“Io ed Elena” scritto e interpretato da Donatella Busini per la regia di Mauro Toscanelli sarà al Teatro Trastevere in Roma. Una drammaturgia che invita a riflettere. La storia è quella di “Io ed Elena”: un dramma scritto da una donna che vede due personaggi femminili, una madre e una figlia, vomitarsi addosso rancori mai sopiti: la paura ossessiva di Giovanna (la madre) di invecchiare che la conduce alla ricerca maniacale di conferme da parte di un uomo ideale, e la follia conclamata quanto lucida di Elena (la figlia) che dialoga con il suo alter ego Blanche Dubois, mutuata dal testo “Un tram che si chiama desiderio” di T. Williams. In questa osmosi continuativa di rimpalli tra le due (o, si potrebbe dire, le tre), vi è il contraccolpo doloroso reciproco che ne deriva. L’incanto è il fulcro attorno a cui ruota la ricerca di madre e figlia; un incanto che si ricollega idealmente al desiderio sessuale della protagonista di Williams.
Pur essendo una drammaturgia tutta al femminile, il testo rimanda continuamente a figure maschili, le quali sono a volte idealizzate, a volte evocate in quanto personaggi del doloroso passato o del torbido presente di Giovanna. Un dramma dove la Musica e il Teatro nel Teatro danno la dimensione di fluidità in cui agiscono la follia e la disperazione, fino al parto finale in cui la Consapevolezza viene alla luce, stendendo un velo definitivo e irreversibile sulla condizione umana delle due “donne”. Donatella Busini si racconta e ci racconta il punto di vista sia della drammaturga sia dell’attrice in un’opera che senza dubbio condurrà lo spettatore a fare consapevolezza e coscienza di molti aspetti di sé.
Debutterà nella commedia “Io ed Elena” che ruolo interpreta?
In “Io ed Elena” interpreto il ruolo di Giovanna, una madre narcisista patologica la cui vita è stata ‘condizionata’ a suo giudizio dai disturbi mentali della Figlia Elena.
Due personaggi femminili che si incidono profondamente nella nostra società?
Credo di sì. Una rappresenta il narcisismo, l’altra il senso di inadeguatezza che sono a mio giudizio nevrosi molto, troppo comuni nella società contemporanea.
Il rancore è un’emozione che taglia di netto l’anima?
Il rancore può ammaccare il senso di sé ma è una emozione, una sensazione rivolta verso qualcuno quindi non credo possa essere spezzare completamente una persona a meno che l’altro non sia sé stesso.
Quanto rancore c’è nelle relazioni?
Non lo so, dipende. È funzione di azioni o assenze quindi credo strettamente legato alla natura delle singole relazioni.
Perché accade che questa emozione viva anche tra madre e figlia?
Credo che in casi specifici come quelli rappresentati la relazione più importante che entrambe hanno è quella reciproca quindi conati di rancore individuale non possono che essere riversati l’una verso l’altra. Questo in modo particolare da parte della madre proietta nella figlia il risentimento per una vita che non ha vissuto ma che avrebbe voluto vivere
Il rancore è figlio del non riconoscimento e della svalutazione, è d’accordo?
Non completamente. Il rancore è una avversione profonda covata in seguito ad una offesa o ad un torto ricevuto sia reale che percepito.
Le è mai capitato di provare rancore?
A volte. Ma ne ho sempre cercato di analizzare le motivazioni per spegnere la sua tossicità nei miei confronti.
Esiste l’uomo ideale?
No. Esiste l’uomo giusto al momento giusto.
Ognuno di noi ha il suo alter: che cosa rappresenta?
Cosa rappresenta in chi? In me? Se sì il mio alter ego è folle, sconsiderato e nevroticamente analitico.
L’incanto è il fulcro attorno a cui ruota la ricerca di madre e figlia; un incanto che si ricollega idealmente al desiderio sessuale della protagonista di Williams, perché questo rimando letterario?
Blanche è la terza protagonista della pièce. Suo è l’incanto, sua la ricerca della meraviglia, suo è il dolore per un passato che fu e che l’ha resa quello che è. La DuBois incarna alcune delle caratteristiche di entrambe le donne in scena. La fragilità di Elena, la sua dolcezza e folle saggezza e l’incapacità di accettare la realtà di Giovanna il suo negare il tempo che passa e i tentativi di nascondere un passato che non è limpido ma sicuramente sofferente. Blanche è Io ed Elena.
Ma l’incanto che cosa è?
Quanto contrasta in modo sconcertante e meraviglioso con una reale o presunta normalità o anormalità.
Perché pur essendo una drammaturgia tutta al femminile, il testo rimanda continuamente a figure maschili, le quali sono a volte idealizzate, a volte evocate in quanto personaggi del doloroso passato o del torbido presente di Giovanna?
Le figure maschili evocate, forse ricordate, immaginate o affrontate non sono positive. Anzi origine di dolori antichi o vissuti durante la pièce. Ma, nonostante ciò, desiderate come fossero un rifugio fittizio rispetto ad una vita mal vissuta in loro assenza.
Il maschile che cosa rappresenta?
Non saprei definirlo in maniera univoca. Saprei farlo come aggettivo ma non come sostantivo.
In ogni donna c’è una parte maschile, forse è questo lato che emerge è viene fuori?
No, direi di no. La dinamica è prettamente femminile. Tagliente, sfibrata, esasperata ma tra due donne.
Chi sono i suoi compagni di viaggio?
Ornella Lorenzano, una attrice con una sensibilità e grande capacità di ascolto. E naturalmente il nostro regista Mauro Toscanelli che con le sue felici visioni ci ha guidato nella preparazione di questo lavoro con pazienza, passione, esperienza e … infinita pazienza. Il lavoro è comunque un lavoro di team, fatto di grandi professionisti nei loro settori di competenza. Credo molto nel lavoro di squadra e soprattutto nelle competenze. In tutto.
Progetti?
Certamente! Per la prossima stagione riprese e un progetto nuovo che mi è molto caro ma che scaramanticamente non voglio svelare. E continuare a scrivere.
Vuole aggiungere altro?
Solo che vi aspetto a teatro! Spero di avervi incuriosito almeno un po’!