Come in un film di Muccino

Il 9 luglio al Festival Teatro Marconi andrà in scena: “Come in un film di Muccino” scritto e interpretato da Alessandra Merico, un monologo tragicomico. Gabriele Muccino è uno dei pochissimi registi verso i quali c’è una netta separazione tra chi lo ritiene il simbolo della decadenza culturale e chi i suoi film li apprezza. È il melodramma mucciniano, quel che meno gli viene perdonato dai suoi odiatori, cioè la messa in scena dei contrasti con le tinte più forti possibili. Le amanti, i fidanzamenti, i tradimenti e gli amori impossibili sono guardati non solo come eventi privati ma per come distruggono un nucleo familiare, influenzano figli e squassano le vite delle persone accanto ai protagonisti. Come un’onda d’urto le passioni incontrollate e inconfessabili che da sempre sono l’oggetto di ogni melodramma (quelle extra matrimoniali, segrete, proibite o nascoste) nei suoi film non scatenano una trama personale ma di gruppo.

   

“Il tema del mio monologo – racconta Alessandra Merico – microfono alla mano, sono i drammi. Figlie delle eroine greche, noi, Giulie moderne, ci aggiriamo nella società a rimettere in piedi le nostre trame preferite. Una su tutte: la triangolazione. Primo dramma: trovare qualcuno che sia emotivamente indisponibile, che ti metta sempre al secondo posto. E sul podio prima di me ho visto di tutto, dalla madre a un’altra donna, da una ex a un’amica, persino un cane ha vinto la medaglia d’oro a mio sfavore. A seguire i drammi familiari, da quelli dei parenti più stretti a quelli più lontani, i problemi dei quali, non si sa come, riescono comunque a riversarsi sulla tua vita. In seguito, i drammi quotidiani: dal cercare parcheggio al trovare il giusto ginecologo, il giusto parrucchiere, la palestra che non ti faccia sentire inadeguata, l’estetista che non ti lasci coi peli a Ferragosto, un’amica single con cui poter continuare ad avere una vita sociale. E, per finire, come non parlare del dramma più importante di tutti: quello generazionale. Una generazione, la mia, che è stata illusa su tutto”. Alessandra Merico si racconta e ci racconta il suo lavoro in questa intervista appassionate.

Cara Alessandra, raccontaci di te…

(se radiofonica: Buongiorno…)

(se scritta)

Per raccontavi di me devo partire dalle mie origini che hanno contribuito in maniera determinante alla mia formazione, come attrice e come autrice, in quanto sono per metà pugliese, per metà toscana, cresciuta a Bologna e ormai trapiantata a Roma dal 2005 per studiare recitazione: qui, infatti mi sono diplomata all’Accademia Internazionale di Teatro mentre, successivamente, mi sono specializzata in “Drammaturgia scenica” e “Attrice performer” al Teatro Stabile dell’Umbria. La passione per la scrittura l’ho avuta da sempre e ho iniziato a scrivere commedie da subito: pensa che la mia prima drammaturgia risale ai tempi della quarta elementare… parlava del tema dell’inclusione, visto che la mia era una delle prime classi che effettuavano il tempo pieno a Bologna, e che c’erano molti bambini proveniente da vari paesi con i quali condividevamo le ore di scuola.

Ho iniziato a lavorare quasi subito, avevo voglia di mettere a frutto quello che imparavo in Accademia sulle tavole del palcoscenico, per conto mio. Ha collaborato con diversi artisti, tra cui: Michele Placido, Valerio Massimo Manfredi, Sebastiano Somma e Athina Cenci. Nel 2018 sono andata in scena con la mia prima commedia al Teatro Sette “Non ti vedo da vicino”,  insieme a Enzo Casertano, Fabio Avaro e Danila Stalteri e nel 2019 al Teatro degli Audaci con “Stringimi che fa Freud” con Patrizio Cigliano, Alessandro Salvatori e Vanina Marini, entrambi per la regia di Vanessa Gasbarri. Nel 2019 ho vinto il primo premio “Sipari di Periferia” istituito dalla Regione Puglia con il mio monologo “Penelope. L’abitudine di restare” (tra l’altro il primo spettacolo ad essere rappresentato all’interno del contesto storico diCastel del Monte con il patrocinio dell’Unesco). Attualmente sto girando l’Italia con due mie commedie: “Io e Kate”  (liberamente ispirato al film “Io e Caterina” di Alberto Sordi), e “Game Lover” entrambe recitate insieme al collega Enzo Casertano; e con i miei monologhi comici “Vita grama di un’eroina moderna” e “Come in un film di Muccino”.

Il 9 luglio debutterai con un tuo lavoro dal titolo: Come in un film di Muccino, dove nasce questa idea?

L’idea nasce dal fatto che, più o meno, un anno e mezzo fa ho deciso di cambiare il mio approccio nei confronti dei testi che intendevo scrivere e, soprattutto, nei confronti del pubblico. Dopo aver assistito all’esplosione nei teatri, e non solo, degli spettacoli di standup commedy, restando molto coinvolta dalla visione degli spettacoli dei vari colleghi, che vedevo calarsi in testi comici in maniera più profonda, sporcandosi davvero le mani, interpretando personaggi e spaccando la quarta parete mi sono detta: “voglio farlo anch’io, voglio lanciarmi senza paracadute”. Così è nato il mio primo monologo “Vita grama di un’eroina moderna”, nell’esecuzione del quale mi sono lanciata in pasto al pubblico, per la prima volta, non come un’ attrice che interpreta un personaggio ma come un’autrice che mette a servizio la propria attorialità per interpretare sé stessa. Volevo dare voce al mio punto di vista nel modo più diretto possibile, senza filtri, in alcuni casi senza un testo completamente definito (ci sono delle parti di scrittura che lascio aperte, in base alla reazione del pubblico), senza una maschera, e portando anche in scena tre personaggi estremi, facendone la parodia. La paura di questa nuova modalità mi spaventava a morte. Mi ricordo che, prima di scendere in scena, ero terrorizzata. Ma dopo 5 minuti che stavo su quel palco, in quella nuova veste, dando in pasto al pubblico i miei drammi col fine di esorcizzarli attraverso le loro risate, ho capito che non avrei più smesso di farlo. Così, un anno dopo, in modo più consapevole, ho scavato ancora di più nel profondo per capire cosa volessi comunicare davvero, non era più solo un esperimento, ma una scelta precisa, ed è nato “Come in un film di Muccino”, uno spettacolo che parla a tutti della mia generazione.

Perché Muccino?

La prima volta che ho visto un film di Gabriele Muccino avevo sì e no quindici anni e so di aver pensato subito: “che ansia”. Ma al di là di quello che razionalmente avevo potuto comprendere da quel film, il mio animo uscì dal cinema turbato emotivamente su un piano profondo. “L’ultimo bacio” era uno spaccato sui trentenni così modernamente e precisamente descritto che mi si aprì di fronte a me lo scenario del mio futuro. Mi sentivo destinata a essere una Giulia. Una donna apparentemente forte, sempre a contatto con uomini incapaci di crescere e di assumersi le proprie responsabilità, intrisa fino al collo di drammi borghesi.

E, come se non bastasse, nove anni dopo, uscì “Baciami ancora” ed io, figlia di genitori separati, vissi un doppio transfert nella sala del cinema: il futuro dramma dei quarantenni che avrei dovuto scansare crescendo, il dramma dei figli che vivevano a loro volta i casini dei genitori. Piansi tutto il film. Ero l’unica in tutta la sala coi fazzolettini in mano.

Un po’ come mi accade ogni volta che vedo il finale di “Sapore di mare” quando un giovanissimo Jerry Calà scrive sul bigliettino a Marina Suma che è sempre lei la più bella, sulle note di “Celeste nostalgia”. Certe corde nell’animo vengono suonate da strumenti sconosciuti e non sai spiegarti il perché. Ma quello che ho sempre saputo, e che ancora so, è che io sono una Giulia, incasinata, indecisa, tradita, amata e amante, vittima e carnefice, lottatrice, sognatrice, proiettata su qualcosa che non c’è o a rimpiangere ciò che non sono riuscita a fare. Sono una Giulia piena di paure che urla al suo Carlo, beccato in flagrante a chattare con un’altra, “Chi cazzo è Francesca? È bella?  È più bella di me?”. E poi ne fa un dramma borghese.

Secondo te perché il pubblico è così diviso su questo regista? Che cosa non gli viene perdonato a Muccino?

In effetti, Gabriele Muccino, è uno dei pochissimi registi verso i quali c’è una netta separazione tra chi lo ritiene il simbolo della decadenza culturale, e chi i suoi film li apprezza.

È il melodramma mucciniano, quel che meno gli viene perdonato dai suoi detrattori, cioè la messa in scena dei contrasti, senza sfumature ma nel modo più estremo che esiste.  Le amanti, i fidanzamenti, i tradimenti e gli amori impossibili sono guardati non solo come eventi privati, ma per come distruggono un nucleo familiare, influenzano figli e squassano le vite delle persone accanto ai protagonisti. Le passioni incontrollate e inconfessabili che, da sempre, sono l’oggetto nei suoi film di ogni melodramma (quelle extra matrimoniali, segrete, proibite o nascoste), sono un’onda d’urto incontrollabile che non scatena una trama personale ma di gruppo. Muccino entra nell’intimità della vita di ognuno, e la scandaglia a fondo facendoci vedere tutti i pezzi della nostra vita lì davanti a noi, e questo fa paura, e crea anche un senso di vergogna perché ci vediamo emotivamente nudi. I suoi film senza grandi morali, senza trancianti giudizi ci dicono che spesso i progetti personali vanno in fumo, e ci troviamo davanti ai cocci di quello che pensavamo potessero essere le fondamenta della nostra vita, eppure siamo ancora lì in piedi. Per citarlo “la vita non ci da sempre le cose come le vogliamo, l’importante è che ce le dia”.

Quello che Muccino fa, anche nei film meno riusciti, è esprimere uno stile tutto suo, una visione di cinema che non si poggia sulle spalle di altri, ma coltiva un proprio campo da gioco e mira a dire qualcosa che non è la ripetizione dei soliti cliché, ma ne fonda di propri. Piacciano o meno i singoli film, in Muccino c’è un modo di vedere la vita che è suo e che è espresso in maniera originale.

Nel tuo melodramma si intrecciano amanti, fidanzamenti, tradimenti e amori impossibili qual è il tuo pensiero su questi argomenti?

Penso che la vita sia complicata e che ognuno debba gestire le relazioni personali nel modo che crede più giusto, l’importante è non ferire gli altri. Relazione aperta? Purché vada bene a entrambi. Amori impossibili? Purché tu sappia che se cerchi qualcosa che non puoi avere è perché in realtà vuoi stare solo. Ipocrisia coniugale? Purché a entrambi vada bene non guardare cosa c’è sotto il tappeto. Sto semplificando ovviamente, ma credo che la cosa più importante sia acquisire consapevolezza.

Sembra facile ma non lo è per niente. Secondo me infatti, le relazioni tra persone sono la fonte di tossicità più alta al mondo, perché il passato di ognuno influenza inevitabilmente il suo presente, e quasi tutti quelli che conosco sono vittime dei propri mostri interiori.

E’ impossibile avere con l’altro un rapporto perfetto, ma solo stando bene con se stessi si può mirare a un sano equilibrio in due. Da una che ha fatto dei suoi drammi personali la sua drammaturgia, posso dire che la terapia è un percorso fondamentale per conoscersi meglio e per cercare di sovvertire molte dinamiche tossiche. Citando uno dei passaggi a cui tengo di più, nel mio monologo, concludo dicendo che: “per me stare in relazione è un po’ come per un gatto aver conosciuto Schrödinger: tu lo sai che quello stronzo prima o poi ti metterà in una scatola, tu sei il suo esperimento scientifico per cercare di capire se dopo aver giocato al piccolo chimico, in quella scatola ti troverà viva o morta”. Restando in questa metafora, fortunatamente non tutte le persone che si incontrano vogliono fare esperimenti sui gatti.

I drammi familiari sono così permeanti nella vita delle persone?

Io penso di si. Il tema del mio monologo, microfono alla mano, sono proprio i drammi in tutti i loro aspetti, per lo più femminili. Figlie delle eroine greche, noi, “Giulie” moderne, ci aggiriamo nella società a rimettere in piedi le nostre trame preferite. Prima c’è il dramma personale, nello specifico il mio riguarda la triangolazione. Trovare qualcuno che sia emotivamente indisponibile, che ti metta sempre al secondo posto. E sul podio prima di me ho visto di tutto, dalla madre a un’altra donna, da una ex a un’amica, persino un cane ha vinto la medaglia d’oro a mio sfavore.

A seguire ovviamente i drammi familiari, da quelli dei parenti più stretti a quelli più lontani, i problemi dei quali, non si sa come, riescono comunque a riversarsi sulla tua vita.
In seguito i drammi quotidiani: dal cercare parcheggio al trovare il giusto ginecologo, il giusto parrucchiere, la palestra che non ti faccia sentire inadeguata, l’estetista che non ti lasci coi peli a ferragosto, un’amica single con cui poter continuare ad avere una vita sociale. E, per finire, come non parlare del dramma più importante di tutti: quello generazionale.

Una generazione, la mia, che è stata illusa su tutto: dall’amore al lavoro, ci hanno detto che sarebbe stato facile, che sarebbe stato come per i nostri genitori. Che avremmo amato, che ci saremmo sposati, magari più di una volta, e ci saremmo comprati una casa. Che avremmo avuto dei figli e che, con qualche compromesso, saremmo stati felici. Un po’ borghesi, ma felici. E invece non è stato così.

Perché non dovremmo mancare al tuo spettacolo?

Beh, a mio avviso non potete mancare. Anche perché nel monologo ci sono 3 personaggi strepitosi che nelle altre città hanno fatto strage di cuori. Dalla tizia che vuole fondare un partito politico, alla madre che elargisce consigli molto suis generis su come crescere i figli, e per finire, al cantante “Grugno” (presente anche nel monologo “Vita grama di un’eroina moderna” ) già concorrente e vincitore di XFactor, ora ospite di Sanremo.

Che cosa ti aspetti dal pubblico?

Mi aspetto che rida molto! O almeno lo spero. E spero anche che le persone apprezzino l’onestà di un lavoro artigianale, costruito pezzo per pezzo con le mie mani, visto che ho voluto fare tutto da sola: un lavoro che alterna momenti di forte comicità a momenti più emozionanti. In tutti i contesti in cui l’ho rappresentato ho riscontrato grandi consensi, soprattutto da parte delle donne, e questo mi gratifica il doppio.

Nuovi Progetti?

Si! Nei mesi di luglio e agosto sarò in giro per l’Italia sia con questo monologo che con “Game Lover” assieme ad Enzo Casertano (commedia che porterò anche al Teatro Marconi il 20 Luglio). Poi nella prossima stagione debutteranno due miei testi nuovi, dal 12 ottobre al 5 novembre al Teatro Sette “Famiglia micidiale” (il mio primo giallo comico) con un cast strepitoso. E, ancora, nel mese di febbraio vi aspetto al Teatro degli Audaci con “Super” una commedia sui supereroi in pensione.

Ultima curiosità: hai invitato Muccino alla prima?

Purtroppo non ho ancora trovato il modo di contattarlo. Faccio qui un appello: se qualcuno legge questo articolo e conosce Gabriele lo inviti da parte mia! Sarebbe un regalo bellissimo.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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