“Libera” di e con Cecilia Lavatore e Marta La Noce, con la regia di Marco Zordan al Teatro Trastevere in Roma. “Insegnare la disobbedienza a una figlia è pericoloso. Ma è più pericoloso non farlo”, scriveva Sofocle nella tragedia dal titolo “Antigone”. Era il V secolo a.C., un bel po’ di tempo fa. Eppure, ancora oggi, abbiamo bisogno di ricordarci perché, quando e come disobbedire. Sì, ma a quali ingiustizie? Troppe. Specialmente quelle perpetrate ai danni del genere femminile, una parte di mondo che ha da tempo intrapreso la strada verso la sua libertà e verso la sua autodeterminazione, eppure tra vecchie e nuove resistenze.
In questo spettacolo l’autrice e interprete Cecilia Lavatore e la cantautrice Marta La Noce raccontano storie di donne che hanno risposto ai “venti avversi”, che hanno voluto testimoniare verità altre da quelle egemoni, che si sono talvolta sacrificate per difendere i loro sogni e le loro idee: dalla migrante Yusra Mardini all’iraniana Mahsa Amini, dalla partigiana Luciana Romoli alla musicista curda Nudem Durak.
E ancora, l’artista militante Franca Rame, la coraggiosa attrice Ilary Swank, la “pussy riot” russa Aleksandra Skochilenkoe molte altre ancora, in una carrellata di voci ribelli e tenaci. Da chi si è sottratta alla violenza domestica, a chi ha scelto di essere dissidente dei regimi dittatoriali, a chi ha lottato contro i pregiudizi. Le donne di “Libera” hanno viaggiato e viaggiano tutte in direzione ostinata e contraria e viaggiano anche per noi. “Libera” è uno spettacolo che vuole essere testimonianza e omaggio piuttosto che lezione o condanna. Corpo e cuore piuttosto che ragione.
“Allora, adesso io farò questo: proverò a raccontarvi in tre minuti la storia di una persona che conosce la guerra e conosce la pace e conosce bene lo spazio che le separa. Lei è Yusra, Yusra Mardini, classe 1998, 168 centimetri di altezza per 53 chilogrammi di ossa, muscoli, tessuti e volontà. Nuotatrice agonistica, specializzata in farfalla e stile libero. (Due cose che volano). Occhi caparbi, mani forti, coraggio sottopelle, elastici tirati come tuffi al cuore oltre il blocco di partenza, capelli legati ai dolori, sudore su costume nero, intero, fino, micro-fibra, macro-sogni, sponsorizzata Arena. Per gran parte del suo tempo immersa in acque dolci, ferme, azzurre, amiche filtrate di cloro, acque sezionate in corsie lunghe rigorosamente 50 metri, attraversate come un galeone, a vele issate, contro i venti ostinati e contrari sui quali lei batte da anni una sola bandiera, siriana. Status attuale: rifugiata. Professione: atleta. Figlia di atleta, sorella di atleta, magari un giorno madre di atleta. (Certi alberi genealogici lo fanno. Tu prendi un ceppo e tiri giù tutto l’intero quadro astrale. Tipo i punti a scala quaranta). Nasce a Damasco, decide di non morirci”, ci dice Cecilia Lavatore, tanto da conduce per mano all’interno del suo lavoro con questa intervista appassionate, vera, autentica e soprattutto “Libera”.
“Libera” un tema senza dubbio attuale, di cosa parla la drammaturgia?
Sono sette storie di donne simbolo della lotta per l’emancipazione, raccontate attraverso dettagli apparentemente trascurabili della loro quotidianità. Intrecciate ai testi ci sono le canzoni che accompagnano e seguono la linea emotiva dallo spettacolo.
Quando si è veramente liberi?
Quando si è liberi di esprimersi. Una delle ragazze protagoniste è la musicista Nudem Durak incarcerata in Turchia perché suona e canta in curdo. Da dentro la sua cella continua a fare la sua musica e a testimoniare la condizione del suo popolo, anche quella è “libertà”.
Come si fa a liberarsi?
Cercando innanzitutto una forma di liberazione interiore guidata dall’amore e portandola poi nel mondo.
Guerra e pace le facce della stessa medaglia?
Non direi proprio, la guerra si può e si deve evitare. La pace è l’unica soluzione per cui dobbiamo cercare e trovare dialogo.
Come si fa in tre minuti a raccontare una storia di vita?
Alcune fotografie narrano universi esistenziali. I racconti brevi sono per me come scatti d’autore.
Perché raccontare la storia di una nuotatrice?
Lo sport è metafora di determinazione e ancora di salvezza per molti che soffrono per i conflitti, le discriminazioni e le sopraffazioni. Il nuoto in particolare si presta a molte metafore.
Forse lo stile farfalla è ciò che la rende libera?
Certo, è uno stile per cui si necessita molta concentrazione e forza fisica, che diventa anche mentale.
Perché decide di non morire a Damasco?
Perché cerca un destino diverso che pensa di meritarsi. Nessuno merita di morire sotto le bombe.
Che cosa fa per cambiare le coordinate della sua vita?
Trova il coraggio.
È sufficiente lo sport?
Ovviamente no, può essere un veicolo però.
Perché Insegnare la disobbedienza ad una figlia è pericoloso?
Bisognerebbe chiedere a Sofocle … Però parlando seriamente la ribellione e l’irriverenza femminile è sempre stata una minaccia per la società. Ieri e ancora oggi. Ma c’è ancora domani…
Quanto, oggi, le storie di donne possono promuovere un cambiamento?
Tanto. Bisogna “fare rumore”.
Il cambiamento: utopia o possibilità?
Possibilità, urgenza.
Corpo e cuore piuttosto che ragione, che cosa significa?
Le storie sono raccontate in modo materico, viscerale. Non razionale.
Chi sono i suoi compagni di viaggio?
Le donne che Marta ed io raccontiamo sono 7, ci sono tanti compagni di viaggio, nessuno si salva da solo. La nuotatrice nello specifico viaggia con la sorella ed il cugino.
Progetti?
Tantissimi! Intanto, godiamoci lo spettacolo.
Andrete in tour?
Speriamo. Sicuramente nella regione Lazio abbiamo già diverse date fuori da Roma.
Sassolini nella scarpa ne abbiamo?
No, diciamo tutto con le nostre arti.
C’è voglia di …?
Ricerca, osservazione profonda della vita degli altri.
Vuole aggiungere altro?
No, grazie per queste domande.