Uscito in libreria il 30 giugno il nuovo libro di Paola Musa, Umor vitreo, quarto titolo della serie dedicata ai “Vizi Capitali” iniziata nel 2019 con “L’ora meridiana”, che racconta, senza mai cadere nella banalità e in una cornice contemporanea, i demoni dell’accidia. A questo lavoro ha fatto seguito: “La figlia di Shakespeare”, in cui ha costruito una storia magistrale intorno alla superbia, e il più recente “Nessuno sotto il letto”, una commedia sull’avarizia non solo materiale ma anche spirituale e culturale, pervasa da un sottile humor nero.
Con “Umor vitreo” l’autrice affronta il tema dell’invidia, e lo fa attraverso una elaborata scrittura che ci porta nell’immaginario paese di Livania. Paola Musa è scrittrice, traduttrice, poetessa. Vive a Roma. Ha ottenuto diversi riconoscimenti in ambito poetico. Collabora da anni con numerosi musicisti come paroliere. Ha firmato diverse canzoni per Nicky Nicolai insieme a Stefano Di Battista e Dario Rosciglione. Ha composto liriche per il teatro. Ha scritto con Tiziana Sensi la versione teatrale del suo romanzo “Condominio occidentale” che ha ottenuto la medaglia dal Presidente della Repubblica e la menzione speciale per il teatro al “Premio Anima”. In questo suo nuovo lavoro affronta una tematica densa di significati significanti. La trama in breve racconta che: dopo molti anni dalla scomparsa di Marla Naiges, moglie e compagna politica del dittatore Arteno Gora, la sua amica d’infanzia Ania Ledon, oramai ultraottantenne, accetta per la prima volta di rilasciare una testimonianza del loro lungo e controverso rapporto a un noto giornalista. Ambientato in un Paese immaginario, la Livania, ma con una descrizione verosimile sulle dinamiche che conducono all’instaurazione di una dittatura, il racconto di Ania è l’estremo tentativo di difendersi dall’accusa di complicità con il regime di allora, di respingere la riduttiva definizione di amica della diavolessa, diventando poco a poco l’autoanalisi spietata di un rapporto d’amicizia avvelenato dall’invidia, dalla prevaricazione e dall’impossibilità di superare psicologicamente le differenze sociali. Paola Musa si racconta e ci racconta in questa intervista il suo poderoso impengno per e nella cultura.
Il 30 giugno è uscito con Arkadia in tutte le librerie il suo nuovo romanzo “Umor vitreo”. Ce ne parli…
“Umor vitreo” è un romanzo in cui la protagonista decide, dopo essersi sottratta per molto tempo, di rilasciare una intervista riguardo il suo rapporto di amicizia con la moglie di un dittatore. Attraverso la finzione letteraria ho cercato di affrontare varie tematiche, quello principale è il sentimento dell’invidia. Il libro fa parte di un progetto più ampio, su cui sto lavorando da diversi anni, che ha trovato il sostegno della mia casa editrice, Arkadia.
È il quarto libro di una collana dedicata ai “Vizi Capitali”, perché questa scelta?
Inizialmente non era una scelta programmata. Quando stavo scrivendo “L’ora meridiana” (2019, Arkadia editore), mi sono resa conto che il personaggio che andavo delineando era, a tutti gli effetti, un accidioso. Questa casuale costruzione mi ha suggerito l’idea di proseguire nella direzione di un’analisi dei vizi capitali nella contemporaneità. Un progetto ambizioso, che comunque m’intrigava.
Gli altri tre libri quali argomenti affrontano?
“L’ora meridiana”, il primo della serie, è appunto dedicato al vizio dell’accidia. “La figlia di Shakespeare” (2020) è ambientato nel mondo del teatro e affronta il tema della superbia. “Nessuno sotto il letto” (2021) è una commedia che parla di avarizia, anche morale.
Che cosa è un vizio capitale?
I sette vizi (Superbia, Accidia, Avarizia, Gola, Lussuria, Ira, Invidia), sono detti “vizi capitali” non perchè più gravi, ma perchè sono origine di altri peccati.
Oggi perché può suscitare interesse parlare di “Vizi Capitali”?
I vizi capitali fanno parte della nostra cultura cristiana occidentale. Erano molto importanti nel Medioevo come espressione di una precisa morale in rapporto alle virtù. Spesso dimentichiamo quanta arte abbia prodotto questa riflessione sugli “abiti del male”, come li definì Aristotele. Trovavo interessante indagare come, in un mondo oramai laico, questi “vizi” oramai rientranti più nella sfera della psicologia che della religione, fossero mutati. Umberto Galimberti ha scritto un libro davvero interessante in tal senso, dal punto di vista filosofico-sociologico. Io ne parlo attraverso la narrativa.
Quanta invidia c’è nella nostra società?
Tantissima. Tutti abbiamo provato almeno una volta questo sentimento, ma la società in cui viviamo ci esorta a essere ancora più competitivi, I social ci costringono a vivere il successo altrui come un nostro fallimento, a sentirci sempre inadeguati, e quindi a guardar “male” chi ha più di noi, chi percepiamo immeritatamente migliori di noi.
Faccio un passo indietro: l’invidia che cosa è?
Il termine deriva dal latino “invidere” che significa “guardar male”. E’ un sentimento spiacevole, una tristezza per i beni e le qualità altrui. Secondo la fede giudeo-cristiana, è per l’invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo. E’ il più insidioso tra tutti i vizi capitali, e in qualche modo il più devastante: se, ad esempio, la gola e la lussuria mirano alla soddisfazione (seppure mai del tutto soddisfatta) di un piacere, se la superbia si ammanta del proprio ego, se l’avarizia trova conforto nell’accumulo di denaro e l’ira scarica le proprie energie negative con la rabbia, l’invidia sembra non dare un attimo di tregua a chi la prova, è, appunto “una passione triste”, la più meschina delle passioni.
Soprattutto perché l’invidia si radica così profondamente in molte persone?
Come ho accennato prima, l’invidia è sentimento connaturato all’uomo, trattandosi di un sentimento che scaturisce dal confronto con l’altro. Il problema è quando diventa patologico, come dire, un tratto importante della personalità di un soggetto.
È possibile uscire dal sentimento invidia?
Certo. Occorre, credo, lavorare sull’autostima, sul senso del desiderio, sull’empatia. È un discorso in realtà molto complesso che non possiamo affrontare qui.
Nella nostra epoca dove tutto viaggia a suon di social l’invidia si è impossessata ancora di più delle nostre anime oppure è solo più evidente?
Credo sia più evidente e anche volutamente sollecitata, per spingerci a emulare, a competere, a comprare e consumare.
Il libro è ambientato in un paese immaginario, Livania… perché questa scelta e cosa rappresenta?
Lo scopo era quello di raccontare una invidia “patologica” all’interno di un processo storico (seppure inventato), in cui invidia personale e sociale diventano pericolosamente distruttivi. Mi serviva un contesto ben preciso.
Chi è Marla Naiges? Soprattutto cosa rappresenta nell’itinerario narrativo del libro?
Marla è l’invidiosa. Ma, come si scoprirà con la lettura, non è riduttivamente solo questo. Nessuna persona lo è.
Perché Ania Ledon, oramai ultraottantenne, sente la necessità di raccontarsi e raccontare a un noto giornalista?
Essendo stata legata tutta una vita a Marla, sente la responsabilità, alla fine, di definire che tipo di relazione ci fosse tra loro, imparando così molto anche su sé stessa.
Il racconto di Ania dove vuole arrivare?
Su questo non direi nulla, è giusto che i lettori lo scoprano leggendo il libro.
Prima a presentazione a Roma il 18 luglio?
Sì, al Teatro Marconi, all’intero della Rassegna Aperitif D’autore diretto da Tiziana Sensi.
Siamo alla fine ma vorrei tornare all’inizio: chi è Paola Musa?
È difficile autodefinirsi! Ci provo. Paola Musa è una che ama scrivere, che vive la scrittura come strumento di ricerca, di riflessione sull’uomo e le sue passioni.
Come proseguirà il progetto sui Vizi Capitali?
Ci sto lavorando. Come si dice: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco!”