“Sono un sognatore che non ha mai smesso d’essere bambino”, dice Francesco Testi tanto che la citazione è d’obbligo: “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano (Il Piccolo Principe. S. Exupéry)”.
Francesco, invece, porta il suo bambino con sé ricordandosi che l’organizzazione di personalità è formata dallo Stato dell’Io Bambino, Genitore e Adulto (almeno per Eric Berne il padre dell’Analisi Transazionale). Eccolo che con tanti sogni approda, anno dopo anno, a terre inesplorate, scende e s’incammina in itinerari avvincenti seppur faticosi. La grinta, la determinazione, la curiosità che lo contraddistinguono l’hanno portato in questi anni ad avere un curriculum di tutto rispetto dove emerge la sua eccellenza non solo come attore, regista, autore ma anche come scrittore e regista. Un uomo-bambino dalle mille sfaccettature che ha fatto dell’arte la sua Fata Maestra, una compagna di viaggio inseparabile insieme a sua moglie Annalisa. La narrazione che Francesco fa in questa intervista ci ricorda che la vita nonostante tutto è sempre: grazia e mistero e che non esiste vita vera se non cesellata nell’incontro con l’altro da sé. Fiorentino di nascita, aretino di infanzia, fanciullezza e adolescenza, romano da adulto. Tre città, tre luoghi del cuore che lo hanno forgiato così come si forgia la pietra grezza in un brillante perfetto. In questa intervista Francesco Testi ci porta con forza e delicatezza, determinazione e magia nel suo mondo fatto di luce e ombre, di fatiche e gioie, di malinconie ed entusiasmi. La vita non sarebbe vita se non rientrasse nel variegato ventaglio delle emozioni e delle sensazioni che fondono e armonizzano la nostra esistenza.
Grazie Francesco per questa intervista, per conoscerci un po’ ci racconta di lei?
Grazie a lei, Barbara, per tutto quello che fa e rappresenta… Dunque, sono un sognatore che non ha mai smesso d’essere bambino, un po’ per quello che definirei un dono innato, e un po’ per mie fragilità emotive acquisite nel corso degli anni, che mi hanno portato a un vero e proprio arresto nello sviluppo… In senso buono, naturalmente!
Come nasce il suo amore per il teatro?
A soli dieci anni mia madre mi iscrive alla scuola del Piccolo Teatro di Arezzo, e lì scatta l’innamoramento. Ma a guardar bene, io recitavo già per gli amici del quartiere, in giardino facevo loro “le scenette” … E poi, una maestra giovane, che si era segretamente invaghita di me, mi portò a vedere uno spettacolo al Teatro Petrarca: “Scarpette rosse” … Volli anch’io quelle scarpette!
Dove si è formato come attore?
Prima, come le dicevo, al Piccolo Teatro di Arezzo, poi al Teatro Stabile di Bolzano, oltre a seminari vari. Ma la mia vera scuola, a onor del vero, io l’ho sempre sentita sul palco, durante le grandi tournée nazionali: la pratica vale più della grammatica, almeno nel mio caso.
La psicologia come arriva nel suo percorso formativo?
Un interesse coltivato fin dai tempi del Liceo, ero affascinato dalle teorie di Freud e Jung, riverberate poi nei magnifici testi di Schnitzler, il mio primo amore teatrale (oltre che la mia prima regia) … La Laurea comunque finì nel cassetto.
Nato a Firenze, vissuto ad Arezzo, residente a Roma, qual è la città del suo cuore?
Questa è davvero la domanda irrispondibile! Nel senso che farei male a qualcuno con la mia onestà… Diciamo che Arezzo è la mia radice primaria, senza la quale non potrei vivere. Roma è l’apertura mentale, il cosmos dove tutto è possibile. Firenze è l’adolescenza del mondo, diceva Albertazzi.
Che cosa si porta dietro delle tre città che lo hanno accolto (si può affermare)?
L’amore per l’arte intesa come categoria rigorosamente estetica (Firenze); l’infinito, stimolante respiro culturale, l’erotismo terrorizzante, quasi orgiastico dell’imbarazzo della scelta (Roma); la familiarità dei ricordi come foglie che non smettono mai di cadere, di notte, tra gli alberi (Arezzo).
Anche la scrittura è parte viva del suo lavoro, che cosa ha pubblicato recentemente?
Il romanzo “Memorie d’inverno” edito da Albatros.
Di che cosa parla il libro?
È un thriller distopico (ma non troppo) che trasfigura tantissimi aspetti della pandemia da Covid19, ma senza dimenticare mai il valore poetico della narrazione: non un reportage quindi, e neanche un diario del lockdown… Casomai un viaggio interiore verso l’assoluto che è in ognuno di noi, non solo nello scrittore: lo scrittore cerca quell’assoluto come chiunque altro. La sola differenza è che lui ci scrive sopra un romanzo.
Perché la pandemia in un thriller?
Perché no? Voglio dire, mentre lo scrivevo era l’unica cosa che potevo fare: i teatri erano chiusi e non potevo fare altro che impazzire o morire di noia.
Per la sua attività di psicologo di che cosa si occupa?
Come le ho detto, la mia Laurea è nel cassetto. Questo però non significa che non l’abbia utilizzata nel mio percorso artistico, soprattutto di drammaturgo e regista… Senza parlare dei miei tormenti personali, per cui sono in analisi da tutta la vita un po’ come Woody Allen, e a causa dei quali probabilmente mi sentirei ancora più smarrito, senza i miei studi.
Come declina professione di attore, autore, scrittore e psicologo?
Per me è sempre stato tutt’uno: ho sempre considerato l’attore un poeta, uno scrittore di scena, mai un semplice esecutore, non so come dire… è vero, il teatro, il cinema, la tv permettono a un attore di provare sempre ruoli diversi e di sperimentare sé stesso in tutto quello che vuole essere e che nella vita, forse, non sarà mai. Ma a me tutto questo ha sempre interessato fino a un certo punto. A me interessava esprimere me stesso con la scusa di un personaggio, come se quel palco fosse la tela di un pittore espressionista. E in questo senso, i drammi che scrivo sono quasi sempre anche psicodrammi con cui mi lecco le ferite…
Che cosa sta facendo in questo momento?
Ho appena finito di recitare in un cortometraggio prodotto dalla scuola di cinema della Comencini e sto portando in scena il mio monologo “Le lacrime di un clone”.
Ha girato anche dei cortometraggi come autore, attore e regista: un impegno significativo?
Direi di sì, anche se tutto si è fermato nel 2006: una mia grande passione che poi si è arenata: dovevo guadagnarmi da vivere. Però è un fuoco che non si è mai spento del tutto, e ritorna nei tanti trailer teatrali che autoproduco o nei corti che mi diverto a girare con mia moglie Annalisa.
Quanto è difficile il mondo dello spettacolo e del cinema oltre che del teatro?
Tanto, tanto, tanto. Di tutto quel che dai, ritorna davvero una briciola, se va bene. Senza parlare del solito clientelismo italiano… Purtroppo, la nostra è una nazione massonica, dove spesso puoi essere conosciuto e apprezzato, solo dopo che ti sei fatto un nome e le raccomandazioni giuste. Ma io oltre al mio talento non ho mai avuto nulla da offrire… Per il resto, amo la mia vocazione più che mai e morirò sul palco!
Un aneddoto della sua esperienza di attore?
Per tanti anni sono stato perseguitato da un caso di omonimia piuttosto imbarazzante: sto parlando del Francesco Testi uscito dal Grande Fratello. Ho anche pensato di cambiare nome! Quest’estate, ho lavorato con Laura Morante in un recital sulla Callas e Zeffirelli. Al momento dell’ingaggio, lei ha pensato che Francesco Testi fosse lui, e ha detto al produttore che non se la sentiva di accettare, che il suo percorso era troppo lontano dal suo… Quando però ha saputo che in realtà ero io, ha accettato volentieri!
Che cosa l’ha fatta soffrire di più nell’ambito della sua professione di attore?
Quello che è successo con la pandemia: la chiusura dei teatri a oltranza per 2 anni di seguito… Mi sono sentito un untore! Qualcosa di cui si poteva tranquillamente fare a meno… Uno zero.
Che consigli darebbe a chi vuole avvicinarsi all’arte attoriale o registica?
Sparatevi!!!
Un sogno nel cassetto?
Troppi! Ma tanti ne ho anche realizzati…
Abbiamo qualche sassolino nella scarpa?
Diciamo che ogni volta che ne ho avuti, l’arte mi ha aiutato non poco a togliermeli. Ma cammino tutto storto ormai…
Progetti?
Sto lavorando a nuovi spettacoli e sto già scrivendo un altro libro.
Dove possiamo vederla?
Al Teatro Da Camera, per esempio. Altrimenti, il 2 dicembre sarò di nuovo Zeffirelli alla Fondazione Zeffirelli di Firenze, sempre col recital sulla Callas.
Vuole aggiungere altro?
Vorrei ringraziarla nuovamente per la conversazione e la sensibilità che mi ha dimostrato, non lo dimenticherò Barbara… Grazie davvero.