un incastro che si raggiunge durante l’infanzia e, in seconda battuta, nell’adolescenza, non per caso età di profonde scosse interiori. In me, che non ho vissuto l’adolescenza (spiego nel libro perché), la fusione fra il maschile e femminile si è manifestata nell’età adulta. Così. Ma tu chi sei? E dove sei? Io sono Stefano. Solo Stefano. Uomo, etero, padre e marito. L’esatto contraltare di una donna in giacca pantalone e mocassini. Di nessuna si pensa che sia lesbica né se ne nega la femminilità per il solo fatto che si veste così. Il pregiudizio per cui, viceversa, un uomo in gonna e tacchi negherebbe la propria virilità è dovuto a un fatto culturale, transitorio: le tuniche al ginocchio sono state parte essenziale del guardaroba maschile per millenni, nemmeno per secoli, e nel Settecento gli uomini con lignaggio nobile portavano tacchi. 5 aggettivi che parlano di te? Umile. Coraggioso. Tenacissimo. Testardo. Ribelle. La tua passione più grande? Oh, ce ne sono tante. La musica dei Beatles. Le macchine di grossa cilindrata. I film d’azione, e segnatamente quelli di Stanley Kubrick e di Quentin Tarantino. I romanzi mozzafiato. Un libro per raccontarti, perché affidare alla narrazione la tua storia? Ciò che è viscerale è difficile da condividere se non a valle di una “full immersion” nell’animo e nella vita. Immagina di leggere lettere d’amore di gente di cui non sai nulla: non ti farebbero ridere? Lo dice anche una canzone di Vecchioni. Ho avuto bisogno di trecento pagine per mettermi a nudo, raccontare le nefandezze che ho subito (e anche quelle che ho commesso – non sono un santo) a causa del crossdressing, così che quando, nelle ultime pagine, svelo il mistero sul perché, nessuno ride più. Ho portato il lettore dalla mia parte, l’ho incoraggiato ad ascoltarmi e capirmi a fondo. Peraltro, è un esercizio che suggerirei a tutti. Ognuno ha dentro di sé un mondo immenso da raccontare. Qual è la tua verità? Non è “mia” ma assoluta: che siamo tutti soltanto persone. Andremmo classificati non come uomini, donne, gay, lesbiche, trans, cross, neri, gialli ecc. bensì esclusivamente come persone, accomunate dall’appartenenza alla razza umana. Le differenze di cui sopra vengono a valle e giammai possono costituire motivo di discriminazione né tantomeno di violenza. Ognuno di noi ha in sé una parte femminile e una maschile, in te la parte femminile sembra avere la necessità di presentarsi al mondo in tutta la sua variegata declinazione? Sì. In realtà la cosa fa notizia solo perché sono un uomo, e gli uomini hanno paura di esternare condizioni come la mia, preferiscono reprimerle, così condannandosi a una pericolosa infelicità permanente. Se una donna esibisce la sua parte maschile (e lo fanno in tantissime), nessuno dice nulla. Cosa hai fatto per comprendere la tua natura, chi ti ha aiutato? La psicoterapia. Ho avuto la fortuna di venire ben consigliato ed essere assegnato a una psicoterapeuta estremamente preparata, priva di pregiudizi e assai fattiva nel condurmi al fulcro della questione. Con lei ho ricostruito la mia infanzia e i processi inconsci da cui il mio carattere ha origine. Noi viviamo in una società che crede di essere aperta ma in realtà è ancora molto
Il segreto del successo è non crederci
“Cambiano i cieli sopra di noi ma non cambiano le emozioni” scrive Seneca, quelle ce le portiamo con noi ovunque andiamo. Matteo Viviani sa bene quanto sono preziose le emozioni che forgiano un individuo nel suo sviluppo, nella sua prima età. Poi, la vita accade, forma e trasforma, si aprono itinerari imprevisti ma voluti, l’incognita dell’essere si fonde e confonde con quella del crearsi una professione che sia nutritiva e soddisfacente. Nel suo andare nel mondo incrociando persone, esperienze, sensazioni, Matteo tesse la tela del suo successo, costruisce il suo porto sicuro con Ludmilla, dona la vita a due splendide creature che sono faro e approdo della sua esistenza. In fondo, nonostante il successo, lui racconta: “Desidero un punto di arrivo che non corrisponde a dire: cavolo sono un figo. Corrisponde al desiderio di arrivare ad avere una condizione di estrema serenità”. La serenità, quel prezioso gioiello che i suoi genitori sono stati capaci di donargli e che, adesso, lui desidera donare ai suoi figli, a Ludmilla, alla sua famiglia. La vita è un andare e tornare nel mezzo c’è solo l’accadere dell’esistenza. Caro Matteo, grazie per questa intervista ne sono felice, ci racconti qualcosa di te che gli altri non sanno? Dipende da dove vuoi partire? Dalla tua vita? Chi è realmente Matteo? Sono un insieme di cose. Cosa vuoi dire? Nel senso che … ci sono persone che nascono, crescono sin da piccoli con l’aspirazione di arrivare a un tipo di professione come può essere la mia facendo tutto un percorso definito e pianificato fino a giungere a una determinata realtà come il cinema, il teatro, la televisione. Io sono un po’ il contrario. Ovvero? Mi sono diplomato all’Istituto d’Arte, sono un Maestro d’arte e designer orafo, così c’è scritto nel diploma (sorride). Maestro d’arte e poi? Poi, ho fatto un sacco di cose. “Un sacco di cose” …? Ho avuto una piccola azienda orafa, poi mi sono dedicato alla pittura. Cosa dipingevi? Facevo la riproduzione di opere a partire dall’800 fino alle avanguardie del ‘900, olio su tela, tutte su commissione. Così dipingevo queste grandi tele. E poi? Verso i vent’anni mi è scattata una molla, sostanzialmente tutto andava troppa bene! “Tutto andava troppo bene”, non eri contento? So che sembra un paradosso! Vivevo una situazione meravigliosa in casa, avevo una famiglia stupenda con cui andavo d’accordo. Avevo un lavoro che mi piaceva, tutto sommato guadagnavo bene, avevo una fidanzata, insomma a vent’anni sentire che tutto andava bene mi creava ansia. Che ansia avevi? La mia paura era: se va bene io rimango sempre qui e fuori so che c’è un mondo immenso che io non assaggerò mai. Nella tua bio c’è scritto “poi un giorno gli parte un embolo” cosa è successo? Ho mollato tutto e sono partito per Milano senza avere un’idea chiara di quello che avrei fatto. A Milano come ti sei mantenuto? Ho fatto il cameriere per un anno e mezzo in condizioni abbastanza particolari. I primi tempi dormivo in macchina, nonostante le difficoltà ero animato dall’intenzione ferrea di voler far qualcosa, di cambiare la mia vita concretizzando qualcosa. Perché Milano? Milano era un crocevia importante, in qualche modo dovevo inserirmi in questo mondo. Ero un ragazzo cresciuto in campagna, avevo conosciuto una realtà molto ristretta. All’inizio mi sono sentito un pesce fuor d’acqua. Premesso che quando studiavo ad Arezzo, scusa la retromarcia, ho fatto per quattro anni il cameriere a La Capannaccia. Dai miei 14 anni fino ai 18 mi sono mantenuto agli studi lavorando tutti i fine settimana. A Milano cosa accade? Dopo un anno e mezzo ho avuto la possibilità di iniziare a fare il ballerino in discoteca, da lì ci sono state altre attività lavorative folkloristiche e poi, piano piano, ho iniziato a fare i primi lavori come modello. Lavoro che, a mano a mano, si è sviluppato divenendo per un periodo la mia unica professione. Per chi hai lavorato? Ho avuto la fortuna di lavorare per Moschino, Ferrè, Trussardi, Versace, Cerruti, Pignatelli ed altri stilisti, sostanzialmente era la mia professione. Nulla fino a qui poteva far pensare che sarei approdato a una trasmissione come Le Iene. Invece la vita crea itinerari imprevisti? Tutto pensavo meno che alla carriera televisiva perché lavorando come modello avevo dei periodi liberi dove cercavo di costruire una realtà lavorativa parallela. Così aprii varie attività, iniziai a sperimentarmi anche in altri settori. Cosa che fa sempre bene, se non ti porta il guadagno ti lascia esperienza. Un giorno iniziai a fare l’attore per “Scherzi a parte”, andò abbastanza bene, tanto che un giorno conobbi un autore che all’epoca lavora a Le Iene. E cosa accadde? Lui doveva girare un pezzo per Le Iene, non riusciva a trovare un inviato con le mie caratteristiche, mi chiese se fossi disposto a provare. Tutto emozionato accettai. Le Iene era l’Olimpo. Cosa hai pensato? È arrivata la svolta! Lasciai tutto, mi concentrai su questa nuova situazione lavorativa, andavo in redazione ogni giorno e cercavo di assimilare più informazioni ed esperienza possibile. Che cosa sono Le Iene? Sono un laboratorio complesso, difficile in cui ho potuto fare la vera gavetta, imparando un mestiere considerando che non ho un trascorso né come giornalista né come attore. I primi due anni ho fatto solo sei servizi, non è stato facile ma da lì … Arriva la svolta? Feci il famoso servizio “Droga in parlamento” che ebbe un eco mediatico molto forte tanto da siglare il mio passaggio ufficiale o meglio mi feci considerare un po’ di più all’interno della redazione. Da lì sono passati quasi 15 anni. E poi arriva l’amore della tua vita? Arriva Ludmilla, il grande amore della mia vita, che segna un cambio di direzione epocale. Perché? Fino a quel momento ho vissuto la vita un po’ a modo mio. Con Ludmilla arriva quel famoso click che fa cambiare direzione, un itinerario che auguro a tutti di vivere prima o poi. Ludmilla ha scelto l’arte? È una super pittrice, molto affermata. Prima lavorava nel mondo
C’è sempre un viatico nuovo da percorrere
“Solo all’andare si fa il cammino” scriveva Antonio Machado, ed è proprio così! Qualunque sia la meta il cammino si andando e incontrando l’altro nella declinazione variegata della vita. Olga de Maio e Luca Lupoli, due voci della lirica famosi in tutto il mondo presentano un progetto particolare ma al tempo stesso avvincente. La musica lirica prende sottobraccio il pop creando un algoritmo perfetto di melodia, emozioni e armonia. Il nuovo progetto discografico vede uniti due generi, pop e lirico, in un singolo dal titolo “Niente è niente”. Potremmo aprire un capitolo infinito già solo sul titolo che raggruppa il poderoso lavoro di due straordinarie voci: il soprano Olga De Maio e il tenore Luca Lupoli. Non solo sono famosi in tutto il mondo ma abbracciano e rappresentano la storica Associazione Culturale Noi per Napoli. Con il cantautore italiano Paolo Audino, autore di brani di successo scritti per nomi quali Celentano, Mina, Minghi, Bocelli, hanno lavorato a un progetto che vede la luce dal titolo “Niente è Niente”, per l’etichetta di Kicco Music. Questa è la loro seconda esperienza, hanno infatti lavorato insieme per “Anche quando non vuoi” (musica di Nando Misuraca). In questo lavoro il tema centrale è l’amore in tutte le sue espressioni soprattutto verso l’arte musicale e canora. Paolo Audino ha scritto testo e musica pensando ai due artisti partenopei Olga De Maio e Luca Lupoli, l’arrangiamento è a cura del M° Paolo Rescigno. Aspetto centrale del lavoro è il significato e la cifra mantrica della musica che è cura e al tempo stesso appartenenza. In fondo non dobbiamo mai dimenticare che “in un’opera, a teatro – dice Olga de Maio – si racconta una storia con scene, costumi e regia, nella canzone ed attraverso un video si racconta una storia, allo stesso modo con musica e testo”. Ciò che emerge è qualcosa di particolare, intenso, vibrante che instaura “un dialogo con un pubblico diverso, magari poco o per nulla abituato al genere lirico”, aggiunge Luca Lupoli. Tutto questo appartiene all’andare della vita, alla sperimentazione dei luoghi, delle persone, delle situazioni, delle atmosfere poiché in ogni espressione musicale sia essa classica, pop, rap, “nulla è vissuto tanto per, c’è una motivazione dietro una scelta, errata o giusta che sia a segnare il proprio cammino”, prosegue Paolo Audino. La magia di questo lavoro sta proprio qui nell’esserci di là da ogni forma canonica di appartenenza.
Clara Bona: l’architetto dei sogni
Uno spazio accogliente deve avere personalità, nulla deve essere lasciato al caso, nemmeno quella rifinitura che sembra essere capitata e non scelta. Le linee zigzaganti della propria essenza creano l’algoritmo perfetto per far sbocciare il proprio spazio perfetto. Clara Bona ben sa quanto è importante la propria dimora, il proprio spazio vitale che si coniuga con la propria natura declinandosi in un discorso intimo ed esistenziale. Lei a Milano è famosissima. Una carriera eccellente che l’ha portata a firmare le dimore più prestigiose non solo di Milano ma anche di molte parti del mondo. Alcune si possono ammirare nelle più importanti riviste di design e architettura internazionali. Clara non è solo un eccellente architetto, è giornalista, interior designer, lifestyle. Presta la sua penna a molte riviste del settore, settimanali e magazine importanti. Per il Corriere della Sera firma una rubrica su Cook dove parla di cucine. Architetto, interior designer, lifestyle, giornalista, fonte di ispirazione per molte persone, chi è Clara Bona? Sono tutto quello che hai scritto, ma sono anche una moglie e una mamma. E ho cercato di conciliare vita privata e professione in modo bilanciato, per ritagliarmi sempre momenti da dedicare alla famiglia, ai viaggi, alla lettura, all’arte… Perché ha scelto di studiare architettura? Ho fatto il liceo artistico e architettura era lo sbocco più diretto da questo tipo di studi. Poi ho scoperto l’interior design e ho approfondito per conto mio, in quanto in quegli anni non esistevano corsi dedicati all’argomento: architettura ti preparava a costruire palazzi, scuole, ospedali… ma non in maniera specifica all’arredo e alle case. 5 aggettivi che rappresentano la sua professionalità? Creatività, ascolto, passione, curiosità, serietà. Esiste la casa perfetta? Esiste la casa perfetta per ognuno di noi, quella in cui ti senti bene, che rispecchia sogni e desideri ma anche funzionalità e esigenze. Non esiste la casa perfetta in assoluto. Quando arreda una casa si ispira a uno stile preciso? Mi ispiro allo stile che vedo giusto per quel tipo di casa e per chi ci abita. Il contesto è molto importante. Le persone cosa chiedono? Le persone hanno, a volte, molte idee ma confuse, altre non hanno proprio idee… dipende molto dai casi. Ma quasi tutti chiedono una grande doccia, una cucina con elettrodomestici di ultimissima generazione, vogliono la TV ma non vogliono vedere, una cabina armadio super attrezzata, vetrate al posto di muri nella zona giorno…. Quanto è importante la luce in un appartamento, in una villa? Importantissima. Luce naturale e orientamento sono fondamentali. Così come è importante un buon progetto illuminotecnico, soprattutto dove ci sono carenze. 3 consigli per ridare freschezza al proprio appartamento? Cambiare i colori, alleggerire arredi e accessori, puntare su tessuti naturali Ci sono regole per creare spazi accoglienti? Uno spazio accogliente deve avere personalità, per arrivare a questo si devono capire gusti e passioni di chi ci vive. E automaticamente lo spazio diventa caldo e accogliente. Quanto è importante la zona giorno? Dipende. C’è chi la usa pochissimo… E la camera da letto? Per me è molto importante. È dove passo più tempo quando sono a casa… La stanza guardaroba di Carrie Bradshaw sogno o realtà? Per quasi tutte è un sogno … che, a volte, si può tradurre in realtà. In una casa quanto è fondamentale avere una zona relax? Se si riesce a creare una zona relax è meraviglioso… a volte basta un piccolo angolo, ma tutto per noi. Se un appartamento è piccolo si può trovare spazio essenziale per sé stessi? Si può, è più difficile ma si può. Stiamo vivendo un periodo difficile è cambiato qualcosa nelle richieste delle persone che decidono di ristrutturare casa? Tutti vorrebbero un piccolo spazio all’aperto. E un luogo dedicato dove lavorare da casa. Mare, montagna città la sua località preferita è? Mare. Perché? Mi mette pace, guardare il mare soprattutto d’inverno è la cosa che più mi rilassa. Gli angoli di Milano che più ama? Amo Milano, la conosco bene anche perché per 15 anni ho scritto per Vivimilano… Amo i suoi cortili segreti, gli androni, i piccoli negozi che non sono catene, le gallerie d’arte. E il suo cagnolino, ci racconta qualcosa? È un Jack Russell a pelo ruvido, si chiama Lou Lou, ama seguirmi sempre, anche in moto salta nel cestino per venire con me. Le nuove tendenze targate 2022? Uno stile più naturale, linee più tondeggianti, colori più soft. Il colore che più ama? In questo momento il rosa cipria, il mattone e il verde militare. In generale tutti i verdi polverosi e l’azzurro scuro. E il bianco, sempre. Cosa non rinuncerebbe mai ad avere in casa? La vasca da bagno. Come nasce il suo profilo IG? Per caso, me lo ha aperto mia figlia in una vacanza in India tanti anni fa. Mi ha subito appassionato e divertito. E la sua esperienza come influencer? Non mi considero un’influencer, sul mio profilo parlo del mio lavoro, di quello che mi piace, di cosa faccio, di una bella mostra che ho visto, di un posto in cui sono stata e che per me vale la pena vedere. E in molti mi scrivono che sono di ispirazione, mi chiedono consigli… Quanto è importante la rete e il mondo Social per il suo lavoro di architetto? Moltissimo. La carriera giornalistica come nasce? Nasce parallelamente al mio lavoro di architetto, ho sempre amato scrivere e l’ ho sempre fatto, sono iscritta all’albo dei giornalisti ormai da 30 anni… I Millennials che tipo di casa cercano? Non c’è una richiesta univoca… Le sue più grandi passioni? I viaggi. Lei è per “buona la prima”? Sempre! È vero che ogni donna rispecchia la propria casa? Non sempre è così… ma per me lo è. Come si riconosce un appartamento stiloso? Quando non è la copia di qualcosa di già visto, e ha uno stile tutto suo, ovviamente di buon gusto… La vita è densa di intemperie, tuttavia, l’importante non è quante volte si cade ma come ci si rialza,
L’eleganza e la raffinatezza di Simona Bertolotto
Cambiare radicalmente vita si può, inseguire i propri sogni pure, inventarsi una professione dal nulla quado ormai i figli sono grandi e lasciano il nido per volare in altri territori è altrettanto possibile. Non si finisce mai di imparare e c’è sempre un territorio nuovo da scoprire basta armarsi di entusiasmo, pragmatismo, positività, empatia e altruismo. Sono questi gli ingredienti che fanno di Simona Bertolotto una figura influente nella fitta trama dei Social. Lei con il suo profilo @sissiottostyle ha un nutrito numero di seguaci cui regala ogni giorno i suoi suggerimenti insegnando che si può creare un outfit raffinato ed elegante, glamour e fashion anche solo con 53 euro. Una donna che ha fatto dello stile la sua carta vincente. Raccontaci di te? Sono una donna che ha raggiunto, finalmente, la sua amata libertà. Ogni giorno mi circondo di bello e mi faccio circondare dal bello. 5 aggettivi che ti rappresentano? Positiva, pragmatica, empatia, altruista, entusiasta. Chi è @sissiottostyle? Come ti ho detto … sono una donna libera che condivide il bello “Sissi” perché? Sissi da Simona e otto da Bertolotto. Come nasce il tuo profilo IG? Nel 2017 per caso, senza meta, solo il mio gusto. E la tua esperienza come influencer? Termine che faccio fatica a digerire, collaboro con brand e aziende che seleziono. Quanto è importante la rete e il mondo Social? Oggi molto, è il nuovo canale comunicativo. Cosa significa essere influencer oggi in questa epoca 2.0? Significa donare e condividere il tuo mondo. Il limite però lo stabilisci tu! I Millennials cosa pensano di te? Ormai si sono abituati all’idea. A chi ti ispiri? Alle donne del passato. Femminili ed eleganti. Le tue più grandi passioni? La fotografia, i viaggi oltre che la moda. Che stile proponi? Uno stile senza tempo, non seguo molto le mode. Mescolo brand di ricerca con il vintage e il fast fashion. Perché: “buona la prima”? Perchè l’errore e il difetto fanno parte dì noi. Soprattutto perché: “Never too late never too old”? Perchè così è successo a me. A 46 anni la vita si è stravolta. Per essere eleganti bisogna investire molto denaro? Assolutamente no! Sono andata al matrimonio di mia sorella con un outfit di 53euro. Basta il buon gusto. L’eleganza che cos’è? L’eleganza è il giusto equilibrio, l’armonia e il portamento. Perché la scelta di lavorare con piccoli brand emergenti? Da sempre ho preferito la nicchia alla massa. Secondo te come si fa a conquistare Vogue? Sono nel portale di Vogue come photovoguer. Anche questa è una conquista. Meglio vintage, basta che sia fatto con stile? Il vintage va dosato ancora di più con il passare degli anni. Consigli per acquistare in un negozio vintage? Capi tendenzialmente senza tempo. Dai trench alle camicie di seta. Le cose da evitare in un negozio vintage? Se sei giovane va bene quasi tutto a 50 anni passerei agli accessori: borse, occhiali, cappelli e bijoux. È vero che ogni donna è bella nonostante le sue imperfezioni? Soprattutto quelle! Ci permettono di essere uniche. Curvy o minimal? Sono stata curvy fino a 6 anni fa, portavo la 44/46 e sono minimal oggi (porto la 40/42). In entrambi i casi mi piacevo. Che cos’è la bellezza? La bellezza è vivere serenamente e con orgoglio ogni fase della propria vita. E il fascino? Il fascino è l’insieme di molte cose, il portamento, lo sguardo sicuro mai sfacciato, l’ironia, un pizzico di dolcezza e l’intelligenza a condire il tutto. Come si riconosce la donna stilosa? Una donna che si riconosce in quello che indossa. Che cosa c’è nel “decalogo della donna stilosa”? Sicuramente il giusto equilibrio in quello indossa. Togliere è molto più difficile che aggiungere. Ci hai insegnato che si può andare a un matrimonio spendendo pochissimo, come si fa a scegliere bene? Affidandoci al vintage si può essere originali ed uniche spendendo poco. La vita è densa di intemperie, tuttavia, l’importante non è quante volte si cade ma come ci si rialza, sei d’accordo? Tendenzialmente ho bisogno di cadere per rialzarmi con molta più grinta dì prima. Che cosa rappresenta nell’immaginario collettivo la sensualità? Sensuale è far parlare la parte femminile di sè senza mai cadere nella volgarità. Come coniughi vita privata, lavoro, figli, cagnolino e social? Figli ormai grandi che vivono fuori casa, Teo lo lascio in mani amorevoli, la vita affettiva manca perché non semplice da inserire, in fondo a qualcosa bisogna pur rinunciare. Hai tempo per te? Più tempo per me … è la mia mission del 2022. La cosa che più ami fare? Camminare sola con la musica nelle orecchie e il naso all’insù. Quello che non avresti mai voluto fare nella vita? Vivendo d’istinto non mi sono mai pentita di molto. I tempi corrono e tu adesso dove sei? Sono a metà della vita. “Cogli l’attimo” o “lasci che sia”? Sempre e soltanto l’attimo senza pensarci troppo. Un sogno nel cassetto? Un format televisivo. Ultima cosa: da grande cosa farai? Inseguirò la felicità e cambierò città o stato.
Nasce l’Accademia di giornalismo per i giovani disabili
Ogni itinerario di vita ha il suo perché. Questo progetto nasce da un’idea di Michel Emi Maritato Presidente di AssoTutela. Ben sappiamo quanto “i giovani disabili sono un capitale umano da salvaguardare e avviare al lavoro”. Un progetto ambizioso, non facile, ma volto a dare a queste persone una risorsa in più al fine di costruire con e per loro un viatico avvincente e ricco di soddisfazione. Il progetto nasce dal desiderio di offrire ai “disabili, non soltanto solidarietà perché giovani meno fortunati con difficoltà nell’accesso al lavoro” bensì è volto2” a recuperare questo prezioso capitale umano e sociale con un progetto che investirà tutta l’Italia”. Lo dichiara il presidente di AssoTutela Michel Maritato che spiega: “Sta partendo a Roma e Milano l’Accademia di giornalismo, un piano ambizioso che vedrà la luce grazie all’impegno di AssoTutela e la determinazione con cui la nostra associazione segue da tempo coloro che da soli non ce la farebbero mai. Affiancati da Consap sindacato di Polizia e dall’Oasi Park spazio giochi sulla via Tuscolana, stiamo promuovendo i corsi per i giovani disabili e per gli invalidi del lavoro presso la sede dei quotidiani “Vento Nuovo” a Roma e “Milano Free” nel capoluogo meneghino, che vedono tra i docenti i giornalisti più qualificati, con il patrocinio delle istituzioni locali. I partecipanti saranno individuati previo colloquio con la psicoterapeuta e giornalista Barbara Fabbroni, per una valutazione a tutto campo sul percorso da intraprendere. Ė la nostra risposta – insiste il presidente Maritato – all’impotenza di amministrazioni che vedono nell’assistenza ai più svantaggiati soltanto un compito caritatevole, senza coltivare le minime ambizioni di tali persone. Non si può sempre prospettare un futuro nero per giovani che serbano in sé un intrinseco valore e la volontà di andare avanti. Dobbiamo porre un argine alla colpevole dispersione di un capitale umano di grande valore”.
La creatrice delle stelle: Alessandra Fontana
“Seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è (Edoardo Bennato)”. Invece l’isola c’è, lo dimostra Alessandra Fontana con la sua creatività raffinata e delicata, avvolgente e glamour. Uno stile, il suo, che regala quel tocco di novità amalgamato a confort e innovazione, attenzione per il particolare e rispetto della manifattura. Alessandra sceglie il suo viatico credendo in un sogno che è diventata la sua realtà di vita. Un sogno costruito a piccoli passi senza mai perdere di vista la stella buona del mattino. Chi è Fontana designer? Sono Alessandra Fontana, nata a Milano negli anni ’70, grafica (ex dipendente), amante del lettering, del fashion designer e t-shirt addicted. Come nasce il suo brand? Nel 2015 decido di licenziarmi e dedicarmi al mio s nel cassetto: creare t-shirt! 5 aggettivi che rappresentano il suo stile? Basico, minimale, comodo, essenziale, colorato. Come prendono vita le sue collezioni? L’idea può nascere da un ragionamento su un capo che mi piacerebbe avere ma “come dico io”, oppure arriva all’improvviso magari per strada vedendo un particolare o scorrendo qualche immagine in rete… Perché T-Shirt stellate? La prima nata è stata la Felpa, dai suoi scarti di taglio ho creato la stella. La stella è un simbolo universale, porta fortuna, fa sognare e mi ricorda la mia mamma… E non solo, anche outfit confort? Si, è lo stile che adoro, in cui mi sento di stare bene e così voglio far stare le mie clienti, avvolte in un capo che le valorizza, in un colore che amano. La parola “Comfy” relativa a indumenti comodi, con cui sentirsi facilmente a proprio agio si armonizza insieme alla parola “Chic” per celebrare uno stile rilassato ma con gusto, dotato di praticità ed eleganza. Ciò che viene esaltato è la morbidezza dei tessuti, lo charme dei modelli. Di fatto una T-Shirt che cos’è? La t-shirt è da sempre un capo icona che non passerà mai di moda. Ma trovare quella giusta non è facile come sembra …Sta tutto nel saper scegliere il modello che deve essere slim ma non troppo aderente … e che sia morbida, anzi, morbidissima! Quindi, assolutamente cotone 100%, meglio ancora se organico, fiammato o bio … Lasciata così o personalizzata lo decideremo insieme. Ci può raccontare delle sue felpe? La Felpa Flash Dance nasce da un’amica sarta che mi ha aiutato a muovere i primi passi in questo fantastico mondo del fashion design! In seguito da me rivisitata e affiancata dall’Élite a collo alto. Sono “felpe e non felpe”, quelle che in giro non trovi, tagli particolari e dettagli ricercati ma allo stesso tempo semplicissime. La Flash Dance è più over e veste tutte, sta bene a qualsiasi donna, piace a tutte, più corta davanti e più lunga dietro sa vestire fisicità diverse. La Élite è più di nicchia, a collo alto, maniche a campana, più chic. Utilizza tutti materiali di alta qualità e soprattutto italiani? La scelta dei tessuti è importantissima. Utilizzo solo cotone 100% o al massimo fibre naturali. Faccio lunghe ricerche e prove sia su di me sia in lavatrice prima decidere. Nella mia Milano c’è parecchia scelta di tessuti Made in Italy. I suoi prodotti sono realizzati in Italia? Realizzo tutto da sola, l’idea, il cartamodello, il taglio e l’assemblaggio. Mi avvalgo di una fantastica aiutante solo per cucire. Cosa rappresenta per lei la moda? La moda mi permette di esprimere la mia personalità, le idee, la creatività che ho dentro, di indossare il colore che rispecchia il mio oggi, tutto questo è troppo divertente! Ha un’icona cui si ispira? Più uno stile che un’icona, un po’ maschile, a volte, quasi unisex, sempre super comodo e ricercato. Le donne, oggi, cosa cercano dalla moda? Cercano sé stesse, si identificano in uno stile, lo seguono ma vogliono anche personalizzare per sentirsi uniche e protagoniste. Qual è la donna tipo che può vestire Fontana designer? Capita anche la ragazza che apprezza i tessuti di qualità rispetto al fast-fashion ma principalmente è una donna dai 40 anni in su di qualunque fisicità. Su richiesta posso anche realizzare capi su misura se le taglie in campionario non soddisfano il bisogno della cliente. Una donna è davvero stilosa anche con un T-shirt o una felpa? Certamente, abbinata al giusto capo puoi creare il tuo stile! La t-shirt sotto la giacca elegante, la felpa con il cappuccio (new entry in arrivo) sotto un cappotto, il pantalone della tuta con un importante dolcevita in cachemire… infinite combinazioni con i capi del tuo armadio. Perché dovremmo acquistare i prodotti di Fontana designer? Per l’unicità sia del taglio sia dei dettagli oltre che per i tessuti di qualità che durano nel tempo. È più artigiana dei sogni o coglie la tendenza del momento? Direi entrambe, non bisogna mai smettere di sognare ma sempre attente al mondo che ci circonda! I Millennials cosa pensano di lei, di questo stile morbido e avvolgente, sportivo e raffinato? E le Perennials? Quelle che non hanno ben chiaro il loro stile spero che possano ispirarsi, alle altre spero di fornire qualità e innovazione per essere sempre al passo con i tempi. Quanto nella moda c’è bisogno di singolarità e unicità? Tantissimo, infatti mi piace consigliare di mixare i miei capi con quelli che già hanno nell’armadio, faccio spesso delle storie ispiratrici in Instagram. Minimal o classico, dove si riconosce? Minimal! Dove si trovano le sue creazioni? In Instagram sul mio profilo “Fontana_Designer” nelle storie in evidenza si possono scoprire tutti i capi. Per provarli a Milano ad Arkivio Showroom aperto al pubblico dal mercoledì al sabato dalle 10,00 alle 19,00 (meglio previo appuntamento direttamente con me). Ha delle testimonial? Me stessa e mia figlia, la mia modella personale (quando si fa fotografare!). Che cosa non deve mai mancare nell’armadio di una donna stilosa? “La moda sta vivendo una nuova era in cui non ci sono più regole. Tutto ruota attorno allo stile personale di ciascuno” …Disse uno stilista… Quanto è importante la rete
Io non cambio mai
“Pazza ero e pazza sono rimasta” ma la follia si sa è la caratteristica delle menti geniali. Non può esserci arte senza quel brivido di pazzia che conduce a vedere oltre il limite della coscienza comune. Giovanna Nocetti, in arte Giò, è un’artista dalle mille declinazioni esistenziali dove come unica bussola ha l’amore per la musica e il canto. La sua vita è stata ed è un itinerario virtuoso dove le esperienze fanno da corollario alle emozioni che si rinnovano di giorno in giorno armonizzandosi con la sua anima generosa, sottile, eclettica, creativa. La sua è una carriera infinita, una storia narrativa di cultura, musica e parole, dove tutto acquista un sapore di generosità e amore, passione e follia, determinazione ed emozione. Incontrarla è accedere a un mondo nel mondo, dove nulla è scontato ma acquista un significato denso della sua cifra inafferrabile. Raccontaci di te, così tanto per iniziare? Ehehe, non è semplice raccontare di me, ci vorrebbe almeno un paio d’ore e quattro libri. Però posso dirti che sono pazza, ogni mattina inizio una nuova vita. Un ricordo di quando eri bambina? Ero una monellaccia, un ragazzaccio. Giocavo per strada, allora si poteva. Nata e vissuta a Viareggio fino a quando non sono venuta ad abitare a Milano. Ero una bambina come tante altre, solo un po’ più sfrenata, capatosta. Come nasce il tuo amore per la musica? Ci vorrebbe un libro per raccontare questa lunga storia d’amore e passione. Quando ero piccola, andavamo tutti in oratorio, facevamo le gite con i preti e le suore, ci facevano cantare; mi mettevano sempre in ultima fila, ero troppo alta e stonata. Mi dicevano sempre: “canta piano, canta piano”. Era una cosa strana, non capivo, credevo di cantare bene. Un giorno tornando da una gita, aspettai che se ne fossero andati tutti, mi misi dietro all’altare, cominciai a cantare. Non so se fu l’eco naturale della chiesa, pensai: “ma io canto proprio bene!”. Ero piccola. Iniziai a prendere lezioni di musica con la professoressa Ida Neukusler Masini. Mi piaceva sentire la mia voce al di sopra di tutti quelli che mi tenevano sempre indietro (sorride). E poi arriva il teatro? Eh, anche questa è una cosa strana. Decisi di fare uno spettacolo particolare. Ero amica di Giovanni Testori, gli chiesi: “perché non mi scrivi qualcosa, vorrei fare uno spettacolo”. Così fu. Debuttai al Teatro Gerolamo prima che chiudesse, correva l’anno 1974. Lo spettacolo si chiamava “Ieri e sempre” con le poesie di Giovanni Testori. Poesie, che sono riportate in un libro, pubblicato per Einaudi, che parla di tutti i lavori di Testori, compreso il mio spettacolo “Ieri e sempre”. Lì accadde qualcosa. Le luci del teatro sono diverse dalle luci del palcoscenico dei cantanti. Mi affascinò. Così è iniziata la mia carriera teatrale. Sei nata a Viareggio, non era più semplice aprire un’attività stagionale? Ciò pensato tante volte, mi sarebbe piaciuto fare il bagnino, si lavorava tre mesi, ci si abbronzava, si era molto ammirati, però all’epoca non si poteva fare la bagnina, era un lavoro solo per gli uomini. Le emozioni del tuo primo debutto? Ero al Teatro Cinema Goldoni con la scuola, dovevo fare l’imitazione di Betty Curtis, pensa quanti anni fa? Ero così agitata, provai a fare questa canzone, stonata come una campana ma mi sembrava di essere bravissima come la Callas (ride divertita). Mi piace sorridere! La vita senza sorriso che cosa sarebbe? 5 aggettivi che raccontano di te? Hai due o tre ore? Bene! Sono pazza, però dicono che sono una persona seria, che lavoro con serietà eccetera eccetera … andavo in moto, adesso non lo faccio più, facevo paracadutismo, tutti aggettivi di follia. “Quella è pazza, quella è pazza”, dicevano e … sono rimasta un po’ pazza. Hai ricevuto dei premi prestigiosi come: Premio UBU per il Teatro, Leone d’oro alla carriera, Premio Antonio De Curtis, Premio Campidoglio “Personalità Europea”, come hai vissuto questi momenti? Quando mi premiano penso sempre di non meritarlo. Ho provato una grande emozione per il Premio UBU. Perché? Scrissi le musiche per uno spettacolo di Enzo Moscato, Embargos. Era la prima volta che premiavano uno spettacolo dove c’era anche la musica. Alla premiazione ero emozionata come quando cantai la prima volta “si, ti dirò la verità”. Per gli altri riconoscimenti, come ti ho detto, ho sempre pensato di non meritarli. Prendo la vita con leggerezza, giocando e scherzando, si vive meglio. Adesso arriva “Giovanna – Omaggio a Milva” per la regia di Dario Gay, perché questa scelta? Omaggiare una grande artista come Milva è un enorme piacere. Amavo questa donna. Era meravigliosa. Cantava benissimo. Ti devo raccontare un piccolo episodio … Dimmi, sono curiosa? Quando ho iniziato ad andare a lezione di canto e di musica, la mia professoressa mi disse: “ascolta Milva e Nilla Pizzi”. Ascoltavo queste due cantanti, ognuna con la sua caratteristica, aveva una formazione l’una differente dall’altra. Ho sempre seguito Milva fino a che l’ho incontrata mentre facevo “Sette voci”. Avrei voluto dirle: “Ho iniziato imitandoti”. Mi vergognai un po’ e parlammo di altro. Nel ’72 ci siamo riviste alla Bussola, da allora siamo rimaste amiche oltre che vicine di casa. Tra di noi c’è sempre stata tanta stima e simpatia. Ogni tanto ci incontravamo in qualche trasmissione. Veniva spesso da Paolo Limiti. Milva, per te, cosa rappresenta? È stata una pietra miliare nella mia carriera. Milva è il bel canto, una professionista incredibile, non sbagliava mai. L’ho vista fare tante cose con una caparbietà, una forza che solo lei aveva. Avrei voluto imitarla anche in questo, ma io lascio un po’ più andare. Però l’adoro. Che cosa vuoi trasmettere al tuo pubblico? L’amore. Il mio pubblico mi segue da tantissimi anni, sono 51 anni che faccio questo mestiere. L’amore per cosa? Desidero trasmettere l’amore per la musica, il canto, la cultura. In questi ultimi anni abbiamo perso queste capacità, la cultura è naufragata. Quando salgo nel palco per “Giovanna – Omaggio a Milva” ho come la sensazione che Milva mi sia vicina, ancor
Una lunga storia familiare
Le tradizioni familiari si dipanano in un itinerario virtuoso dove la creatività si sposa con la capacità imprenditoriale. Incontrare Sara Parati, figlia di una dinastia di gioiellieri, è come entrare nel Paese delle Meraviglie dove, in ogni angolo, scopri qualcosa di affascinante e irresistibile. La sua è una famiglia importante. Il padre è il creatore di questa storia che grazie ai figli, Sara e Andrea, sta continuando a camminare lungo il corso della sua vita con successo e determinazione. Sara è l’anima e il cuore di questo straordinario sviluppo. Un ricordo di quando eri bambina? Sono emozionata, lo si avverte dalla mia voce. Non ho molti ricordi se non un evento che ha segnato la mia infanzia. Ho avuto un brutto incidente. Mio padre era sempre molto impegnato nel suo lavoro, io e mio fratello siamo stati cresciuti dalla mamma. Spesso in estate passavamo le vacanze solo con la mamma perché il lavoro non permetteva a mio padre di stare con noi per lunghi periodi, a volte, ci raggiungeva il fine settimana. Come nasce il tuo amore per i gioielli? È una tradizione di famiglia. Tutto nasce da mio padre. Nonostante un’origine umile, con la sua determinazione e volontà, è riuscito a dare una svolta importante alla sua vita professionale e di conseguenza alla nostra. Sin da piccola passavo molto tempo in negozio. Il nostro primo negozio lo ricordo ancora con molto affetto, era il mio spazio familiare. Chi ha fondato Damiano Parati? La Damiano Parati nasce nel 1978, l’anno della mia nascita. È stata fondata da mio padre e da un socio che poi, dopo qualche anno, ha preso una strada diversa. Il babbo all’epoca aveva una buona conoscenza del mondo orafo, era modellista e capofabbrica; dopodiché giunto alla maggiore età ha fondato la sua azienda. All’inizio era un laboratorio di riparazione di orologi e creazione di gioielli unici, disegnati appositamente su richiesta del cliente. Anno dopo anno le cose sono migliorate così nasce il primo negozio di gioielleria. Non sono stati anni facili, ma mio padre ha sempre avuto una grande determinazione, si è impegnato con sacrificio e forza per poter raggiungere la sua meta. Cosa ti ha insegnato tuo padre, la tua famiglia? L’impegno, la costanza, la determinazione e soprattutto: il sacrificio premia sempre. Non c’è risultato se non c’è sacrificio, questo è per me un insegnamento fondamentale cui mi aggrappo sempre. Cerco di insegnarlo anche ai miei figli anche se questa che viviamo è un’epoca molto diversa. In azienda c’è anche tuo fratello, parlaci di lui? In azienda è arrivato prima lui, è più grande di me. Entrambi ci siamo impegnati in questo mondo. Ci siamo fatti le ossa con sacrificio, abbiamo dovuto superare le nostre piccole difficoltà, come la timidezza per mio fratello. Essere i figli del capo non è semplice, devi dimostrare di essere sempre qualcosa in più, devi dare l’esempio. Non ci sono sconti per i figli del capo, dovevamo essere responsabili in tutto. Io e Andrea abbiamo due ruoli diversi, ma ci integriamo tantissimo. Lui si dedica di più all’estero, io mi occupo dei clienti italiani e del contatto con i brand. Possiamo dire “siete una grande famiglia”? Si! Siamo davvero una grande famiglia. Venti anni fa è entrata in azienda anche Samuela, la moglie di mio fratello Andrea. Ognuno di noi ha il suo ruolo. Siamo molto in sintonia. Oltre che soci siamo anche fratelli, con due personalità distinte ma che guardiamo nella stessa direzione. Come coniughi tre figli, un marito e il lavoro? Il lavoro è la mia priorità, non si può diventare una realtà come la nostra se non si sacrifica qualcosa, per raggiungere determinati obiettivi l’impegno è assoluto. Siamo una realtà internazionale, questo presuppone essere presente in molti territori come Porto Cervo e altre località Vip. La nostra clientela è internazionale, la seguiamo, passo passo, durante tutto l’anno. Cerchiamo per ogni cliente di trovare il gioiello giusto, che racconti di quella persona, che narri la sua essenza. Custodisco con emozione e cura i gioielli delle mie nonne, sono le cose più preziose che possiedo seppur nella loro assoluta semplicità. Non è il valore di un gioiello ma ciò che rappresenta. E poi arriva il Covid? La pandemia mi ha fatto molto riflettere. Ho avuto molto tempo da vivere nel quotidiano con i miei figli, mi sono resa conto che ho perso delle tappe importanti, mi è dispiaciuto fare consapevolezza di questo ma al tempo stesso mi ha fatto riflettere. Ho tre figli maschi molto vicini tra di loro, è vero: mi sono persa la loro infanzia. Sono stati anni difficili, gli ho dato il mio cuore seppur con una presenza risicata. L’aiuto delle nonne e delle tate è stato un grande supporto. Con il Covid mi sono resa conto che potevo organizzare il mio tempo lavorativo in maniera diversa gestendo una maggior presenza con i miei figli. Adesso se c’è bisogno di passare del tempo con loro arrivo più tardi in negozio, cerco di esserci e non perdermi più nulla. Con il Covid è cambiato anche il modo di vendere, i clienti contattano via Social e questo mi ha permesso di ritagliare del tempo prezioso per loro. La Damiano Parati ha il suo brand? Abbiamo un brand di gioielli dedicato ai Millennials. È cambiato il modo di fare acquisti. Abbiamo una e-commerce molto attiva, lavoriamo con la Cina ormai da tempo, oltre che in Italia e in Europa. I Millennials non entrano più in negozio ma fruiscono dell’acquisto in rete. La comunicazione è virtuale, tutto passa per l’online. Gran parte di questo lo devo a mio fratello che è stato un visionario dal punto di vista commerciale. Noi curiamo personalmente le nostre piattaforme Social, raccontando i gioielli che proponiamo, spiegando la loro storia sin dall’origine. Hai uno stile ricercato e al tempo stesso minimale, ti ispiri a qualcuno in particolare? Il mio stile è molto minimale. Jeans, camicia, sneakers è stato il mio mood sin da ragazzina. Iniziando a lavorare le cose sono un po’ cambiate seppur
Chiara Voliani: la scultrice delle emozioni
Cambiano i cieli sopra di noi ma non cambiano le emozioni, quelle le abbiamo sempre con noi, le custodiamo gelosamente nello scrigno della nostra anima. Accade, poi, che sono proprio quelle emozioni così intense e radicata a dar forma a un’idea, un progetto, un viatico magico che plasma manualmente una forma, un concetto, un’emozione. I gioielli scultura di Chiara Voliani sono un dialogo intimo e intimistico di emozioni rapite all’anima affinché possa incontrare l’altro nella magica atmosfera di incontro. La vita è sì “grazia e mistero” ma cosa sarebbe se non ci fosse l’incontro a forgiale la parola, il calore, l’esserci l’un per l’altro? Chiara ben sa quanto sia importante la narrazione scolpita nei suoi gioielli che possono accedere al mondo interiore dell’altro accarezzando il cuore intimo del Sé. Un ricordo di quando eri bambina? Non c’entra niente con i gioielli. Mi ricordo che da bambina in sella alla mia “Graziella” andavo in giro con un cordino in mano “a caccia” di cagnolini randagi da salvare e sfamare. Tornavo quasi sempre con qualche cane, vero o presunto randagio, e mi veniva sempre intimato di portarlo dove lo avevo trovato, dopo averlo sfamato ovviamente. Come nasce il tuo amore per i gioielli? In realtà non ho mai amato i gioielli tradizionali. Tutto nasce da un magico incontro. Ho conosciuto Giuliana Michelotti, la mia vita da quel momento ha iniziato a trasformarsi. Giuliana è un’artista, una creativa senza tempo, una visionaria nel mondo del gioiello. Quando ho visto i suoi gioielli me ne sono innamorata all’istante, lei mi ha trasmesso il suo know-how, mi ha avviato a quest’arte raffinata e gentile che trasforma le emozioni in un racconto prezioso. Per alcuni anni mi sono occupata del commerciale del suo prodotto, mai avrei immaginato che mi sarei messa a crearli con le mie mani e dare vita al mio marchio. Se è vero che il caso non esiste ma è l’alibi dello sciocco, ecco il nostro incontro non è certo un “caso”, ma una destinazione precisa in un momento specifico della mia vita. Perché hai fondato il brand Chiara Voliani? Come dicevo mi occupavo del commerciale di questi gioielli particolarissimi. Mi sono licenziata, dopo quasi 30 anni di carriera all’interno di due importanti Boutique di lusso e ricercatezza. I casi della vita mi hanno portato a misurarmi, prima con la capacità di commercializzarli in una modalità particolare: direi “itinerante”. Poi, dopo qualche anno, una nuova sfida si fa avanti: quella di mettermi alla prova seguendo la mia natura creativa, la mia idea di gioiello, così nasce il mio marchio. Un gioiello scultura di fatto che cosa è? È un’opera d’arte interamente realizzata manualmente, con una particolare tecnica di scultura che utilizza la resina modellata a mano, con l’inclusione talvolta, di pietre preziose o semipreziose, e poi fatta ricoprire di argento puro con un procedimento galvanico. Sono gioielli che creano emozioni, pezzi unici, che spesso chiamano con la loro energia chi li desidera e se ne innamora.Ci si innamora di me e dei miei gioielli. È un colpo di fulmine … come tale o avviene o non avviene … non ci sono vie di mezzo. Manualità e fantasia compagne di viaggio in questo itinerario d’amore e passione? Ecco soprattutto passione e amore. Sono una donna passionale, istintiva e credo nella forza motrice dell’amore in senso assoluto. Questa è la natura della mia creatività. Il gioiello che più ami? Amo molto gli anelli, li indosso sempre, quasi fossero una fioritura di boccioli sulle mie mani. Li chiamo bouquet di anelli, e non è un caso! Attendo, come una bambina, tutti i miei gioielli in rientro dalla Galvanica, e appena li vedo me li provo immaginando già come e quando indossarli con i miei adorati vestiti. Ti vediamo in compagnia dei tuoi gioielli, li hai sempre amati e indossati? Indosso sempre tanti anelli. Il mio anello con quarzo ialino, personale amuleto, e tanti altri che variano di volta in volta. Le mie mani sono una vera fioritura di anelli. Hai uno stile ricercato e al tempo stesso minimale, un po’ francese o mi sbaglio? L’abbigliamento è il mio primo amore. Fin da bambina compravo Vogue con la mia paghetta, lo collezionavo e consultavo con devozione. Credo di avere uno stile molto personale. Non mi riconosco in nessun cliché. Amo molto i contrasti e le contaminazioni, mi lascio sedurre dai capi che mi emozionano e quando li indosso mi sembra di averli avuti da sempre, tale è il piacere e la disinvoltura con cui li vivo e li abbino. Ti senti più Iris Apfel o Ines de La Fréssange? Pur avendo grande stima e ammirazione per ognuna di queste due splendide donne dal grande fascino, personalità e stile, non mi identifico con nessuna delle due. Sono me stessa, Chiara. Credimi lo dico con grande umiltà e rispetto. Quello che non avresti mai voluto fare nella vita. Pur rispettando la categoria, credo proprio di non essere nata per lavorare in un ufficio o una pubblica amministrazione. Hai mai pensato di fare una mostra itinerante dei tuoi gioielli scultura? Ho improntato il mio commerciale proprio in questo modo. Mi sono “inventata” questa modalità di esposizioni itineranti, in tutta Italia e, piano piano, anche in Europa, appoggiandomi e collaborando con gli spazi espositivi più vari. Sono una “zingara cantastorie” che racconta la sua narrazione di vita e quella dei suoi gioielli. Sei sempre in giro per l’Italia è non solo, come coniughi essere una donna in carriera con la famiglia? Io e mio marito abbiamo fatto molti anni fa la scelta consapevole di non avere figli. E sempre insieme e di comune accordo, ci siamo sostenuti a vicenda nei nostri rispettivi lavori. Direi che questa è la risposta. Collaborazione. Parola che ricorre come un mantra nel mio lavoro. Sei più stilista o scultrice? Mah devo dire che quando mi chiamano artista, scultrice, designer … mi suona sempre un po’ strano. Creo i miei gioielli con solo con un istinto puro e intimo. Non ho fatto assolutamente scuole d’arte o