Gli anni passano ma non passano le emozioni che un’opera teatrale stimola nello spettatore come può essere il poderoso lavoro di Claudio Boccaccini: “La foto del carabiniere”. Una storia vera, vissuta direttamente dal suo autore, regista e interprete. Tra le parole narrate, le emozioni che si tramano e cuciono parola dopo parola, la vita che si pone come spartiacque con la morte, il sacrificio, i valori fondanti la vita stessa, lo spettacolo si interseca nell’anima dello spettatore promuovendo una consapevolezza che va dritta al cuore, all’anima. Claudio Boccaccini ha regalato e regala, ogni volta al suo pubblico, una tessitura magistrale su cui ridare senso e significato alla cifra perduta della vita in questi ultimi anni. “La foto del carabiniere” parla di un eroe italiano che si è sacrificato in nome dell’amore per la patria e l’amicizia. Come ben ci dice il suo autore, regista e interprete non solo mio padre deve la vita a Salvo D’Acquisto ma anche io. Lo spettacolo sarà in scene venerdì 22 luglio al Festival Teatro Marconi.
Tutto inizia con una fotografia?
Era il 1960, avevo 7 anni, casualmente scoprii che mio papà nella sua patente aveva la fotografia di un giovane carabiniere in divisa. La faccenda mi turbò, naturalmente, anche perché sapevo che i grandi avevano l’abitudine di tenere, di custodire delle fotografie di familiari dentro alla propria patente. Mio padre non aveva la foto mia o quella di mia madre o di mia sorella, ma la foto di un giovane carabiniere. La cosa mi inquietò un po’ e al tempo stesso mi stupii preoccupandomi, è la verità.
E poi?
E poi un giorno mio padre mi disse: “mettiti seduto che ti spiego chi è il giovane carabiniere della fotografia”. Ecco, tutto inizia così nell’estate del 1960. L’emozione fu enorme, soprattutto quando venni a sapere chi era quel giovane carabiniere e soprattutto perché mio padre aveva la sua fotografia dentro alla patente.
Quando ha deciso di mettere in scena questa storia intensa e densa di emozione?
Ho impiegato molto tempo sia per decidere di scrivere sia per mettere in scena questo spettacolo.
Perché?
Ritenevo questa storia, una storia molto personale.
Invece?
Mi sono convinto che aveva un grande valore sia storico, sia di vita vissuta, sia di valori tanto che sono più di dieci anni che gli spettatori vengono sempre numerosi a vedere “La fotografia del carabiniere” offrendomi così la consapevolezza che ho avuto ragione a scrivere e mettere in scena il vissuto della mia famiglia.
Un vissuto personale che diventa vissuto per l’altro?
Si, è un fatto personale, che poi è divento una storia che appartiene a tutti. La storia di un ragazzo, Salvo D’Acquisto che sacrifica la propria vita per salvare ventidue amici. Credo sia un messaggio da divulgare ed è quasi un dovere farlo.
L’emozione negli occhi di quel bambino che guarda qual è stata?
Questa storia ha fortemente segnato la mia vita. Prima di tutto quella di mio padre e poi a seguire la mia vita. Salvo D’Acquisto non solo ha salvato la vita di mio padre, in qualche modo ha salvato anche la mia vita. Se mio padre fosse morto io non sarei mai nato.
Come il piccolo Claudio ha elaborato in sé il significato di sacrificio e amicizia?
In me si è sviluppato un grande senso del dovere. La voglia di essere sempre attento a certi valori come l’amicizia e la solidarietà. Penso, me ne accorgo adesso che sono un uomo adulto, che questa vicenda mi abbia condizionato verso questa direzione. La mia vita, il senso che ho delle cose, l’amore verso il mio mestiere, tutto ha risentito di quella vicenda, di quell’insegnamento.
Che valori vuole trasmettere lo spettacolo?
Durante il mio spettacolo si dà molto spazio alla vita familiare, al senso della comunità, del quartiere, del cortile. Tutti valori, questi, che negli anni si sono indubbiamente persi. La vita è cambiata. È cambiata per tutti noi.
Ovvero?
Il virtuale, i social hanno per certi aspetti soppiantato quelli che erano i rapporti diretti. Nello spettacolo si raccontano gli anni ‘60. All’epoca vivevano sulle relazioni e sui rapporti. La famiglia era il primo nucleo con cui uno si confrontava e da cui si partiva per qualsiasi cosa. Tutto questo si è perso.
È meglio o peggio?
Non voglio dire se sia meglio o peggio. Oggi c’è sicuramente meno calore, c’è più facilità apparente di dialogare e di costruire delle relazioni. Però, a volte, è una facilità solo apparente, perché poi il virtuale, se da una parte ti mette in contatto con il mondo dall’altro non è come la relazione che si instaura guardandosi negli occhi e riconoscendo il proprio odore reciproco, è un’altra cosa.
Cosa può insegnare ancora Salvo D’Acquisto?
Un sacrificio come quello di Salvo D’Acquisto oggi potrebbe essere un grande insegnamento per la gioventù, per i giovani. Quando vado per le scuole e racconto questa storia, vedo i ragazzini che hanno quattordici/quindici anni che rimangono molto colpiti. Forse bisognerebbe continuare a parlare di queste cose per non perdere la memoria del senso di un sacrificio che ancora oggi potrebbe essere di grande insegnamento per tutti.
Cosa restituisce il pubblico che guarda quest’opera così intensa?
Sono dieci anni che porto in giro per l’Italia dal nord al più estremo sud lo spettacolo. Questo spettacolo è diverso dai vari spettacoli dove ho curato la regia, qui c’è qualcosa in più, c’è la mia vita vissuta. Sono dieci anni che puntualmente dopo lo spettacolo vengo raggiunto da persone che mi fanno i complimenti ringraziandomi perché vivono in presa diretta la vicenda.
Cosa le dicono?
Mi parlano delle loro esperienze personali.
Secondo lei perché?
È uno spettacolo dedicato ai padri. Non solo ai padri naturali, biologici, ma a tutti quelli che sono stati padri. Ritengo che questo spettacolo, essendo dedicato a tutti i tipi di padri, stimoli delle riflessioni nelle persone che poi, a fine spettacolo, vengono da me a raccontarmele. Questo è bellissimo. Sono dieci anni che ricevo in cambio tutto questo, ed è molto bello.
Ci saranno delle altre date?
Lo spettacolo avrà altre repliche, andrà avanti ancora per molto. Il progetto a cui tengo, dove ho firmato la regia, è: “I Giganti della montagna”. Andrà in scena i primi giorni del nuovo anno. Debutterà al Teatro Nino Manfredi.
Perché ci tiene tanto?
Perchè chiude il mio lungo percorso sull’opera pirandelliana iniziata tanto tempo fa con “Enrico IV”, proseguita con “Il fu Mattia Pascal”, “Sei personaggi in cerca d’autore”, “Così è se vi pare” ecc. ecc. È il progetto più importante del prossimo anno. Poi ci sono altre cose, ma ho interesse a parlare al momento de “I giganti della montagna”.