La gentilezza è la trama narrativa dell’esserci

Ti ho vista, oggi ed ero solo tenerezza per te bambina che in me vivi ostinata a nutrirti di colori e vita (…) Ti ho osservata volevo metterti in guardia: «Non sai quanto possa essere crudele l’uomo». Mi hai guardata e non hai avuto bisogno di parole. Tu lo sai come cammina il mondo ma un giorno decidesti di colorare il buio d’azzurro (…) Mi hai preso per mano. Io bimba perché Tu non hai paura. Tu sai disegnare passi con i colori dell’infinito (Maria Letizia Del Zompo)”. È grazie alla nostra parte bambina che possiamo contattare l’altro e sentire empaticamente il suo animo, la sua natura, riconoscendone così le angolazioni, anche quelle più buie. Spesso non servono alchimie, fuochi d’artificio, strane atmosfere per conoscersi. Basta uno sguardo, un palpito, un respiro e tutto si schiude in un possibile che si fa incontro di sé con l’altro da sé. Valeria Nardella ci insegna che il teatro non solo è passione, vita, amore. Il teatro è incontro, esistenza e mondo. Nel teatro e con il teatro è possibile giungere dentro l’anima dell’altro, catturarne le sfumature, gli argini e i chiaroscuri creando quella rappresentazione che ha cura e si prende cura della persona. Il senso e il significato della sua opera, che ha già riscosso infinito successo e adesso debutterà al Festival Teatro Marconi l’8 luglio, parte dal significato antropologico dell’essere bambino(a) nel mondo in rapporto alla propria cultura di appartenenza e all’ambiente. In questo grande scenario si gioca la partita della vita che, a volte, ha delle declinazioni dure e crudeli. Il messaggio che Valeria vuole mandare a chi ha l’animo disposto all’ascolto e alla comprensione è quello che volere è potere, mai nulla è perso se c’è l’intenzione a fare, a costruire, a definire. L’incontro con Valeria Nardella è un incontro di consapevolezza, apertura e tanta, tanta gentilezza.

     

Cara Valeria, grazie per questa intervista … c’è una cosa che mi ha tanto colpito di te, la tua gentilezza nel tuo messaggio di risposta. Oggi quanto è importante essere gentile?

Eccomi Barbara. Proverò a risponderti nella maniera più schietta e naturale possibile. Allora: quanto è importante essere gentili? La gentilezza è al centro dei rapporti e delle relazioni. È fondamentale provare ad entrare in empatia con l’altro. Ritengo sia la chiave per creare rapporti e perché no, magari, provare a costruire un mondo migliore, fatto di rapporti umani, di sentimenti e di emozioni.

Ti sei laureata al DAMS e in seguito diplomata presso l’Accademia Teatrale di Roma Sofia Amendolea: perché questa scelta?

La scelta di laurearmi e in seguito diplomarmi in Accademia è stata un po’ una forzatura. Sono sincera, a diciott’anni, completati gli studi, avrei voluto direttamente fare l’Accademia. La vita spesso ti fa fare tanti giri prima di portarti al punto di partenza. Però, è affascinante anche per questo il nostro andare mondano.

Così che hai fatto?

Ho provato a fare il l’audizione all’Accademia Silvio D’Amico, non fui presa. L’ammissione era la conditio sine qua nonper i miei genitori per venire a Roma a intraprendere la carriera di attrice. Se avessi passato l’audizione alla Silvio D’Amico la mia vita avrebbe preso un diverso viatico, non è stato così. Però …

Cosa hai fatto?

Sarei dovuta rimanere a Foggia e continuare gli studi teatrali nello spazio pomeridiano; tuttavia, sono riuscita a trovare un compromesso frequentando il DAMS e laureandomi in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo. Non mi sono limitata alla triennale, ho proseguito fino alla laurea magistrale. È stato un percorso universitario che mi ha soddisfatto, ho imparato tantissime cose a livello teorico. In contemporanea ho continuato a studiare teatro facendo stage, workshop, laboratori.

Come sei arrivata all’Accademia Teatrale Sofia Amendola?

Ho fatto uno spettacolo con quelli che poi sarebbero stati i miei maestri. Frequentavo un laboratorio teatrale dove uno dei miei insegnanti mi ha notata portandomi all’interno della sua compagnia. Così sono entrata in Accademia. È stato un percorso un po’ strano, però formativo, per certi aspetti potrei dire fortuito.

Come inizia la tua carriera di attrice?

La mia carriera di attrice inizia a tre anni.

A tre anni? Giovanissima!

In realtà non da attrice. A tre anni ho iniziato a fare teatro e danza, da quel momento in poi non ho mai smesso.  Alle superiori ho seguito un laboratorio teatrale importante con Pino Casolaro nella mia città, a Foggia. Un corso che impegnava tre volte a settimana. Ho seguito questo laboratorio per tre anni terminandolo al quinto anno di liceo, poi sono venuta a Roma dove ho fatto l’Università. In contemporanea agli studi universitari ho avuto la mia prima esperienza da professionista dove ho conosciuto i miei maestri.

Che ruolo avevi?

Interpretavo il ruolo di Giovanna d’Arco ed è stata un’esperienza fantastica che mi rimarrà nel cuore per sempre. La mia vera carriera di attrice è iniziata a 23 anni con questo spettacolo: pagata, retribuita.

Sei attrice, cantante, regista e insegni recitazione a bimbi e adulti, dove ti riconosci di più?

Dove mi riconosco? Il mio sogno era quello di fare l’attrice e basta. Non avrei mai immaginato che la mia vita sarebbe diventata un insieme di lavori e di espressioni artistiche, pensavo che quella fosse l’unica arte, poi col tempo ne ho scoperte altre e mi riconosco in tutte. In ognuna c’è una parte importante di me, seppur la mia parte attoriale è quella che prevale di più. Non sono una vera e propria cantante, faccio musical, quindi sono una un’attrice cantante. Ultimamente mi sono approcciata al canto in maniera più professionale, con una vocal coach; spero di riuscire ad intraprendere anche questa carriera in maniera più cosciente e profonda. E poi arriva la regia: la mia espressione artistica mentale ed empatica.

Perché?

La regia ti impone di creare rapporti con tante persone che fanno tutte lavori differenti, per poi arrivare a un unico obiettivo comune: lo spettacolo. Credo sia l’aspetto più difficile di un regista, ma anche quello più bello perché ti porta ad entrare in relazione con l’altro a 360°.

Perché la scelta di insegnare recitazione a bambini e adulti?

I bambini sono il mio specchio riflesso, non potrei mai rinunciare al mio ruolo di insegnante. I bambini sono il nostro futuro, trovo che il teatro, nel suo piccolo, possa educarli alla vita.

Educarli alla vita, perché?

Il teatro non è solo lo spettacolo o quello che insegno. Il teatro è il lavoro che c’è dietro ad uno spettacolo. Il teatro è la capacità di entrare in relazione con i propri compagni, creare dei rapporti, aiutare l’altro, essere collaborativo, mai essere protagonisti, mai essere al centro dell’attenzione: lo spettacolo lo si fa tutti insieme. Questo è l’aspetto educativo non solo per i bambini ma anche per gli adolescenti e gli adulti. Il teatro aiuta a formare sia i bambini sia gli adolescenti sia gli adulti alla vita, alle emozioni. A livello relazionale è una spinta a creare rapporti nutritivi e soddisfacenti. In più è un sostegno per le famiglie, che sono le prime a dover essere educate al teatro. Infatti, quando insegno ai bambini prendo in carico l’intera famiglia perché anche i genitori devono essere educati al teatro. Il teatro non è un baby parking, ma un’attività fondamentale alla crescita dei bambini e alla formazione di sani rapporti con gli altri.

In ogni bambino(a) c’è “La Bambina di carta”?

Spero che non in tutti i bambini ci sia dietro la bambina di carta!

Perché?

“La bambina di Carta” è una bambina fragile, nascosta e senza voce.

Ovvero?

Ad alcuni bambini, purtroppo, non è permesso di avere una voce, non gli è permesso di scegliere e il teatro insegna anche a scegliere.

Aiutaci a capire meglio?

Ci sono ancora delle situazioni nel mondo che vincolano, soprattutto il sesso femminile, verso delle scelte prese dalla famiglia, come i matrimoni combinati. Per fortuna non in tutto il mondo c’è una “bambina di carta”.

“La Bambina di carta” di fatto cosa narra? Ci racconti qualcosa di questa opera teatrale che debutterà al Festival teatro Marconi l’8 luglio?

Lo spettacolo “La bambina di carta” nasce da una mia idea, dal desiderio di raccontare quello che accade in alcuni paesi. Non solo nei paesi arabi, ci sono situazioni del genere anche in Italia, e in molti altri paesi del mondo, dove le bambine sono costrette a sposare uomini molto più grandi di loro, in cambio di una dote. Lo spettacolo vuole avere un approccio antropologico rispetto a questo tema. È un problema molto delicato. Purtroppo, la religione e l’educazione in alcuni paesi impone certe scelte, a volte, vengono imposte anche in Occidente. Avere un atteggiamento non antropologico a questo fenomeno rischia di essere giudicante nei confronti della cultura e dell’educazione, della religione di alcuni popoli.

Qual è il problema?

Il problema è che non è possibile vedere una bambina di 6-7-8 anni sposa a uomini di quaranta o cinquant’anni. Gli stupri sono all’ordine del giorno. Una volta che la bambina o l’adolescente è promessa sposa all’uomo, lui ha il diritto di abusare di lei. Ci sono casi gravissimi. Lo spettacolo non vuole essere giudicante nei confronti della cultura e della religione, ma nei confronti del fatto in sé che non è ammissibile una cosa del genere a livello umano. Il problema sono i diritti umani che vengono violati, non è un problema di religione o di educazione sbagliata. Questa è la narrazione e il tema che trattiamo nel nostro spettacolo visto esclusivamente da un punto di vista antropologico.

Chi sono i tuoi compagni di viaggio?

I miei compagni di viaggio sono: Flavio Marigliani che è l’autore e il regista dello spettacolo. Flavio ha fatto una ricerca poderosa prima di iniziare a scrivere l’opera documentandosi in maniera approfondita per non lasciare nulla al caso considerando la delicatezza dell’argomento. Con noi anche c’è Fabio Vasco, un attore e regista sia di teatro sia di cinema. Lui è il mio socio oltre che direttore organizzativo del Mag. Con noi c’è anche Stefano Mondini, un doppiatore molto famoso, ha doppiato “I Simpson” e tante altre cose. Stefano interpreta lo sposo mentre io sono la sposa, non più bambina.

Dopo il debutto al Festival Marconi porterai in giro la rappresentazione?

La rappresentazione è già stata in tour. Ha fatto un’importante tournée in Friuli in collaborazione con Odeia Teatro, ha vinto vari bandi, prendendo spunto dal caso di una giovane ragazza che si è suicidata perché non voleva rientrare nel suo paese e sposare un uomo adulto come la famiglia aveva deciso per lei. Siamo entrati in collaborazione anche con Amnesty.

Quali sono i tuoi principali interessi?

Adoro continuare a studiare e formarmi. Mi piacerebbe entrare nel circuito professionale del Teatro di Roma, al momento non ci sono ancora riuscita ed è un qualcosa che mi piacerebbe molto. In contemporanea mi piacerebbe entrare in produzioni grosse come quella del Sistina o del Brancaccio, perché appunto sono anche una performer di musical oltre che di prosa. Inoltre, mi piace molto leggere, sono un’appassionata di storia romana e medievale.

Qualche sassolino nella scarpa?

I due sassolini sono la collaborazione con i due grandi teatri di Roma: il Sistina e il Brancaccio. Sono due circuiti molto complicati, ma non ti nascondo che ci stiamo andando vicino! Sono abbastanza soddisfatta della mia vita, del mio lavoro, mi sto realizzando sotto tanti punti di vista, anche dal punto di vista organizzativo.

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