Giovedì 26 gennaio ha debuttato al Teatro Nino Manfredi: “I giganti della montagna” di Luigi Pirandello per l’adattamento e la regia di Claudio Boccaccini. Interpreti: Felice della Corte, Sivia Brogi, Marina Vitolo, Marco Lupi, Fabio Orlandi, Titti, Cerrone, Luca Vergoni, Marco Guidotti, Anastasia Ulino, Michele Paccioni, Carmelo Stifano. I costumi sono affidati a Lucia Mirabile. Tecnico di luci e fonica: Andrea Goracci. La collaborazione artistica di Sonia Remoli, l’assistente alla regia Martina Defedilda, la grafica di Giorgia Guarnieri.
“I giganti della montagna” sono un vero e proprio testamento spirituale e artistico di Luigi Pirandello rimasto incompiuto: lo scrittore, infatti morì prima di averlo terminato. Rappresenta l’ultimo passo dell’assidua ricerca del drammaturgo siciliano e il culmine della sua riflessione metateatrale. Uno spettacolo ancora attuale, che allude a una progressiva decadenza culturale e al conseguente smarrimento che ne deriva e che anche oggi ci circonda.
Il gruppo degli “Scalognati”, guidati dal mago demiurgo Cotrone, e la “Compagnia della Contessa”, rappresentano la volontà della Poesia e del Teatro di resistere al degrado. Ma il Teatro e la Poesia sono destinati a fallire in una società che dimentica, sostituisce e procede senza pietà per gli individui.
Il regista Claudio Boccaccini, in questo suo lavoro, rende omaggio agli “orli della vita” e al loro distaccarsi “per far entrare l’invisibile”. Omaggia, cioè, la grazia sublime di certi incontri in cui la realtà giunge al cospetto dell’immaginazione, l’umano al cospetto del divino, la vita al cospetto della morte.
Quest’ultima opera di Pirandello riguarda l’incontro degli incontri: quello in cui la vita si trova di fronte alla morte. L’impegno di Boccaccini è stato quello di rintracciare tutte le preziose suggestioni sedimentate nel testo per poi tradurle in una singolare messa in scena.
“Ho paura, ho paura…” sono le ultime parole scritte da Pirandello prima che la morte lo sottraesse alla stesura della parte finale del testo, come se il destino avesse voluto delegare ai posteri il compito di immaginare una conclusione volutamente interrotta. Silvia Brogi ci racconta questo spettacolo raccontandosi in un gioco di chiari scuri che rendono la narrazione avvincente e unica.
Cara Silvia, eccoci qua, che dire ogni gigante ha la sua montagna?
Beh, nell’accezione metaforica che Pirandello dà al termine, i giganti rappresentano coloro divenuti sordi alle ragioni dello spirito e del cuore, ottusamente tesi solo a raggiungere risultati materiali e per i quali la poesia e l’arte sono superflue, inutili. Quindi direi di no, per i giganti le montagne sono… montagne, sono tutte uguali.
Luigi Pirandello è sempre un’emozione unica, non credi?
Certo che sì. E il suo pensiero visionario, e caustico nei confronti soprattutto delle convenzioni borghesi e delle meschinerie umane, è ancora oggi potentemente provocatorio e attuale.
Non solo questa sera si recita a soggetto ma c’è qualcosa in più su cui focalizzare l’attenzione: un testamento spirituale e artistico dell’immenso Luigi Pirandello, raccontaci di più?
I giganti della montagna, ultima incompiuta opera di Pirandello, è il culmine della sua riflessione metateatrale (oltre a “Questa sera si recita a soggetto” che citavi, anche “Sei personaggi in cerca d’autore”, testi dove dove attraverso il meccanismo del ‘teatro nel teatro’ l’arte si interroga su sé stessa) e sintesi dei temi a lui cari: quali sono, se ci sono, i confini tra verità e finzione, tra realtà e sogno? Sono più reali gli esseri umani o i personaggi immaginati da un poeta? E noi siamo come ci percepiamo o come ci vedono gli altri?
Gli “orli della vita” quanto sono incisivi e quanto permettono di far entrare l’invisibile?
Pirandello, tramite il suo demiurgo Cotrone, usa questa espressione forse per indicare il crinale che divide la realtà dalla finzione – o la vita dalla morte, come la regìa di Claudio Boccaccini sottolinea. Un diaframma, comunque, un portale verso altri mondi, verso strati più profondi dell’essere, cui ha accesso però solo chi è “disposto a lasciarsi incantare”. D’altronde Pirandello è sempre stato attratto dall’invisibile (da rintracciare nelle pieghe di una follia non totalmente espressa, da verità coperte da altre realtà). I giganti della montagna sono la sintesi di tutte queste tematiche.
“Ognuno sta solo nel cuor della terra trafitto da un raggio di sole, scriveva S. Quasimodo eppure l’esser solo di fronte all’ignoto fa gridare dentro l’anima: “Ho paura, ho paura…”, non credi?
Eh, sì. Ma i due concetti non sono in antitesi, anzi, sono due facce della stessa medaglia…. E cioè: siamo soli. E in viaggio da e verso l’ignoto. Pirandello sapeva di essere alla fine del suo passaggio sulla terra, e nella scrittura di questo suo ultimo incompiuto testo non riesce ad arrivare oltre queste parole “Io ho paura, ho paura”, diventate le ultime parole dell’intera sua opera. E forse, considerato quanto il suo pensiero si è dimostrato profetico, questa paura investiva il futuro stesso dell’arte e della poesia, che temeva destinate a soccombere dinanzi a una società che a grandi passi (a passi di gigante…) già si avviava verso una decadenza culturale e sociale dove non ci sarebbe stato più spazio per le domande che solo l’arte e la poesia sono in grado di suscitare.
Come attrice che insegnamento ti ha regalato L. Pirandello?
L’opera di L. Pirandello è talmente vasta e densa che è necessario usare il plurale: gli insegnamenti, le rivelazioni direi anche, ricavati dalla lettura, studio, interpretazione dei suoi romanzi, racconti, commedie – iniziati fin dai tempi della scuola (all’esame di maturità portai proprio Pirandello… ) e proseguiti con costanza negli anni – sono innumerabili, la sua opera è fonte inesauribile di riflessione, scoperta; a ogni rilettura si colgono nuovi aspetti, nuove suggestioni, nuove prospettive. Cosa, del resto, assolutamente in linea con il suo pensiero: se ognuno di noi è diverso per ciascun altro (uno, nessuno, centomila) allora noi stessi, col passare del tempo, diventiamo altro dal noi stessi precedente, e le parole che leggiamo o ascoltiamo in un tempo della nostra vita assumeranno, in un altro tempo, un senso diverso…. Così come ogni interprete darà vita, ad esempio, a un personaggio un po’ diverso, anche se pronuncerà le stesse parole. Questa è una grande bussola, per me attrice e per me persona. Ho interpretato molte opere di Pirandello: Così è se vi pare, La morsa, Enrico IV, Vestire gli ignudi, Cecè, All’uscita, O di uno o di nessuno, Sei personaggi in cerca d’autore, un adattamento de Il fu Mattia Pascal e ora I giganti della montagna.
Chi sono i tuoi compagni di viaggio?
Primo fra tutti il regista Claudio Boccaccini, che è anche il mio compagno di vita. Claudio è un profondo conoscitore dell’opera di Pirandello, di cui ha messo in scena negli anni moltissimi testi, che ha saputo sempre porgere al pubblico (soprattutto a quello più giovane) esaltandone gli aspetti e i contenuti più affascinanti con immaginifica visionarietà, come del resto anche in questo ultimo allestimento, disseminato di immagini e suggestioni magnifiche. Al lavoro con lui devo il disvelamento di molti degli aspetti presenti nell’opera di Pirandello e la sua guida è stata fondamentale per costruire il difficile personaggio di Ilse. Poi Felice della Corte, che interpreta Cotrone, un grande amico e sodale. E poi gli altri attori Marina Vitolo, Marco Lupi, Fabio Orlandi, Titti Cerrone, Luca Vergoni, Marco Guidotti e i giovani Anastasia Ulino, Michele Paccioni e Carmelo Stifano. E per finire l’ottimo staff ‘dietro le quinte’ : la costumista Lucia Mirabile, il tecnico audio/luci Andrea Goracci, l’aiuto regia Sonia Remoli, l’assistente Martina Defedilta, la grafica Giorgia Guarnieri. Beh, di questi tempi, siamo tanti no?
Tu che ruolo fai?
Io interpreto appunto Ilse, detta la Contessa, personaggio complesso, rischioso anche, animato dalla bruciante frenesia, dalla ferrea volontà di portare le sublimi parole di un poeta agli altri uomini. Nel girovagare con la sua sbandata Compagnia in cerca di un luogo per rappresentare “La favola del figlio cambiato” e di un pubblico disposto ad ascoltare, approderà nella villa, nel ‘mondo’ di Cotrone e dei suoi Scalognati. Cotrone tenterà invano di convincerla a restare lì, dove regna l’immaginazione, e rappresentare l’opera per loro che credono ai fantasmi più che ai corpi. Ma Ilse è il Teatro. Deve vivere tra la gente, rischiare, offrirsi, inerme e vulnerabile, anche a un pubblico che forse non capirà. E che alla fine la annienterà.
Recitare al Nino Manfredi quanta emozione porta in sé?
Tantissima. Emozione e gratitudine. Il teatro Nino Manfredi è un luogo a me particolarmente caro, che ho visto nascere e dove ho recitato in almeno 15 diversi spettacoli. Sono legata da profonda amicizia al direttore artistico Felice Della Corte, ai suoi soci e a tutto lo staff, sono dei veri compagni di viaggio, dei folli che hanno fatto grandi sacrifici, ma sempre con grande entusiasmo e divertimento, per tenere in vita un avamposto della cultura diventato ormai un punto di riferimento per il territorio non facile del Lido di Ostia. Il pubblico ci conosce, ci accoglie con fiducia e affetto, tornare è ogni volta una gioia… E rincuora.
Andrete in tour?
Sicuramente. Forti anche dell’ottimo riscontro che sta ottenendo questo primo debutto al teatro Nino Manfredi, lo spettacolo riprenderà le repliche a partire dalla prossima stagione estiva e dalla stagione invernale 2023/24 e seguenti. Ci auguriamo di tenerlo in vita a lungo e stiamo lavorando per questo.
Progetti?
Tanti, sempre. Vedremo cosa si concretizzerà. Intanto naturalmente questo spettacolo, che ha appena iniziato il suo cammino. Poi riprenderò le repliche de “La supplente” di Giuseppe Manfridi per la regia di Claudio Boccaccini, monologo che porto in scena dal 2008. E, in primavera, l’avvio di un nuovo progetto teatrale (entusiasmante) incentrato su un tema di forte impatto sociale di cui però…. Shhhh, non si può ancora dire nulla…!