Mary Ferrara, attrice, critica teatrale cinematografica e musicale, dà vita a una Sora Lella inedita, mostrando anche la delicatezza e la fragilità di una donna a trecentosessanta gradi, che ha saputo con ironia e innata forza, nascondere le sue personali sofferenze. Incontrare Mary è stato come accedere in un mondo nel mondo fatto di cose semplici, genuine ma dense di un’alchimia magica che rende tutto assolutamente perfetto. Racconta con la profondità del suo sentire questo nuovo progetto, che sarà in scena il 15 ottobre al Teatro Garbatella a Roma, portandoci dentro al mondo di Sora Lella. È come entrare da una porta segreta per accedere a un mondo fatto di cose semplici ma dense di significati, di emozioni celate che si esprimevano con la cura del cibo e l’attenzione all’altro, il tutto condito con un’etica raffinata e profonda. Dialogare con lei toccando le anse e gli anfratti più intimi che raccontano la vita della Sora Lella è stato come vivere quel mondo e quell’atmosfera romana dove il còre fa da padrone e l’altro ne diventa co-interprete e protagonista. Dar vita a un personaggio così intenso come la Sora Lella è stata una sfida intrecciata in emozioni, sensazioni, ricordi, atmosfere che hanno fatto sì che il tutto si dipanasse in una narrazione generosa e ricca di spunti di riflessione. Lo spettacolo “L’acqua e la Farina” non è solo il racconto della relazione tra la Sora Lella e il fratello Aldo, all’interno c’è cucita la trama storica di una romanità che in gran parte è andata persa. Mary Ferrara ci porta all’interno di questo suo lavoro teatrale raccontando non solo di sé stessa ma anche di tutto quello che armonizza questo suo essere interprete della Sora Lella.
Cara Mary, vestirai i panni della Sora Lella, quante emozioni per questo personaggio? Emozioni che partono dall’adolescenza.
Perché?
Sono cresciuta con i film di Verdone. La Sora Lella era il mio mito, e poi era la nonna. La nonna di tutti. Così quando Mauro mi ha chiesto di interpretare la nonna, ovviamente c’è stato un momento di shock, mi sono chiesta: “come posso affrontare il mio mito? Per me è intoccabile”. Di tutti i personaggi che potevano propormi non avrei mai pensato di vestire i panni di Sora Lella, ma così è stato!
E poi?
Dopo lo shock iniziale ho iniziato a lavorare su di lei cercando di reperire più informazioni possibili. Sono state tutte informazioni, racconti, aneddoti che mi riempivano il cuore, l’anima, conducendomi a vedere e scoprire altre sfumature che vanno ben oltre il personaggio, ma arrivano alla persona. Ti posso dire che è un’emozione continua.
Dalla testa al cuore?
Esatto, esatto. È un percorso che esula un po’ da quello che dovrebbe essere un percorso “tecnico” tra virgolette, è un lavorare sulle emozioni, sulle sensazioni. Poi ovviamente c’è anche la “tecnica”. Sora Lella era una donna molto particolare sia fisicamente sia vocalmente, per cui per darle credibilità sto facendo un lavoro di ricerca vocale e fisica nelle posture che possano ricordarla al pubblico non solo per quello che lei era come personaggio ma anche come persona.
Un lavoro su un doppio binario?
Un doppio binario che inevitabilmente si deve fondere in un’unica direzione. La Sora Lella è narrata in una veste inedita, più intima, più interiore, più privata, sebbene ci siano molti richiami a lei come le sue risate e il suo: “annamo bene”. Inoltre, la sua grande dignità, la sua riservatezza per proteggere e non far preoccupare i suoi cari.
È un lavoro più personale?
Esatto, esatto. Volevo che fosse conosciuto quell’aspetto. Quando ho iniziato a lavorare nel personaggio ho studiato tutto quello che potevo studiare, Mauro mi ha aiutata a farmela conoscere per quello che era, mi ha fatto accedere alla sua vita lontana dai riflettori. Ho letto il libro del papà di Mauro, dove mette insomma in evidenza alcune vicende familiari che avevano segnato la vita della Sora Lella. Con questo bagaglio mi sono chiesta: “ma io al pubblico cosa voglio raccontare? Come voglio narrare la vita di questa donna così intensa e densa di significati e insegnamenti?”.
Cosa ti sei risposta?
Ho deciso di mettere luce sul rapporto tra la Sora Lella e il fratello Aldo, affrontando alcuni aspetti poco conosciuti.
Nell’immaginario collettivo cosa rappresenta la Sora Lella?
La Sora Lella è l’emblema della romanità. Carlo Verdone la descrisse bene quando diceva che era: “una delle ultime matrone romane”. Quelle matrone accoglienti, sempre pronte a dare una mano, dedicata alla famiglia, alla cucina al benessere degli altri prima del proprio.
Una donna che ha cura dell’altro?
Esatto, esatto. L’immagine che ho sempre avuto di lei era di una donna accogliente che ti abbraccia e ti fa sentire attraverso il suo abbraccio la spinta alla vita, alla sopravvivenza nonostante la fatica, i dolori, dell’esistenza.
Che cosa hai scoperto di questa straordinaria donna?
Ha avuto, almeno all’inizio, una vita faticosa. Ha sofferto la povertà, ha vissuto lutti importanti come la perdita del padre quando ancora era una bimba molto piccola. Ha sentito fendere nella sua anima la spada gelida della solitudine, della fatica, vivendo privazioni come tante persone di quel periodo. Quelle mancanze l’hanno sicuramente forgiata nella donna che è diventata con un occhio sempre attento all’altro, ai bisogni degli altri. Una donna dalla grande dignità.
Com’è lavorare con il nipote della Sora Lella?
Ehm, piange sempre! Conosco Mauro da trent’anni. Ci siamo un po’ persi di vista ma poi ci siamo ritrovati ed è nato questo lavoro. Mauro è una forza, un’emozione continua, ha l’entusiasmo del principiante in più si emoziona e piange sempre, e lì capisco che la mia interpretazione è corretta e aderente alla realtà. Per me lui è un grande supervisore, è fondamentale la sua reazione, mi rassicura. Il nostro è un modo di lavorare genuino e appassionato che ha dato vita ad una commedia delicata, poetica.
Raccontaci di più?
Qualche anno fa ci siamo ritrovati ed è stato come se non ci fossimo mai lasciati, mai persi di vista. Lui ha avuto l’idea di portare in scena qualcosa su sua nonna. Nessuna prima di adesso aveva scritto o fatto qualcosa. Piano piano l’idea ha preso corpo ed è nata la stesura teatrale. Volevamo centrare la narrazione sul rapporto tra Sora Lella e lo zio Aldo, poiché Mauro aveva da poco letto l’ennesimo articolo su quale si raccontava che non andavano d’accordo. Non è questa la realtà. Così per sfatare questa credenza abbiamo realizzato questo spettacolo per chiarire una volta per tutte questa falsa interpretazione del loro rapporto. Anche io ho pianto, per l’enorme responsabilità, ma ho voluto fidarmi di quello che Mauro mi diceva sin dall’inizio, su ciò che ha visto su di me.
E poi?
Ho coinvolto Antonio e Alessio comprendendo che era fondamentale per Mauro interpretare sé stesso.
Ti sei ispirata alla Sora Lella di Verdone?
Il mio ruolo non è la sora Lella degli ultimi anni, quella di Verdone, per intenderci, ma più giovane. Ho fatto un grande lavoro per entrare nella parte. Come ti ho già detto, una delle tante sfide è stata riuscire a fare la sua risata: vedere Mauro, che mi guarda con gli occhi lucidi, è stata la conferma che, sì, era quella la risata di sua nonna.
Aldo che cosa rappresentava per la Sora Lella?
Era il suo mondo. È stato lui a crescerla, ad accudirla, a consigliarla, ad ascoltarla. Aldo era per la Sora Lella in assoluto il primo punto di riferimento. Aldo era, ho letto delle lettere, tutto il suo mondo. Avevano un rapporto molto stretto.
Debutterete al Teatro Garbatella, cosa ti aspetti dal pubblico?
Innanzitutto, che venga a teatro! Siamo felici perchè stiamo avendo un gran riscontro. Spero sempre che il pubblico si diverta e che trovi il motivo per tornare a teatro. Poi in realtà non ho grandi aspettative. È una commedia poetica, leggera e raffinata nella sua comicità, non abbiamo nel testo delle parolacce per far ridere il pubblico. Ci sono solo 2/3 parolacce dette dalla Sora Lella che fanno parte del suo personaggio, direi degli interventi un po’ folkloristici. Per il resto è una commedia molto delicata, profonda. Parla di famiglie che tuttora vivono e lavorano, dando comunque ancora lustro alla città di Roma.
C’è un messaggio nel messaggio?
Vogliamo ricordare che cos’è la romanità, quella spontanea, quella genuina. È anche uno spaccato umano che magari non tutti conoscono perché focalizzati più sui personaggi e sulle persone.
Una curiosità: da grande cosa farai?
Bella domanda! Ho imparato a gustarmi giorno dopo giorno con tutte le gioie e le esperienze che la vita mi regala. Vedremo il mio motto è: carpe diem.