Presenza e ascolto sono fondamentali

Nella natura tutto il mondo è una farmacia che non possiede neppure un tetto (Paracelso)”. La bellezza di questa citazione ci invita a vedere il mondo della farmacia e del farmacista come un qualcosa che raccoglie dalla natura quelle intuizioni che poi possono diventare veri e propri composti galenici. Se nell’800 il farmacista con le sue ampolle, i suoi strumenti preparava rimedi alla cura delle persone ascoltandone il bisogno e la necessità, oggi le cose sono molto cambiate, sebbene resti fondamentale l’ascolto e il bisogno dell’altro. Ci sono farmacie che ti fanno sentire riconosciuto nel bisogno che porti, accogliendoti e ascoltando ogni parola, suggerendoti un rimedio o se necessario il consiglio di rivolgersi a uno specialista. Dialogando con Teresa Marraghini, farmacista, da anni al servizio del cliente con la sua particolare disponibilità all’ascolto e all’accoglienza, si è svelato un mondo nel mondo dove la professione del farmacista non è solo dare un farmaco scritto in una ricetta ma stare con il cliente. Teresa ha narrato il suo mondo, la sua professione, portando in luce sia le difficoltà sia le soddisfazioni. La pandemia di certo non ha aiutato pur aprendo un ponte significativo di contatto umano di là dalla fisicità. Bastano gli occhi per stringere l’altro a sé, domargli un po’ di rassicurazione. Tutto questo racchiude non solo il mondo del farmaco ma anche la capacità di aver cura e dare cura con la presenza, l’ascolto, l’esserci.

     

Cara Teresa, grazie per questa intervista, ne sono felice. Le persone che leggono il mio blog sono curiose, arrivo subito alla prima domanda: raccontaci di te?

Sono una donna. Una farmacista. Una mamma. Una moglie. Sono una donna normale che ha sempre lavorato in farmacia. Ama il suo lavoro così come la sua famiglia.

Come nasce il tuo percorso lavorativo?

Dopo la laurea ho aperto una farmacia in Casentino. Da lì a qualche anno con una mia collega abbiamo deciso di acquistare una farmacia ad Arezzo. Così io e Francesca, la mia socia, ci siamo avventurate in questo nostro sogno.

In che hanno è nata la vostra società?

Era il 1994. Pensa nessuno avrebbe scommesso che saremmo durate, invece dopo quasi trent’anni di attività siamo ancora qui, tra di noi c’è un rapporto splendido.

Senza dubbio un gran successo?

Entrambe amiamo molto il nostro lavoro cui dedichiamo tempo, vita e tante energie. Tra di noi non c’è mai stato un problema, abbiamo un’ottima sinergia, ci compensiamo, siamo una bella coppia!

Cosa ti soddisfa di più del tuo lavoro?

Il contatto con le persone. Essere un punto di riferimento per i nostri clienti.

I tempi che viviamo hanno incrementato le difficoltà per voi farmacisti?

È aumentata tantissimo la burocrazia che ci ha buttato addosso mille e più adempimenti, portando via tempo ed energie. A volte, non riesci a farcela materialmente.

Perché?

Devi pensare a tante di quelle cose che star dietro alla persona è molto difficile. Ti porta via tempo prezioso da poter spendere con i nostri clienti.

Se uno pensa alla farmacista la vede come quella persona a cui porti la ricetta, toglie il bollino, ti dà il farmaco, invece c’è molto di più?

Dietro a una farmacia e all’essere farmacista c’è un mondo, una storia, delle persone che si prendono cura del cliente, lo consigliano, lo ascoltano.

Quanto è importante l’ascolto?

Direi che è fondamentale. Oggi più che mai il rapporto umano è alla base del nostro lavoro. Le persone hanno bisogno di parlare. Se si accorgono che sei frettolosa, che hai voglia di smettere di ascoltarle ci restano male. Bisogna unire all’ascolto la calma e tanta, tanta pazienza. Non far mai mancare un sorriso che negli ultimi anni dal sorriso della bocca è passato al sorriso degli occhi. Con gli occhi si trasmettono tante cose come la rassicurazione. Oggi c’è un tremendo bisogno di essere rassicurati. Bisogna essere pronti a fare anche ciò che non ci hanno insegnato con la laurea.

Un bel carico emotivo?

Si, è vero. Tuttavia, se riesci a dare una parola di conforto, un ascolto partecipe, la persona si sente riconosciuta. Fai un gesto di accoglienza che in qualche modo accarezza l’altro. Seppur ognuno di noi ha i suoi problemi non deve mai mancare l’esserci con l’altro. Questa è la mia filosofia di vita.

L’utenza pre-pandemia e quella post-pandemia è diversa?

È molto diversa, come dicevamo, adesso le persone hanno bisogno di ascolto, ti chiedono molto di più da un punto di vista relazionale. All’inizio della pandemia c’era tanta sofferenza, tanta paura, alcune persone erano smarrite altre rifiutavano la situazione. Le persone nel primo lookdown volevano uscire. La città era deserta e loro pur di uscire trovavano ogni scusa.

Ti ricordi un aneddoto?

Noi avevamo la farmacia aperta, fuori non c’era nessuno, eravamo completamente sole. C’era un silenzio assordante. A volte, passava qualcuno che ci diceva: “se non fossi uscito sarei morto, non potevo stare in casa, sono uscito col cane”. C’è stato un po’ di tutto.

Adesso invece?

Ci stiamo piano piano riprendendo. Però ancora le persone hanno bisogno di attenzione, secondo me, ne hanno bisogno molto più di prima. Bisogna parlare. Parlare tanto, ascoltare, dargli consigli, essere pronti a cogliere il momento per potere entrare con un suggerimento come: “fai questo perché forse è meglio”.

Siete diventati dei terapeuti-farmacisti?

Esatto, la gente ha bisogno di un punto di riferimento.

E poi sono arrivati i tamponi, quanto hanno influito nel vostro quotidiano?

Abbiamo iniziato nel maggio 2021. All’inizio è stato un salto nel buio, non avevamo certezze e abbiamo dovuto investire per attrezzarci, abbiamo preso del personale in più. Poi ci siamo accorti che era un servizio che le persone gradivano, ci ringraziavano. Soprattutto gli stranieri che obbligati a farsi il tampone per rientrare nella loro nazione, erano e sono ancora oggi riconoscenti sia della professionalità sia dell’accoglienza. Pensa pagavano il tampone e ci lasciavano dei soldi come mancia.

Secondo te perché?

È la modalità con cui ci relazioniamo, noi facciamo tutto con il sorriso. Certo non si vede con la mascherina, ma gli occhi sorridono e si vedono. Questo fa senza dubbio la differenza.

State ancora lavorando molto con i tamponi?

Si! Con questa nuova ondata di Covid estivo siamo stati molto impegnati. Per fortuna, in questo momento, sembrano diminuire i casi, sebbene, dobbiamo prepararci per l’autunno.

Come hai coniugato famiglia, figlio, lavoro?

I nonni sono stati preziosi, soprattutto mia madre che essendo vedova si è dedicata a mio figlio totalmente. Pensa nella sua tesi di laurea ha messo una dedica alla nonna, e lei, di tanto in tanto, la rilegge. All’epoca avevo la farmacia in Casentino, portavo con me Giovanni, lo allattavo in farmacia, lo conoscevano tutti. I clienti, quando allattavo, avevano la pazienza di aspettare, erano una grande famiglia. Poi, quando è cresciuto giocava in farmacia. In Casentino ci sono grandi aziende come la Baraclit, così spesso le persone, si fermavano, gli insegnavano i nomi dei vari pezzi delle ruspe e dei camion, dove avevano il motore, che cilindrata fosse. Sapeva tutto. È cresciuto in questa maniera.

Perché Giovanni non ha seguito le orme dei genitori? Forse, visto quello che fa, ha influito l’ingegneria dei mezzi da lavoro?

Quando partì per Milano gli dissi: “Giovanni, mi raccomando devi studiare”. Candidamente mi rispose: “Senti, io ci provo, se non mi riesce, mi scrivo al corso di laurea in farmacia e vengo da te”.

Come è andata?

Che si è laureato in Ingegneria aeronautica e aereospaziale, vive in America dove sta progettando un taxi volante! Mi manca, lui è felice ed io lo sono per lui.

Ti faccio l’ultima domanda e ti lascio al tuo lavoro: da grande cosa farai?

Andrò in pensione! Mi voglio godere la vita il più possibile, non lasciare più nulla, non rinunciare alle cose che potrei fare. Per il lavoro, la famiglia ho rinunciato a tante cose, adesso, vorrei godermela e vivere. Vivere tutto quello che ho lasciato in sospeso.

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