Sono cresciuta con il profumo del mare

Beatrice Schiaffino, Ligure doc di Rapallo, è un vulcano: attrice, presentatrice, autrice e counselor, si forma come attrice a Genova, poi Londra e Los Angeles. Si racconta e ci racconta il suo mondo, la sua passione, i suoi lavori e la sua ultima interpretazione: “La Papessa”.

    

Cara Beatrice, grazie per questa intervista, così per cominciare ci racconti di te?

Sono attrice, di origine ligure – mio padre era di Portofino, mia madre Santa Margherita – sono cresciuta con il profumo del mare e il suo temperamento… Sono una persona molto curiosa. Dopo gli studi classici, mi sono laureata con Lode a Pisa in Discipline dello spettacolo con una tesi sull’applicazione del digitale all’interno della scena teatrale multimediale. Contemporaneamente ho preso un diploma a Padova come Counselor ad indirizzo psico-corporeo e relazionale (tecniche che uso tuttora abitualmente nella mia preparazione attoriale). Mi sono formata come attrice prima a Genova al G.A.G. di Daniela Capurro, poi a Londra presso London Drama School Startek Academy e poi attraverso tanti laboratori e masterclass, da Chiara Guidi della Societas Raffaello Sanzio, agli Instabili Vaganti, a Carrozzeria Orfeo, Daniele Salvo… e più cinematografici Bernard Hiller, Vincent Riotta, Aurin Proietti… Un aspetto che amo del mio lavoro è che non smetti mai di imparare, conoscere, rimettere tutto in discussione, cercare… è un costante work in progress. E attraverso la formazione incontri altri metodi, colleghi, hai la possibilità di confrontarti, crescere… Oltre al mio lavoro, amo tantissimo viaggiare, sono sempre in viaggio, appena posso… anche qui, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti e stimoli, con sguardo aperto e curioso. È il bello della vita per me.

Quando e perché hai deciso di fare l’attrice?

Non ho deciso, è così da sempre. Ero una bambina e giocavo così: creavo storie incredibili che duravano mesi, delle “saghe”, mi ci “tuffavo” dentro e mi ci perdevo. Essendo figlia unica, interpretavo di volta in volta tutti i personaggi, gli oggetti intorno a me si trasformavano per servire al meglio alla storia… tutto prendeva nuova vita e significato. Appena avevamo ospiti a casa, il mio primo pensiero era creare uno spettacolo per loro. Improvvisavo e creavo in continuazione: nuovi oggetti, poesie, spettacoli, canzoni, racconti… era il mio modo di esprimermi e stare al mondo. Poi ho scoperto la videocamera e ho iniziato a girare anche i primi video. E le cassette, che incidevo divertendomi a “fare la radio”. Non mi fermavo mai, creavo e creavo… e creo ancora oggi. Certo, poi piano piano, dal primo corso di teatro in poi, ho iniziato a scoprire le “grammatiche” che stavano dietro a tutto questo gioco… ho iniziato a dare struttura, fino a farlo diventare il mio lavoro. Non credo ci sia stato un “quando”, ma sicuramente il “perché” è perché sono proprio io… è la cosa che amo di più fare e quando la faccio sto realmente bene. Respiro. Gioisco. Mi sento viva. È quando mi “tocca” gestire tutto il resto intorno che fatico un po’… Io starei solo sul palco o sul set. E punto.

Una curiosità: Rosanna Schiaffino ha qualche legame con te considerando che siete entrambe nate in Liguria?

Ecco, sì. L’unico legame è proprio questo: il luogo e il cognome, naturalmente. È la prima domanda che mi fanno ai provini: “- Parente?”. “- Che io sappia, no…”. “- Eh, ma ci somiglia…”. “- Bah, nei paesi piccoli, chissà…”. Ma la verità, onde fraintendimenti, è che non abbiamo legami. Il mio è un cognome proprio tipicamente portofinese e ne vado orgogliosa, soprattutto in memoria di mio padre Roberto, detto Charlie, che non c’è più. È stato un grande velista e ogni volta che mi sento chiamare per cognome mi ricordo che vengo dal mare, che ho il coraggio per affrontare le tempeste così come la calma per godermi il suono rilassato delle onde. E poi certo, quel “- Parente?” accende sempre un copione che mi diverte. Rosanna è stata una brava e bella attrice. Mi piace contribuire in qualche modo a risvegliare anche il suo ricordo in chi mi incontra.

Dopo un percorso avvincente e denso di soddisfazione arriva “La Papessa”, ce ne vuoi parlare?

La Papessa è uno spettacolo che ho voluto fortemente. Andrea Balzola ha scritto questo monologo pensando a me e non finirò mai di ringraziarlo abbastanza perché è di una intensità e profondità incredibile. Ogni volta per me “cascarci dentro” è un’esperienza catartica, un ruolo che assorbe totalmente me che sto in scena e il pubblico che assiste, che ogni volta mi dice di esserci ritrovato come “travolto”. Come me. È interessante. Con Andrea ci siamo interrogati partendo dalla carta dei Tarocchi La Papessa, una delle sette che rappresentano gli archetipi del femminile. Ci siamo chiesti che cosa fosse davvero racchiuso nella sua iconografia, nei simboli che mostra, chi ci fosse dietro quella carta… E da lì abbiamo esplorato la storia della Papessa Giovanna, non a caso relegata a mito e cancellata dalla Chiesa… e l’abbiamo messa a nudo, raccontata senza fronzoli, evidenziandone tutti i suoi aspetti più ambivalenti e contraddittori. Giovanna nel Medioevo si oppone a ogni dettame, è un’eroina: vuole studiare nonostante sia donna, si ribella, fugge, segue il suo desiderio… e alla fine rende possibile l’impossibile, diventare Papa. Ma il prezzo da pagare è alto, eccome… A metà tra storia e leggenda, fede e passione, uomo e donna, lei vuole affermare sé stessa a ogni costo, e per farlo affronta un percorso tormentato e difficile. La sua ricerca identitaria parla dritto a ciascuno di noi e con Carmen di Marzo, la regista, abbiamo voluto restituire lo spessore e al tempo stesso la fragilità di questa donna che cerca e si cerca. C’è stato un grande lavoro di scelta sulle sfumature e i registri da usare, così come sulle musiche e i costumi…ogni dettaglio è immaginato a servizio di una storia unica, appassionante e appassionata. È una storia necessaria e urgente, per riflettere e ridefinire ancora una volta le coordinate del femminile e dell’essere umano in genere, oltre che una preziosa occasione di affrontare il tema legato all’emancipazione femminile, quanto mai attuale.

Perché oggi c’è bisogno di riprendere contatto con la propria dimensione interiore, quella più emozionale e spirituale?

Perché siamo totalmente sconnessi. Non sappiamo più chi siamo. Dove andiamo. Perché.  È un mondo che chiede di correre, sempre più veloce, anche quando non sai dove stai andando. Un mondo dove se ti fermi, sei marchiato, debole, ti senti in colpa, in preda all’ansia. Un mondo che pure paralizza, in modo innaturale, vuole fermare il tempo a tutti i costi, anche con la chirurgia, ma il paradosso è che poi è un mondo che non sa goderselo, questo tempo che vuole a tutti i costi. Dov’è finito il tempo da abitare, senza nulla dovere? Il tempo di essere e il tempo per esserci. Il tempo da vivere e assaporare. Sembra non sia più uno stato di partenza, ma uno stato da guadagnarsi. Ma dove finiamo noi, come esseri umani, così staccati da noi stessi, virtualmente paralizzati in un altrove che non è mai “qui ed ora”? La storia di Giovanna è la storia di infinite persone che ancora oggi devono lottare senza sosta per affermarsi e affermare i propri diritti. Diritti fondamentali. Diritti che spesso, abituati a rinunciare e correre, nemmeno sentiamo più tali. Ma perché dovremmo rinunciare al nostro diritto di essere, affermarci, sentirci appagati, connessi e parte di qualcosa? Abbiamo un disperato bisogno di riconnetterci al nostro mondo interiore, ai nostri desideri reali, profondi, sentire nuovamente le pulsioni che troppo spesso siamo costretti a mettere da parte e che invece ci indicherebbero la miglior strada da seguire… la nostra. E questo può avvenire solo attraverso una riconnessione alle proprie emozioni, alla propria sfera spirituale. Spesso alle persone chiedi come stanno e non sanno cosa dire, non sanno cosa provano. Non perché siano stupide, ma perché non sono più abituate ad ascoltarsi e di conseguenza a usare un vocabolario adeguato a definire ciò che sentono. È un esercizio. Personalmente coltivo ogni giorno la mia spiritualità in modo diverso: studio, medito, mi interrogo, scelgo cosa mangio e che pensieri fare, mi parlo, riconosco quando perso la mia connessione e mi fermo, cerco di ristabilirla. E non è un percorso facile, è un lavoro doppio, oggi, rimanere connessi. Ma se non così, come potrebbe chiamarsi vita questo tempo che scorre? Io desidero esserci, per me stessa e, in questo modo, poterci essere per l’altro. Questo spettacolo vuole fare anche questo: risvegliare, riconnettere. Ti chiede: “E tu, per cosa lotti? Chi sei? Cosa vuoi?”.

Quanto il Falso Sé inquina oggi le relazioni?

Tanto, spesso troppo. Perdendo la connessione con il proprio Vero sé, inevitabilmente si rimane in balia del Falso sé, dell’automatismo, dello schema prefissato a livello inconscio, della difesa, del “già conosciuto”, non si incontra l’altro, non ci si evolve… Ci vuole uno sforzo e un lavoro su sé stessi importante al fine di riconnettersi e vivere il più possibile la nostra reale essenza, comprendendo il mondo, allargando la propria visione, aprendosi all’altro. Una società che vede la vulnerabilità come un male rende ancora più complicata qualsiasi relazione. Viviamo in un continuo vortice performativo, dal lavoro alla vita privata ai social, con dei risvolti autoreferenziali e di perfezionismo che in realtà ci allontanano dal nostro Vero sé e da tutto ciò che ci circonda. Le fragilità, se accolte con cura, sono tratti della nostra personalità, a volte risorse… siamo troppo spesso impigriti e imprigionati in un meccanismo che va spezzato… per lasciarsi la vera possibilità di splendere nella nostra completezza, nella nostra verità.

In tutto questo perché “La Papessa” con la sua vita densa di significati e significanti può essere uno spunto di stimolo, motivazione e riflessione?

La Papessa viene rappresentata nei Tarocchi con la carta numero II, simbolo di accumulo, di unione di più elementi, ci indica la via del mettere insieme… Discerne gli elementi, ma li tiene insieme in uno stesso nucleo. Questa è la sua enorme potenza. Con il suo grande libro aperto sulle gambe indica la via dello studio, della riflessione, della ricerca. Non è tutto dovuto… E quell’uovo mostrato al suo lato, emblema della gestazione, indica una possibile rinascita, attraverso questo tipo di lavoro interiore ed esteriore. La Papessa è una figura che indica presenza, fermezza, saggezza: se ne sta seduta su un trono che si è conquistata con forza e determinazione. Per me è un enorme esempio di rettitudine, ma anche di sana disobbedienza. Fa quello che non si può fare secondo le regole, ma per andarsi a prendere tutto ciò che è legittimo per lei stessa. E legittimo lo è davvero, perché è sostenuto da un bisogno e una pulsione concreti, reali. Il suo volto nella carta suggerisce una figura ieratica, il suo sguardo è fisso, quasi gelido, ma il suo manto rosso suggerisce al tempo stesso tutta la sua passionalità, la vitalità che racchiude dentro di sé. Ha la potenza e il carisma di chi riesce ad accogliere differenti pulsioni, risorse, fragilità, dualità… tutte in uno… Il coraggio e la “sfrontatezza” che mostra nell’affrontare le difficoltà sono disarmanti, un reale esempio di tenacia portata avanti con astuzia e passione…

Il coraggio che cos’è?

Il coraggio è quella cosa che fai un passo nel buio, ma dentro sai che comunque vada, te la caverai. È decidere di dare più spazio alla curiosità piuttosto che alla paura. È essere aperti, curiosi. È aver fiducia. Voler guardare sempre con occhi nuovi. Talvolta è saper ascoltare il proprio battito cardiaco e sussurrargli “va tutto bene, andiamo”. È una scelta di libertà.

È importante essere coraggiosi?

Per me è fondamentale. Credo ci voglia tanto coraggio per affrontare la vita e viverla a pieno. Per guardarsi dentro, per fronteggiare ciò che accade e per andare incontro alla vera bellezza. Io ho dovuto essere tanto coraggiosa fino ad oggi… Un po’ mi ci sono ritrovata, ho sentito che “dovevo” esserlo, ma un po’ l’ho scelto. Il coraggio è una scelta, necessaria in certi momenti, ma comunque personalissima.

Johanna costruisce la sua vita, il suo viatico esistenziale con il cuore e la testa, quanto è importante definirlo con questi presupposti?

Cuore e testa sono gli estremi dello stesso laccio. Connetterli insieme significa avere le mani sul filo rosso di Arianna, non perdersi, riconoscersi mentre si cammina nella vita. Spesso si dice che vadano in direzioni opposte… “segui il tuo cuore, segui la testa…”. Non nego la sfida nel metterli insieme a volte, ma credo che il caos si crei di più quando si perde la connessione tra essi o se ne negano le differenze, piuttosto che quando si mettono insieme… in fondo due voci diverse, se unite, restituiscono la completezza e la complessità di cui siamo fatti… e a volte ci si ritrova più d’accordo di ciò che si possa immaginare prima di fermarsi ad ascoltare. Johanna sa ascoltare entrambi – ad esempio – e quando tenta di negare una parte di sé, questa si ripresenta con maggiore urgenza, fin tanto che non è costretta ad ascoltarla. In fondo quando cerchiamo di negare qualche parte di noi, questa viene a bussare ancora e ancora in modo diverso. È nell’ascolto, la chiave. Negare o separare non porta mai molto lontano…

Oggi la spiritualità c’è ancora?

Più che “c’è ancora” direi “ce n’è ancora bisogno”, cioè è qualcosa che attraversa l’essere umano, una parte di sé, che la si voglia sentire o meno. In qualsiasi forma, coltivare la propria spiritualità fa parte dell’essere umano. Oggi si parla di mancanza di fede, ma è la fede nell’essere umano, la fiducia nel proprio potenziale e in quello dell’altro che manca oggi… con la disconnessione progressiva da sé stessi, è naturale arrivare a un distaccamento dalla propria spiritualità. Nella riconnessione, ancora una volta, è possibile ritrovare la propria essenza. Che in quanto tale, non è qualcosa di superfluo, ma necessario e organico.

Dove e come si evidenzia la spiritualità?

Negli occhi, nella gentilezza dei gesti e delle parole, nella cura. La spiritualità trabocca naturalmente nell’individuo connesso, è qualcosa che gli appartiene. È presente, lì. Qualcosa che in realtà apparterrebbe a chiunque, ma talvolta resta bloccata, soppressa da qualche parte, evitata o negata. La spiritualità appartiene all’individuo, ma anche alla Natura, che non appena riacquista un po’ di spazio nelle nostre vite – spesso ormai troppo staccate da essa – ci catapulta in uno status di grazia immediato, capace di restituirci la dimensione dell’Essere più profonda. La spiritualità non è appannaggio di una religione o un credo specifico, appartiene a tutto e tutto le appartiene.  C’è poi chi ha bisogno di una forma più definita per sentirne in qualche modo la tangibilità, ma è qualcosa che abbiamo dentro a prescindere da essa. Johanna ha una forte fede di stampo cattolico, per esempio, ma incontra varie religioni nel suo percorso e insegna a non temere il confronto fra le varie strutture, perché le fondamenta di un credo abitano ciascuna allo stesso modo. La spiritualità è trasversale e universale.

I tarocchi hanno una qualche ispirazione?

I Tarocchi hanno veramente radici lontanissime. Ve ne sono di diversissime rappresentazioni, pur mantenendo certe linee guida di raffigurazioni e simbolismi. Ciò che personalmente mi colpisce è il tentativo di dare una rappresentazione visiva a sentimenti, situazioni, drammi e gioie dell’essere… Sono in qualche modo un atto catartico, un tentativo di fare ordine, di dare un senso e una lettura. Possono essere uno strumento efficace per scoprirsi, leggersi, ritrovarsi…

“La Papessa” e “L’Imperatrice” del giardino dei tarocchi hanno qualche affinità?

Sono due carte profondamente diverse, quasi una lo specchio dell’altra, ma proprio per questo profondamente unite. Rifacendosi alle carte dei Tarocchi marsigliesi, La Papessa è emblema di saggezza, conoscenza profonda, fede, purezza assoluta, non ha orpelli, ha un volto che comunica una rigidità e una solitudine profonda, è bianca in volto, sembra quasi non scorra sangue nel suo corpo così trasceso… eppure custodisce al suo lato l’uovo, simbolo della creazione, e in tal modo diventa anche artefice, maga, custode di un cuore raggelato, ma presente… Al contrario L’Imperatrice detiene un potere più terreno, più legato alla corporeità, alla bellezza, riscontrabile dalla vivezza dei suoi tratti. Con un volto bello e colorito è l’immagine della femminilità… ha una forza di creazione più fattiva, simbolo diverso, ma ugualmente di fertilità, qui caratterizzata da una intuitività più pratica, una capacità legata al senso dell’azione… L’Imperatrice siede sul trono abbracciando scettro e scudo, pronta ad agire, ma al contempo ha uno sguardo che suggerisce una profonda spiritualità, uno sguardo rivolto al futuro, all’evoluzione…

Quanto è difficile oggi essere donna? E perché una donna deve sempre fare tanta fatica?

Oggi, come ieri, e spero non come domani, è difficilissimo. Il lavoro da fare verso una totale parità uomo-donna è ancora profondo. Un lungo lavoro è necessario, su noi stesse e all’interno delle diverse società che abitiamo, per prendere consapevolezza e sedimentare cambiamenti radicali. Il femminile è ancora troppo spesso negato, maltrattato, deriso, declassato, strumentalizzato. Accade in tutto il mondo in continuazione. La difficoltà, con tutte le sue gradazioni, è una realtà quotidiana che ciascuna donna nel mondo deve affrontare. Riconoscersi significa anche riappropriarsi delle nostre reali peculiarità, di quel femminile multiforme che le carte dei Tarocchi, in qualche modo, con i loro sette arcani maggiori femminili, tentano di restituire sotto forma di archetipi. Uguaglianza non significa annullamento delle differenze, significa piuttosto accoglienza totale delle unicità di ciascuno. Significa riconoscere e riconoscersi, senza che questo comporti togliere rispetto o creare ostacoli, isolamenti, giudizi, marchi. Esser donna significa ancora troppo spesso dover fare i conti con difficoltà e problematiche di genere, che minano il senso che abbiamo di noi stesse, la possibilità di affermarci, la nostra autonomia nel mondo. Una donna ancora oggi fatica troppo. Oltre a se stessa, deve sempre gestire (quando non deve subire) la società, le sue pressioni e aspettative, ostacoli di ogni tipo, troppo spesso violenze e aggressioni… Potremmo parlarne per ore. La questione è sicuramente complessa e urgente. Io come donna e come artista voglio lottare affinché questo cambi. Ma c’è bisogno di un percorso di cambiamento collettivo, che coinvolga tutti, donne e uomini, e parta dalle fondamenta, con specifici atti legislativi e politici.

Come ha accolto il pubblico “La Papessa”?

In modo straordinario, emozionante. A fine spettacolo le persone sono commosse alle lacrime, scosse da ciò a cui hanno assistito, mi viene da dire “più vive”… ogni volta è pura magia. Qualcuno mi ha confessato di aver dovuto vincere un timore iniziale riguardante la parola “monologo” per venire a teatro e di essersi ricreduto solo strada facendo. Mi fa sorridere: troppo spesso associamo il monologo a qualcosa di pesante e noioso. Ma non è così, insieme con me sul palco ci sono tutti i fantasmi di Johanna, le vicende che ha vissuto, i suoi umori e i suoi amori… E ciò che accade poi infatti è che il pubblico dice che “il tempo è volato”, che sono stati “travolti, rapiti”. E in effetti io li sento respirare con me, mentre attraverso ogni paesaggio, reale ed emotivo, del percorso di Johanna… e questo deve fare il teatro: travolgere, coinvolgere, risvegliare. È un atto catartico collettivo, deve lasciare il segno… emozionare, ma anche lasciare addosso personaggi, ricordi, riflessioni… che poi ti lavorano dentro nei giorni a seguire.

E la critica?

Dicono che sul palco “incarno” letteralmente questo personaggio. Riconoscono la tecnica e lo sforzo che richiede questa interpretazione, la grande “prova d’attore” che è questo monologo… certo mi rende orgogliosa, perché ho dovuto studiare molto per riuscire a rendere questo testo di spessore così fluido, naturale, impattante, senza che la tecnica predomini sul sentimento. Sul palco non mi risparmio, ogni goccia di sudore è ben ripagata dall’emozione di cui mi faccio viatico. Mi emoziona sentire e leggere tante parole lusinghiere circa il mio lavoro, ma la soddisfazione più grande è vedere di arrivare al pubblico, raccontare una storia che porta un suo messaggio profondo: sii te stesso, non importa come, chi o quando, ma abbi il coraggio di esserlo fino in fondo. Per me, una volta che il messaggio è arrivato, ho centrato l’obiettivo.

Chi sono i tuoi compagni di viaggio?

La mia “ciurma”, come li chiamo io. Compagni di viaggio meravigliosi, che hanno condiviso ogni momento della creazione di questo spettacolo e che hanno, ciascuno con la loro arte, portato un contributo fondamentale. A partire da Andrea Balzola, autore straordinario, persona sensibile e coltissima, alla regista, Carmen di Marzo, un’attrice di grande talento e tecnica, che mi ha scelto per affrontare la sua prima regia. Fianco a fianco abbiamo lavorato a lungo prima “a tavolino” per trovare intenzioni e intonazioni, e poi abbiamo aggiunto il corpo in scena… un gran lavoro di fino su registri e mimica. Il Maestro Alessandro Panatteri, inoltre, ha composto le musiche originali per lo spettacolo, accordandosi alla mia voce e ricreando magistralmente le atmosfere che il testo suggeriva. Infine, i costumi creati da Loredana Redivo restituiscono al personaggio la sua immagine variegata e complessa: costumi di scena elaborati dopo una lunga ricerca e un attento studio, con il desiderio non di esser storicamente pedissequi, ma di restituire certamente una verità al personaggio anche dal punto di vista visivo.

L’opera da chi è stata scritta?

Da Andrea Balzola, professore autore drammaturgo regista multimediale torinese. Una persona e un artista straordinario, di una cultura e umiltà uniche. Conosciuto elaborando la mia tesi di Laurea sul teatro multimediale, si è da subito creato un feeling artistico e lavorativo molto bello, poi culminato nel progetto “Free women suite”, di cui “La Papessa” è il primo monologo. Raffinato e profondo, ha scritto per alcune delle attrici teatrali più in gamba dei nostri anni e ha dato vita a innumerevoli progetti di grande spessore. Che abbia deciso di creare e attraversare questo percorso insieme a me, mi lusinga, eccita e al tempo stesso investe di un grande senso di responsabilità.

Andrete in tour?

Abbiamo debuttato a Roma, e sono già stata in replica in Umbria e Liguria… ora sto elaborando un promettente calendario di date per la prossima stagione. Il circuito teatrale sta attraversando degli anni molto faticosi, soprattutto per quanto riguarda gli spettacoli indipendenti come questo, ma sono fiduciosa. La Papessa è uno spettacolo che colpisce e piace, un progetto necessario che nasce da un atto di amore e volontà forti, ha una sua potenza intrinseca a cui molti sono curiosi di assistere…

E dopo “La Papessa”?

…L’Imperatrice! Stiamo già lavorando al progetto insieme ad Andrea. Il percorso attraverso i sette arcani femminili dei Tarocchi prosegue… Non voglio anticipare nulla per il momento, ma posso dire che a parlare sarà appunto la carta dei Tarocchi numero III, quella dell’Imperatrice, dietro la quale si nasconde per noi un altro personaggio storico molto discusso… e che molto farà discutere di sé.

Un sogno nel cassetto?

I sogni son fatti per essere liberi, non possono restare in un cassetto. Io amo ciò che faccio e sono felice così: di incarnare ruoli, che sia a teatro o al cinema, di viaggiare, di promuovere bellezza e giustizia nel mondo a modo mio, come posso… Il sogno – che nel cassetto appunto non ho lasciato – è proprio questo. Più che altro mi auguro di poter abbracciare sempre nuovi progetti, belli e potenti e di avere una vita il più possibile vissuta nella gioia vera, nella soddisfazione. Mi piacerebbe intensificare il mio lavoro in ambito cinematografico, con nuovi personaggi, nuove storie da interpretare…. Il mio di attrice è un lavoro molto più complesso e articolato di ciò che può sembrare da fuori, non dipende dalle sole capacità e aspirazioni personali, ma ci si deve confrontare con un sistema stratificato che a volte è ingiusto e sgarbato e ti lascia l’amaro in bocca. Il panorama generale di degrado culturale e qualunquismo in cui ci muoviamo, poi, rende tutto ancora più faticoso. Ma io sorrido agli ostacoli, ho imparato a guardare sempre avanti. Ogni tanto ho il giorno storto, ma ho una fiducia in fondo al cuore che nessuno può togliermi. Quella di quando fai ciò che ti piace con amore e dedizione e lo doni al mondo con tutta la cura di cui sei capace. Tutto il resto è noia, diceva qualcuno. E prima o poi passa.

Hai un sassolino nella scarpa?

Sono molto passionale e molto insofferente ai sassolini di qualsiasi tipo… per cui tendo a togliermeli subito, di volta in volta. Per poi andare oltre. Non sono una rancorosa, ho imparato ad essere molto diretta e questo mi rende libera. In generale mi fanno arrabbiare la maleducazione, il pressapochismo, l’ingiustizia, la cattiveria, la superficialità, la chiusura… Ma affronto subito ciò che non mi piace e mi si presenta davanti…e poi lascio andare. Insomma, mi piace camminare a testa alta, comoda e libera… che sia scalza, in sneakers o sui tacchi a spillo!

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Solo un grazie di cuore per questa intensa intervista. È stato un bel viaggio nel viaggio… Grazie.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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