L’amore di Alda

Il 28 e 29 gennaio al Teatro Porta Portense a Roma debutterà: “L’amore di Alda”, un omaggio ad Alda Merini, scritto, diretto e interpretato da Alessandro Fea e Ilaria Giambini. È un viaggio teatrale e musicale nella poetica della grande artista tra le figure più carismatiche e controverse del Novecento. Un intreccio di emozioni, tra musica, poesia e letteratura.

Così la parola narrata di Alda Merini, tra le figure più carismatiche nella poesia del Novecento, diventa suono in un percorso fatto dalla musica e dagli autori a cui era più legata e affezionata, da Celentano a De André, da Tenco a Endrigo. La pièce, che vuol essere un omaggio multimediale alla grande poetessa, porta in scena i suoi diari, il suo vissuto, le sue storie, le sue poesie tra cui “I poeti”, “La Cicala” e “Le mie figlie” scelte e sonorizzate nello spettacolo. Il tutto è intervallato dalle canzoni che Alda Merini amava, arrangiate in chiave sonora: “Pregherò”, “Io che amo solo te”, “Vedrai vedrai”, “Verranno a chiederti del nostro amore”, sono alcuni dei brani della musica italiana inseriti nello spettacolo. Il regista, Alessandro Fea, racconta: “Ho voluto dare voce e suono alla visione dell’amore di Alda, quello descritto spesso nei suoi diari, che trovo di una profondità e bellezza inaudita”. Poiché: “Il suo amore più profondo, più lacerante, più malato. Ma allo stesso tempo, il più vero, vivo ed elevato. Una visione dell’amore senza filtri”.

  

La narrazione è accompagnata da suoni, sonorizzazioni che rendono il “viaggio” dello spettatore coinvolgente e intrigante. Al centro della narrazione c’è il vissuto di Alda Merini: i due ricoveri in manicomio e il conseguente rapporto con i malati, con sé stessa in quelle drammatiche situazioni, il suo rapporto con i suoi affetti. Un amore che lei ha visto vivere anche dalle persone, come lei, recluse, che la società riteneva folli, inadeguate, “malate”. Il suo amore per le figlie, argomento su cui scrive poesie e pagine dei diari incredibilmente toccanti. Da queste esperienze della vita della Merini lo spettacolo si dipana in varie strade, toccando alcune sue poesie che rappresentano la sua visione del mondo, spesso anche ironica, dura e tagliente. Alessandro Fea ci racconta questo suo lavoro con grazia e mistero, magia e passione.

Caro Alessandro, grazie per questa intervista, una curiosità: ma tu chi sei? Cosa fai?

Buongiorno! Grande piacere nel condividere con voi riflessioni sullo spettacolo. Partendo dall’inizio. Nasco coma musicista polistrumentista. Suono chitarra, piano, sitar e sono diventato compositore nel tempo, oltre ad esperienze musicali oramai decennali con gruppi vari.

Solo regista o anche attore?

Il teatro l’ho sempre amato fin da piccolo, soprattutto il teatro sperimentale, quello chiamato OFF. Essendo un fan di cinema, e dato che uno dei miei miti era da una parte Ennio Morricone, dall’altra Lou Reed e Patti Smith, ho cominciato a cercare nella sonorizzazione dell’immagine e della parola una via creativa. Cioè. Il suono stesso della voce, o all’opposto, il suono che accompagna un’immagine senza parola, possono essere grandi fonti emozionali. Studiando, ascoltando, ricercando, intorno ai vent’anni ho capito che quella era la mia via. Iniziai a scrivere spettacoli dove necessariamente ero “costretto” a fare anche regia. Non per vanità, ma perché c’erano “dei tempi scenici” che erano come partiture musicali, e sentivo la necessità di farle rispettare per dare l’emozione giusta. Ho iniziato a scrivere spettacoli come autore. L’uso stesso della voce da parte di un attore, per me è fondamentale. Le pause, la morbidezza o la durezza della voce stessa, usata quasi come uno strumento. Perché quello che chiedo a me, ai miei attori e ai miei musicisti è: emozione. Vivere loro per primi quello che esprimono. Sentirlo dentro, e poi darlo. Senza questo passaggio, puoi metterci tutta la tecnica che vuoi, per me non arriva quello che cerco di dire. Ci sono testi, partiture dove indubbiamente serve anche tecnica. Ma io non ho mai fatto regia su testi altrui.

Cosa metti in scena?

Io metto in scena solo cose mie. Testi miei, musiche mie. Al massimo musiche riarrangiate che uso come “dialogo” con l’attore e la scena.

Che tipo di musica scrivi?

Scrivo musica per meditazione, musica “Ambient” piena di suoni, sottofondi, momenti emotivi.

Ma amo anche tutto ciò che è rottura, emozione pura, dura. Sonorizzare. Questo è quello che faccio spesso.

Quali sono stati i tuoi maestri musicali?

Sono cresciuto con i Velvet Underground e Morricone. Melodia e dissonanza, ma accomunati da emozione pura. Diretta. “Poche chiacchere”. Dritto allo stomaco e al cuore. “Fammi emozionare”. Questo chiedo a me stesso e a chi lavora con me. Spesso piango quando scrivo o suono. Questo deve essere. Altrimenti è mera esecuzione. Il Rap Underground, parlando di musiche più moderne, per esempio ha questa capacità. Non la nostra Trap. Il Rap. Di rottura, di denuncia. Urlare al mondo.

Ovvero?

Ho sempre cercato cose alternative, Underground. Il suono della strada; della parola; il suono degli emarginati. Sono sempre stato attratto dalla vita di strada. Dalla vita vissuta, da storie contorte. Da personaggi borderline.

Sei anche esperto di Arti terapie integrate, ci spieghi meglio?

E lavorando quindi con il “suono” come ricerca, intorno ai 30 anni, ho deciso di approfondire la conoscenza delle Arteterapie. Perché sentivo che tutto questo lavoro di ricerca, doveva essere approfondito ulteriormente e studiato. Ho fatto un lungo lavoro di studi, e ho lavorato a lungo con disabilità gravi, in reparti di Oncologia, in centri specializzati, nelle scuole.

Da 15 anni ho creato e dirigo un progetto per donne operate di tumore al seno con l’ospedale San Giovanni di Roma, che si chiama “Se diventasse una farfalla”.

Che cosa fai?

Seguo bambini e adulti con autismo, e collaboro con progetti in carcere. Ed è una parte di me fondamentale. Perché usare le Arti per aiutare, supportare, aiutare ad evolversi, è una cosa incredibile. Ti riempie come poche cose.

Nel 2010 è uscito anche un tuo libro, come si declina nella tua professione?

Scrivo spettacoli teatrali perché voglio dare voce a storie diverse, ai margini, storie nascoste.

Nel 2010 scrissi il libro “Teatro” (Editoria e Spettacolo) proprio perché volevo e speravo che le mie storie fosse anche lette, non solo viste a teatro.

E perché affidare alle pagine di un libro la tua esperienza di artista?

Il libro secondo me ha ancora oggi una grandissima valenza. Rimane, sta li. Puoi prenderlo, riprenderlo, posarlo, scriverci sopra. Un rapporto che va oltre la semplice lettura.

Perché hai “scelto di dare voce e suono alla visione dell’amore di Alda”?

La Merini per me è stata una folgorazione, ho sentito delle affinità pazzesche tra la sua arte e la mia. Non tanto per la parte poetica. Ma per la scrittura dei diari. Un descrivere e vivere nella totalità ciò che viveva. Senza filtri. Diretto. Al cuore. Alla pancia. Inoltre, ho scelto di fare un omaggio ad Alda Merini perché, teatralmente, il mio percorso di autore tocca e descrive spesso situazioni e personaggi ai limiti della società. Emarginati, situazioni borderline, sono al centro della mia ricerca e del mio scrivere. Perché è lì che trovo la profondità umana, il sentimento puro, la genialità spesso nascosta, la sincerità senza filtri, ma sentita dal cuore. Ho usato la storia della Merini per aggiungere un altro segnale teatrale al percorso personale di ricerca di storie vissute ai limiti della società.

Cosa rappresenta Alda Merini nell’immaginario collettivo?

Due volte in manicomio. Una cosa che sconvolgerebbe chiunque. Eppure, ha avuto la forza mostruosa di reagire, di vivere. Soprattutto il coraggio di essere sé stessa. E la parte più potente sono appunto i suoi diari, i suoi scritti, dove la sua voce narrante ti trasposta nel suo mondo, nella sua sofferenza. Ti trascina in un mondo sotterraneo dove la sofferenza, come dice lei, diventa martirio. Eppure, ha vissuto lo stesso, ce lo racconta. Ci sono dei passaggi nei suoi diari che fanno venire la pelle d’oca per la potenza che hanno. I suoi amori così devastanti, così profondi e viscerali, per le figlie, per amori sognati e mai avuti. Una donna che è stata sé stessa anche nell’esprimere lei stessa amore. Un personaggio scomodo da capire e gestire, come raccontano spesso le figlie. Ma a mio avviso “vero”. Che per è me è l’essenza dell’arte: la verità.

Non solo Alda Merini ma anche melodie di cantanti italiani, come si armonizza il tutto?

Accomuno dentro di me alla poetica e narrazione della Merini, quella di Lou Reed. Sono per me due figure che mi lasciano senza fiato. Artisti “Underground”. Narratori di un mondo sommerso.

E l’inserimento di alcune canzoni storiche italiane è voluto proprio in funzione della passione che lei aveva per certi cantanti. Cantanti apparentemente semplici forse, nell’immaginario collettivo. Ma che invece avevano per lei una profondità che a lei emozionava. In cui vedeva qualcosa che andava oltre alla canzone stessa.

“L’amore è sofferenza, pianto, gioia, sorriso. L’amore è felicità, tristezza e tormento (A. Merini)”, e poi?

L’amore è vivere l’amore come viene. Non si può controllare l’amore. Mai. È il più grande errore razionalizzare. Va vissuto a fondo, nel bene e nel male. Perché ci insegna sempre qualcosa. Sempre. Alda andrebbe studiata a scuola secondo me.

Perché il suo testamento umano è qualcosa di talmente prezioso che andrebbe custodito nei nostri cuori.

In questa epoca social c’è ancora tempo per l’amore?

Ho due figli adolescenti e vedo tutti i giorni il loro rapporto con l’amore. Ho smesso di criticarli, perché è chiaro che è lontano anni luce da quello che potevo essere io e la mia generazione. Ed è giusto che loro vivano la loro epoca nel bene e nel male. Sono amori superficiali, sono amori da messaggino, da Instagram. Sono amori dove la conoscenza dell’altro si ferma alla facciata. Tutto veloce, tutto subito, tutto gettato via. E questa è la pericolosità. Il non approfondire. Il non fermarsi a conoscere l’altro. Vivere nel proprio Io. I social volevano forse proprio questo. Non è colpa dei giovani. È di chi ha permesso tutto questo e non li aiuta oggi a tornare al contatto umano, alla socialità vera, faccia a faccia.

Cosa ti aspetti dal pubblico?

Spero che il pubblico possa apprezzare questo spettacolo, soprattutto coglierne la messa a fuoco diversa nel rendere omaggio ad Alda. Suono, parola, emozione.

Progetti 2023?

Nel 2023 per fortuna ho tanti progetti. Uscirà ora un mio disco di musica strumentale che si chiamerà “L’essenza”volutamente strumentale come colonna sonora ad un percorso di emozioni. Che presenterò dal vivo a marzo. Continuerà un progetto chiamato Dream of Sophia, in collaborazione con Danilo Simoni e Luca Vicini (bassista dei Subsonica e produttore). Ad aprile tornerà in scena un mio vecchio testo teatrale. chiamato 7 Sogni, con dei bravissimi attori.

Una storia Underground a cui sono legatissimo, perché all’interno c’è un personaggio femminile di una Gattara, che è vicinissimo alla Merini! Con l’attrice che interpreterà Adriana stiamo facendo un grande lavoro su questo personaggio.

 

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