Pluckley è il villaggio più infestato d’Inghilterra, è vero. Ma la vera attività paranormale qui non sono i fantasmi… sono i pettegolezzi. Veloci, invadenti e più contagiosi del raffreddore al mercatino di Natale, i gossip locali si diffondono con una velocità che nemmeno la fibra ottica può raggiungere.
Una volta ho starnutito in giardino e due ore dopo la signora Mabel mi ha chiesto se ero incinta.
Qui non serve leggere il giornale: basta andare al panificio e ordinare due croissant per ricevere un aggiornamento dettagliato su chi ha lasciato chi, chi ha cambiato parrucchiere e chi ha ordinato su Amazon un massaggiatore plantare che “vibra troppo per essere solo plantare”.
Il pettegolezzo in villaggio è un’arte, quasi una danza sociale. Ci sono livelli. Il principiante è quello che sussurra “hai sentito?” con occhi sgranati e tono teatrale. L’esperto è quello che inizia con “non voglio fare nomi, ma…”, e finisce con mappa genealogica e dettagli fiscali. Il master assoluto è la signora Higgins, che sa tutto di tutti, compresi dettagli che nemmeno gli interessati ricordano.
Rachel, dal suo bancone del pub, è spesso la prima a ricevere gli aggiornamenti in tempo reale. “Pippa – mi ha detto una sera – pare che Derek il postino sia stato visto uscire dal cottage di Molly… alle sei del mattino. Con la camicia sbottonata!” Io stavo ancora tentando di digerire una fetta di torta alla zucca e la notizia mi è arrivata come un colpo di scena in una soap.
Il problema è che il pettegolezzo è irresistibile. Come i biscotti al burro o gli ex che ti scrivono “solo per sapere come stai” alle tre di notte. Cerchi di non ascoltarli, ma alla fine ti ritrovi coinvolta. E mentre dici “io non voglio immischiarmi”, sei già lì che analizzi le possibili implicazioni sentimentali, economiche e spirituali della relazione segreta tra Derek e Molly.
Il vero rischio, però, è la deriva ossessiva. Quando ti ritrovi a fare la spesa scegliendo strategicamente la coda con la signora più loquace, solo per carpire nuove indiscrezioni. O quando accendi il bollitore e, anziché fare il tè, ti ritrovi a fantasticare su cosa nasconde il vicino nel capanno degli attrezzi (spoiler: solo zappe e un vecchio barbecue, ma vuoi mettere il brivido?).
Personalmente, ho tentato la strategia del distacco zen. Meditazione, respiri profondi, mantra tipo “non ascoltare, non commentare, non condividere”. È durata 48 ore. Poi ho saputo che Kate ha visto il reverendo al supermercato con una confezione di cioccolatini e una bottiglia di prosecco. Da allora non dormo più. A chi erano destinati?
Ma ho imparato anche una grande verità: il pettegolezzo da villaggio, in fondo, è solo un modo goffo e tenero di sentirsi parte di qualcosa. Un modo per dire: “Ti vedo. Ti ascolto. E ora lo racconterò a tutta Pluckley.”
L’importante è riderci sopra, non prendersi troppo sul serio, e, soprattutto, saper distinguere il pettegolezzo innocuo da quello cattivo. Il primo unisce. Il secondo divide. E in un villaggio dove ci conosciamo tutti, meglio spargere risate che veleni.
Per tutto il resto, c’è sempre il gin tonic. E la promessa silenziosa che, almeno stavolta, noi non diremo niente. Forse.