Sabato 13 maggio Ettore Fiore e Alessandro Campaiola presentano “Rivivere”, un cortometraggio con Alessandro Campaiola, Franco Mannella, Monica Ward, Noemi Medini, Federico Campaiola, Flavio Marini. La trama racconta che Michele si risveglia continuamente in macchina: rivive la scena della morte del padre in un incubo ricorrente. Non riesce ad accettare quell’evento e crede che non valga più la pena continuare a vivere. Poi, qualcosa in quel sogno cambia. I dialoghi con il padre non sono più gli stessi. È un sogno o sta davvero parlando con suo padre, l’unica persona in grado di rassicurarlo nel momento del bisogno spingendolo a riprendere in mano la propria vita?

Michele è un ragazzo che non riesce a superare il trauma della perdita del padre. Questo anche a causa del suo carattere sempre distaccato nei confronti della figura paterna, nonostante gli volesse bene. Aveva bisogno del suo supporto, seppur non lo lasciava mai intendere. Da qui anche la loro posizione all’interno delle scene in macchina dove rivive la sequenza prima dell’incidente. Michele difatti si trova sempre a riposare nei sedili posteriori, tanto che il padre alla guida, dovrà usare lo specchietto retrovisore per guardarlo in viso. Un dettaglio che ci tenevo a far notare proprio perché sottolinea ancora di più quel distacco tra i due, che andrà a colmarsi solo nella sequenza finale. In quest’ultimo incontro Michele si troverà infatti nel sedile anteriore di fianco al padre. Questo anche per richiamare la sua posizione nella realtà tanto che per la prima volta avrà anche il suo aspetto e gli abiti che indossa nel presente. Questa volta però non sta rivivendo semplicemente il momento dell’incidente, ma avrà un faccia a faccia “reale” con il padre. Poi starà allo spettatore credere se sia tutto frutto della sua immaginazione, o se davvero, nel momento più buio della sua vita, abbia avuto un vero incontro con lui in un piano tra il sogno e la realtà”, racconta il regista Ettore Fiore.

Tra amici passiamo spesso serate in cui vediamo film o parliamo di cinema e progetti personali. In una di queste mi rivolgo ad Alessandro Campaiola e gli spiego il bisogno di realizzare un’idea che avevo in mente da tempo. Qualcosa da realizzare assieme, con lui come protagonista e io alla direzione. Il periodo della pandemia non aveva aiutato e tra un coprifuoco e l’altro riusciamo a scrivere finalmente la sceneggiatura di “Rivivere”. All’interno di essa abbiamo inserito molto di noi, anche riferimenti e citazioni ad avvenimenti reali, proprio per rendere il risultato il più personale possibile e poter dare il meglio di noi. Per la prima volta in vita mia mi hanno permesso di concentrarmi unicamente sulla regia” continua Ettore Fiore. Abbiamo intervistato, Alessandro Campaiola, uno dei protagonisti che ci porta all’interno di questo lavoro intenso e denso di significati.

Il cortometraggio Rivivere di cosa parla?

Parla di morte, di vita ma soprattutto di rinascita. Parla della difficoltà per un essere umano di accettare una perdita e quanto una perdita può impattare negativamente sulla vita di qualcuno. Parla di come una persona può trovare la forza per affrontare un lutto.

Da chi è formato il cast?

Il cast è composto da me, Alessandro Campaiola, nel ruolo di Michele; Franco Mannella, attore straordinario senza il quale questo cortometraggio non si sarebbe potuto realizzare, nel ruolo del papà di Michele; mia madre Monica Ward che interpreta la madre di Michele; mio fratello Federico Campaiola e Flavio Marini che interpretano due brutti ceffi di quartiere; ed infine Noemi Medini amica d’infanzia di Michele e di cui ha una cotta.

Perché Michele ha un incubo ricorrente?

L’incubo è dato da un forte trauma che è la perdita del padre in un incidente stradale in cui anche Michele è coinvolto, ma è lui l’unico superstite. L’incubo è una rappresentazione del suo blocco temporale a quel momento. È come se anche lui fosse morto quel giorno, lui si è fermato lì e non è più andato avanti.

Cosa rappresenta per Michele la morte? E la morte del padre che significato ha nella sua esistenza?

Riusciamo veramente a dare un significato alla morte? Il punto è che alla morte spesso non si riesce a dare un significato. Michele, il protagonista, non riesce a dare un significato alla morte del padre e per questo si blocca e si ritrae alla vita. È un cambiamento di rotta: Michele perde la voglia di vivere, abbandona i suoi sogni e finisce in brutti giri.

C’è, nel cortometraggio, la ricerca del senso e del significato della vita e della morte?

Questo progetto è arrivato in un momento della mia vita in cui ho vissuto un lutto e in quella di Ettore Fiore, che poi ha avuto l’idea, in cui c’era molta paura di perdere una persona amata. In quel momento entrambi stavamo proprio vivendo questa ricerca di cui tu parli e quindi è stato inevitabile trasferirla nel corto.

Il vero protagonista è il trauma?

La vera protagonista di questo cortometraggio è la rinascita. In quest’epoca dove si vive poco la spiritualità si fa più fatica ad affrontare la morte e si fanno veramente i conti con tematiche importanti e il ritornare a vivere dopo il lutto è il tema di questo corto.

Sembra una seduta di analisi dove il padre diventa la proiezione del figlio e rivive nel qui e ora per riordinare emozioni e vissuti, oppure è solo una mia interpretazione errata?

Interpretazione più che giusta ma sbagliata allo stesso tempo. Vorremmo che lo spettatore interpretasse a modo proprio il cortometraggio, il suo significato è soggetto a più interpretazioni e anche quella che dici tu potrebbe essere corretta.

L’essere umano quante volte si pone come spettatore della vita?

A mio avviso molto poco. Stiamo pretendendo la magia. Oggi c’è la scienza che ci spiega tutto. Nella mia esperienza personale, dopo il mio lutto, mi sono fermato e sono stato spettatore della vita. Prima di quel momento vivevo in maniera sistematica senza farmi troppe domande. Guardare la propria vita da spettatore, invece, è utile per capire in che direzione stiamo andando, se stiamo percorrendo la strada giusta, può aiutare a vivere meglio insomma.

In questo cortometraggio ci sono esperienze realmente vissute?

Assolutamente sì. La storia è romanzata ma è stata realizzata su esperienze reali. Anche una situazione spiacevole che Michele vive all’interno del corto è un fatto ai cui noi abbiamo realmente assistito.

Chi sono stati i compagni di viaggio?

Ettore Fiore con cui ho scritto il corto, anche regista e montatore, Franco Mannella, Monica Ward, Noemi Medini, Federico Campaiola, Flavio Marini senza i quali non avremo potuto fare il corto. Una troupe fantastica composta dal direttore della fotografia Antonio Di Giuseppe, l’operatore Jheison Garcia, l’assistente operatore Eleonora Chiodo, l’aiuto operatore Alessandro Rovito, il fonico Riccardo Piazza, Claudia De Simone e Federico Koutlin al trucco ed effetti speciali , la costumista Letizia Fiore, il Team Fotociak che ha curato la scenografia, il segretario di edizione Cristiano Pellegrini, Antonio Calitro che si è occupato della post produzione audio, le musiche di Niccolò Tetti e Davide De Laura.

Dove verrà presentato il cortometraggio?

Verrà presentato in anteprima il 13 maggio alle ore 18.30 presso la sala cinema del Institut Français Centre Saint Louis a Roma.

Diventerà un lungometraggio?

Non credo. È nato così e rimarrà così.

Che cosa rappresenta per lei questo short film?

Ci sono affezionato per diversi motivi: è arrivato in un particolare momento della mia vita in cui attraversavo un dolore dovuto proprio ad un lutto, inoltre è arrivato in un momento in cui mi sono allontanato dal mio lavoro in teatro per vari motivi e percorrevo il mio sogno di avvicinarmi al mondo del cinema, e questo era uno dei modi.

Io e Ettore Fiore volevamo dimostrare che con pochi mezzi si può realizzare un prodotto artisticamente valido. Volevamo realizzare un prodotto buono, insomma, e per quanto mi riguarda credo che questo obiettivo è stato raggiunto.

Lei è anche doppiatore, che cosa l’affascina di più tra il doppiaggio e l’arte attoriale?

Il doppiaggio e l’arte attoriale sono la medesima cosa. Il doppiaggio è un lavoro che spesso rimane nell’ombra ma voglio dire che un doppiatore è un attore. Io amo recitare: in una sala doppiaggio, su un set cinematografico, a teatro. Amo tutto di questo mestiere.

Progetti?

Assieme ad Ettore Fiore e ad un gruppo di lavoro che io ritengo più che valido, stiamo scrivendo un film. Qualcosa di completamente diverso da Rivivere, un po’ folle, molto in stile tarantiniano.

Un’ultima cosa: perché ha scelto di fare l’attore e il doppiatore?

Vengo da una famiglia che storicamente fa questo lavoro da generazioni, la famiglia Ward. La mia trisnonna è stata la voce del primo film di Biancaneve negli anni ’30. Ho avuto la fortuna di nascere in questo mondo e di respirarlo fin da quando ero bambino. Anche mio padre ha lavorato per una vita nel cinema in una grande società di distribuzione cinematografica. I miei genitori non mi hanno mai spinto in questa direzione, l’ho scelto io coscientemente. Da bambino ho avuto le prime esperienze ma poi da grande ho deciso io, avevo 15 anni. Sono sempre più felice di aver fatto questa scelta. Spesso lo dico anche agli studenti del Ward Lab: recitare rende liberi…di esprimersi e, paradossalmente, di essere sé stessi.

 

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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