Roberta Calandra non smette mai di sorprendere il suo lettore: è in libreria con il suo primo libro di poesie. Non può che essere un vero successo poiché nelle sue vene scorre l’anima dell’artista nell’infinito ventaglio delle sue declinazioni. L’arte, per lei, è la vibrazione che mantiene viva e vivace la sua atmosfera emozionale, il suo sentire, la sua capacità di coinvolgere il lettore all’interno della sua narrazione e adesso della sua poesia. Conoscere Roberta è come accedere in un mondo perfetto fatto di assoluta bellezza. È una donna delicata e forte, determinata e sicura, gentile e accogliente, dinamica e amante delle sfide. Potete iniziare a incontrarla leggendo l’intervista.
Cara Roberta, ancora noi, per raccontare una splendida e soprattutto nuova avventura che sboccia nel magico mondo della tua capacità creativa. È uscito il tuo primo libro di poesie, raccontaci qualcosa?
Grazie di cuore, sempre. Questa esperienza mi ha fatto capire cosa sia la necessità: avevo qualche appunto disorganizzato al quale non davo alcun credito, paralizzato in un vecchio notebook, poi, improvvisamente, un seminario di poesia frequentato con Antonio Bilo Cannella mi ha tolto una specie di tappo, che non pensavo di avere. Il suo lavoro è qualcosa di sorprendente, oracolare, riporta alle profezie, alla Pizia, alla canalizzazione quasi medianica di contenuti inconsci; ovviamente avevo parecchio materiale a spingere, il dato sorprendente è l’estrema velocità con la quale ho composto e rivisto il tutto e l’incontro con un editore serio e puntale come Nulla die, raro, lo ringrazio qui, che in meno di due mesi mi ha scelta e pubblicata. Ci tengo a ribadire senza contributo, molti editori vengono inseriti in liste di progettualità gratuita e poi rispondono chiedendo cifre anche impegnative, pollice verso e hurrah per chi come Nulla Die si assume un rischio e lo coccola amorevolmente.
La raccolta ha un titolo che apre una finestra di riflessione ampia: “Disargini”. Perché questo titolo?
In parte ti ho già risposto: ha a che fare con emozioni che erompono fragorosamente dall’inconscio liberando l’indicibile, l’amore, la delusione, il desiderio, il dolore, l’incontro, la virtualità, l’imparare a nominarsi, la trasformazione stessa della vita durante le sue sfide principali. Ora che l’ho vissuta dall’interno la poesia mi pare il canale privilegiato per esprimete il proprio personale viaggio dell’eroe, sperando risuoni al lettore.
La poesia da sempre è un’anima che parla e si racconta, le tue poesie che temi affrontano?
L’eruzione di un’anima mi pare una chiave corretta: i temi sono i soliti, come accennavo sopra, quello che mi ha stordita è stata la capacità di comporre immagini psichedeliche, temi del mito, della religione, della letteratura, a comporre il mio desiderio di felicità ardente. Eliot, Rimbaud, Leopardi, Szymborska, Merini, gli haiku, le grandi contemporanee nazionali come Gualtieri, Candiani, Bre, tutti lì a spingere, una gara di vortici luminosi e ipersensibili, una folla di fantasmi vivi.
I libri, qualunque atmosfera attraversino e raccontino, che cosa sono per te?
La mappa a sorpresa dell’anima dell’autore, le pieghe nascoste del cuore, un mondo a parte, uno dei modi più belli di passare il tempo, secondo solo ad un abbraccio fisico.
Quando stringi un libro di poesie tra le tue mani qual è l’emozione che provi o hai provato?
Io leggo troppo velocemente, dunque il dispiacere preventivo che sia breve, poi comunque un trasporto para passionale, è feticismo lo so, ognuno compensa come ha imparato a fare, la bellezza viaggia veloce come una scarica rivivificante, ridisegna di senso il mondo quando ci sembra piatto.
Adesso l’emozione si intitola “Disargini”, c’è qualcosa che cambia?
Mi è appena arrivato il libro a casa, lo tocco come un bambino l’orsacchiotto nuovo, chiedendomi come sia possibile che lo abbia scritto proprio io e cosa devo farne… speriamo qualcuno mi aiuti! Meno male che al mio fianco ho un ufficio stampa come Elisa Fantinel, che è insieme amica, scudiero e a tratti psicoterapeuta. E accanto a lei tanti cari amici autori e attori magnifici e compassionevoli.
Quanto l’essere umano si narra attraverso le sue infinite declinazioni di essere nel mondo?
Tanto se è fortunato, e questo comunque non esenta da una buona analisi di sé, mediata o meno terapeuticamente, ma ci sono anche le droghe, solo che fanno peggio. Narrarsi è un rituale iniziatico, una volta durante un corso Alejandro Jodorowski ci fece correre in giro per poi fermarci di botto e raccontare in cinque minuti la propria vita a uno sconosciuto casuale, e poi ancora e ancora. Narrarsi costringe a individuare l’essenziale, anche quando sbrodoli.
Un limite come lo affronti?
Generalmente con paura e scoraggiamento poi, avendo appena fatto l’elogio della trasformazione, sui gomiti, piano piano ginocchia e poi tipo King Kong ululando con ogni possibile mezzo in campo per ribaltarlo. Il buddismo parla di “trasformare il veleno in medicina”, una regola d’oro, faticosa, mai abbastanza ricordata, io almeno devo ritirarmi sempre su per il codino per attualizzarla, Munchausen docet.
Sei più pantera o leonessa?
Leonessa purtroppo ma domani comincio la dieta nuova.
Perché consigli il tuo libro di poesie a chi ama ubriacarsi di parole?
Perché costa meno di due bottiglie di buona qualità e stordisce due volte tanto.
I tuoi progetti autunnali?
Ci sono tante cose in ridefinizione, ma sicuramente un romanzone proustiano in salsa pop, che spero di avere in mano per il centenario della morte del medesimo, metà novembre. C’è dentro un compendio voluminoso di temi che potrebbero sorprendere perfino chi ha letto tutto ciò che ho scritto, c’è la vita gay romana sottotraccia, i salotti da quarta di copertina, le redazioni, la memoria che cambia i confini dell’auto percezione, una folla di amabili nevrotici… insomma ancora io al quadrato, colgo la tua gentile domanda per invocare venia preventiva, comincio a stufarmi di me stessa. Poi teatro da riportare in giro, compatibilmente con la situazione esterna e una gran voglia di tornare a scrivere sceneggiature, sto facendo diversi pitch in merito e chissà, magari un giorno senza termosifone qualche novità verrà a scaldarmi sorprendendomi. Ho voglia di mettermi anche al servizio di progetti altrui. L’ultima volta che mi hai chiesto cosa volessi fare da grande ho detto l’astronauta, ora, tra i detriti emersi ho scoperto anche la segreta ambizione di diventare la terza sorella Wachoswki, se mi adottano: niente è più interessante della trasformazione.