Il 3 febbraio debutterà, al Teatro Tordinona di Roma, il lavoro teatrale: “Julia ti scrive”; adattamento e regia di Mariella Pizziconi, tratto dal romanzo “Lettere da Pandataria: Julia ti scrive” della scrittrice Rita Bosso. La pièce della regista Mariella Pizziconi ha come protagonista Julia, figlia dell’imperatore Ottaviano Augusto. Julia, interpretata da Anna Piscopo, viene mandata al confino dal padre, nel ruolo Massimo Napoli, per cinque anni e la scrittrice ne racconta la storia attraverso le sue lettere. Quest’ultime, mai realmente esistite, sono in grado di rendere reale la narrazione del dolore di una madre strappata all’amore dei suoi figli. Julia è costretta a rimembrare ciò che è stato e forse mai più sarà. Accanto a lei nei suoi giorni di struggente malinconia Tecla, interpretata da Noa Persiani, una pescatrice nativa dell’isola e Vittoria Vitiello, aiuto pescatrice schiava di Julia. Paullo, interpretato da Jonathan Kristian Maroncelli, è colui che ha il compito di prendere le missive da Ventotene e portarle a Roma. L’uomo, in realtà, deve spiare a nome dell’imperatore la figlia ma ne resterà affascinato, non riuscendo a rimanere inerme difronte alla sua bellezza e cultura. Lo spettacolo narra la vita sull’isola di Julia tra i ricordi di un’infanzia severa e la preoccupazione per la progenie rimasta a Roma in balia delle congiure di corte. La pièce dipinge il ritratto di una donna forte, libera, colta e raffinata, in grado di conoscere la bramosia di potere e le sue estreme conseguenze.
“Più che scegliere io il testo da portare in scena è stata l’autrice a scegliere me per la trasposizione. Ci siamo conosciute su Facebook: sono stata io a cercarla dopo aver letto un suo libro” – racconta la regista Mariella Pizziconi. “La storia della figlia di Ottaviano Augusto relegata a Ventotene mi ha subito affascinata – aggiunge – ed eccomi oggi a rappresentarla. Rita Bosso a teatro ha visto altre due mie riduzioni, ovvero Filumè, tratto dalla celeberrima “Filumena Marturano” di Eduardo De Filippo e “La bisbetica domata” di William Shakespeare, e ne ha apprezzato il lavoro. Ha conosciuto altresì gli attori della mia compagnia, la White Light, decidendo di consegnarci il suo gioiello”, dice Mariella Pizziconi. Mariella ci ha raccontato questa sua incredibile avventura teatrale portandoci per mano all’interno di questo progetto avvincente e denso di senso e significato. La cifra narrativa che ci regala con la sua pièce rende merito alla sua capacità artistica. Qui mi giunge in aiuto un sogno-desiderio: chissà se Mariella non leggerà uno dei miei romanzi, in fondo ci siamo conosciute per e-mail (mentre lo penso, rido, perché in fondo la mia parte bambina è una grande sognatrice). Grazie Mariella per avermi donato il tuo tempo in questa avvincente intervista.
Cara Mariella, eccoci qui, ma tu chi sei, cosa fai?
Sono un’artista e ora anche nonna felice. Una pittrice ormai a riposo, una scenografa, una insegnante di materie artistiche in pensione. Scrivo testi teatrali che porto in scena. Ho fatto cinema indipendente, tra le prime ad usare il digitale. Ho anche fondato la Pi.Sa film e fatto rivivere la White Light, l’associazione culturale di cui mio figlio Andrea Santoro, montatore cinematografico e regista, è presidente. Insomma, la mia vita è arte, poesia, musica ma anche famiglia naturalmente.
Come arriva la recitazione e la regia nella tua vita?
La regia era già in me quando ai miei piccoli compagni di gioco distribuivo i ruoli da recitare nel cortile di casa, naturalmente a me toccava sempre il ruolo di principessa. Il mio maestro di scenografia, Toti Scialoja, ci faceva creare piccoli corti teatrali basati sui movimenti dei corpo proiettati nella spazialità. Questi dovevano muoversi tra gli elementi scenici che noi allievi creavamo ed era già regia. Da quando bambina di quattro anni vidi per la prima volta un’opera lirica con musica, luci e costumi decisi che quella dovesse essere la mia vita, poi i miei genitori non mi fecero studiare musica ed approdai alla pittura.
Quanto è difficile adattare un romanzo a un’opera teatrale?
Difficilissimo ma entusiasmante. Un viaggio unico, pieno di sorprese. Bisogna prima di tutto innamorarsi del testo e quello che scrive Rita Bosso, e come lo scrive, fa sempre innamorare. Poi bisogna andare al cuore dell’opera, capirne tutto. Quante domande ho fatto a Rita!! Poi decidere a cosa dare più spazio. Spesso creare dialoghi. Scremare e scremare e scremare per poi arrivare all’essenza. Far vivere personaggi spesso soltanto descritti e poi creare, immaginare l’interazione scenica. E quando pensi d’aver finito, alla prima lettura con gli attori ti accorgi che il copione è ancora troppo lungo e quello di cui strada facendo ti sei innamorata lo devi inesorabilmente tagliare. È un dolore ma va fatto perché è al pubblico che dobbiamo pensare affinché non si annoi, capisca e goda.
Che cosa ti ha ispirato di “Lettere da Pandataria: Julia ti scrive” della scrittrice Rita Bosso?
Il mare, Ventotene che ho amato, Giulia, la sua femminilità, la sua maternità e il suo dolore. Rita mi ha parlato della “macchina del fango” che anche ai tempi di Ottaviano faceva i suoi infiniti danni dipingendo volutamente Giulia come una infame meretrice. Questa scusa cercava, infatti, Cesare Augusto per poter relegare la figlia a Ventotene e continuare a spadroneggiare nella vita dei suoi tre figli maschi. Rita Bosso è un’abile narratrice, una scrittrice sopraffina e mi è piaciuta la storia ma anche il modo in cui è stata scritta naturalmente, altrimenti non l’avrei fatta mia.
In questo mondo di sms, social, chat, le lettere e le cartoline sono state archiviate, quanto invece è importante la scrittura epistolare?
Purtroppo, le lettere non si scrivono più, almeno a me non capita più, ma ne ho scritte tante al ragazzo che è diventato mio marito. Era bello scegliere la carta, a volte profumata e la penna, era bella l’attesa della risposta e le corse alla cassetta delle lettere. Ora è tutto veloce, tutto immediato. Non ci sono profumi né macchie di lacrime a indicare il momento di dolore per la lontananza, peccato.
Julia a chi scrive?
Julia scrive ai cinque figli e al padre. Sa che non li rivedrà mai più. È come se inviasse il suo grido di dolore al vento e al mare. Il vento leviga, l’acqua del mare purifica e lei a Ventotene si è purificata anche di colpe che non avrebbe mai commesso se fosse stata libera di scegliersi la vita. Il padre, Ottaviano Augusto, scelse la pace di Roma alla felicità della figlia e usò la bellezza di Julia per matrimoni di convenienza che assicurassero il bene della popolazione.
La figlia di un imperatore mandata al confino, le lettere come ancoraggio alla sua terra, qual è il messaggio che vuoi inviare al tuo pubblico?
Il mio pubblico lo voglio emozionare sempre così creo momenti che tra musica e parole possano far esplodere nell’animo dello spettatore quel miracolo che sempre lo trasporta altrove. La nostra isola siamo noi e l’ancora alla terra ferma è il nostro vissuto quotidiano. Ora è la storia che parla ed è sempre la stessa da millenni anche se cambia d’abito e di locomozione. Sono uguali i vizi e le virtù, cambiano i calzari ma non l’amore, non il dolore, non la morte. Il messaggio arrivato dal mare non è in una bottiglia di vetro ma nelle lettere piene di ricordi e di rimpianti che Julia scrive e consegna a Paullo, il pubblico le ascolterà e capirà che l’amore di una madre è sempre lo stesso
Perchè, dal tuo punto di vista, la scrittrice ha ripreso una storia così antica per trattare un tema che dal mio punto di vita è estremamente attuale?
Proprio perché è attuale l’ha ripresa: il potere, gli scrivani prezzolati che manipolano e nascondono le verità al popolo, gli intrighi politici, l’eterno amore di una madre, puro anche quand’ella non lo è. Ma Ottaviano, l’apparente freddo Cesare, a differenza di tanti capi politici almeno pensa al popolo, alla sua pace, e sacrifica la figlia, le passioni di lei, per far sì che Roma non debba affrontare sanguinose guerre di potere. Così il campo di battaglia diventa Julia e il suo utero, preziosa fucina per il bene della comunità. Ottaviano alleva e prepara i suoi figli affinché garantiscano a Roma quella stabilità a cui ogni paese o impero dovrebbe aspirare.
In fondo gli abitanti della rete sono tutti un po’ al confino?
Sì, ma voluto, anche se a volte indotto. Il mondo non è accogliente e sicuro e ognuno ha diritto a salvarsi. La rete spesso ci imbriglia, come pesci buoni solo per la frittura e infatti “siamo fritti” quando finiamo in tranelli odiosi. Ci creiamo isole lontane, relegazioni come palcoscenici segreti su cui essere altro. Durante la pandemia, a un certo punto, ognuno ha avuto la propria “Ventotene” e le lettere di Julia erano i canti serali fatti al balcone gridati in modo scomposto. Sirene disperate in un mare sconosciuto. Ma come per Julia, abbiamo avuto anche la nostra “purificazione”: niente più rumori, niente più smog, famiglia e basta, rifugio, consolazione.
C’è l’incontro con Tecla che crea un’alchimia particolare, vuoi parlarcene?
Tecla è la voce dell’isola, vera e spontanea, appena accennata sul libro che però ho voluto più forte e presente per alleggerire il copione. L’ho chiesto esplicitamente a Rita Bosso che, molto carinamente, ha provveduto a aggiungere simpatiche battute in napoletano. Tecla è nativa di Ventotene come l’altra schiava aiutante pescatrice e fa capire a Julia che la verità di Ventotene è l’unica verità possibile perché la verità di Roma è artefatta, inquinata da congiure, dicerie e manipolazioni. La verità di Roma non è verità e lo sappiamo purtroppo.
Mentre Paullo, chi è nella pièce?
Paullo, uomo mite e modesto è inviato a Ventotene da Ottaviano per spiare la figlia. Fingerà di essere un ornitologo ma, come tutti, si innamorerà di lei. Proverà a portare a Roma le lettere della donna per i figli e per il padre ma rischierà ogni volta di morire- Chi lo vuole morto? Giungerà al mausoleo di Augusto ma in grave ritardo, quando tutti quasi tutti saranno morti. A Paullo non rimane che farsi amico il soldato che depositerà le lettere soltanto ai sacelli.
Vivere su un’isola è un po’ come vivere all’interno di sé oppure?
Sì, vivere su un’isola è un po’ vivere dentro di noi o vivere dentro un fortino, o ancora, nel piccolo orto che ci siamo costruiti insieme ai nostri cari. È spesso guardare l’orizzonte ed avere paura ma fa paura anche guardarsi dentro. Ci sono baratri inconfessabili, paure irragionevoli.
Ma l’isola può essere bella, molto, molto bella, e un po’ di relegazione può essere salutare. La purificazione da ciò che ci contamina ci può salvare. San Francesco si isolava in contemplazione per poi rituffarsi in mezzo alle anime. Lo dovremmo fare tutti ma non c’è tempo e non c’è spazio purtroppo.
Come hai conosciuto l’autrice?
Ero a Ponza per una vacanza e in una libreria trovai un piccolo libro: “Memorie di Amalie”. Lo lessi in poche ore, anzi lo divorai. Era avvincente, scritto benissimo. Non ero, a quel tempo, iscritta su Facebook ma appena potei contattai Rita Bosso e le chiesi il permesso di trasformare il testo del suo libro in copione teatrale. Acconsentì. Nel frattempo, lei venne a vedere i miei spettacoli teatrali, le mie riduzioni, gli adattamenti di testi famosi. L’estate scorsa ero lì che sistemavo il copione di “Memorie di Amalie”, appunto, quando mi chiama e mi dice che vuole assolutamente portare un altro suo testo a Ventotene. Un altro testo? A Ventotene? Ebbene sì. “Lettere da Pandataria” era lì ad attendermi. Naturalmente me ne innamorai subito. Rita è una donna colta, simpatica, solare. Ridiamo tanto insieme e ci rispettiamo, rispettiamo i nostri rispettivi lavori. Bellissimo e facile collaborare con lei. Lunga vita all’autrice!
Potremmo dire un incontro diventato grazia e mistero?
Oh sì, a volte si fanno incontri che sembrano predestinati e quello con Rita è uno di questi. Entrambe insegnanti a riposo, amanti del teatro, entrambe un po’ mattacchione e innamorate del mare, delle isole. Con lei però ho anche incontrato Giulia, la figlia di Ottaviano Augusto. Non conoscevo la sua storia eppure mia zia e mia nipote si chiamano “Giulia” e parenti e amici e tanta gente a Roma porta questo nome. Da studentessa non ho molto amato la storia, la storia dell’arte sì, ma le date di guerre e i nomi delle battaglie non mi entravano in testa, forse perché sono una pacifista. Se avessi avuto Rita a spiegarmele forse… Adesso spesso immagino che io, Rita e Giulia ce ne andiamo a spasso insieme per le stradine ventose di Ventotene. Guardiamo il mare e ci mettiamo a cantare. Il canto è libero, nessuno lo può imbrigliare.
Chi sono i tuoi compagni di viaggio?
I miei compagni di viaggio sono la mia famiglia artistica, alcuni li conosco da anni, amo lavorare con loro. Sono attori validissimi e persone squisite; ogni tanto se ne aggiungono di nuovi e Anna Piscopo è tra questi: giovane talento artistico l’ho notata in un suo spettacolo e siamo diventate amiche, lei sarà “Giulia” forte e appassionata. Massimo Napoli invece sarà “Ottaviano”. Con lui ho una collaborazione che dura ormai da anni. Ha una voce bellissima, un vero maestro. A Rita ho chiesto di scrivere un finale per lui che fosse chiusura degna di questo appassionante spettacolo. Anche Jonathan Cristian Maroncelli è mio amico, anche con lui ho già lavorato ed anche lui è dotato di grande voce tanto che canta come De André, il ragazzo è anche musicista.
Con Noa Persiani (Tecla la pescatrice) l’anno scorso ho fatto “La bisbetica domata”, per lei inventai il ruolo del folletto rock. Noa è attrice e danzatrice. Vittoria Vitiello, anch’essa pescatrice, conosciuta da pochi mesi, è una giovane attrice danzatrice da tener d’occhio. Andrea Scaramuzza, il soldato, è arrivato da pochi giorni nella nostra compagnia ma con la sua simpatia e bravura si è già conquistato la simpatia di tutti. Infine, Serena Canali, il mio meraviglioso aiuto regia, impossibile fare a meno di lei, mai incontro fu più provvidenziale. Valida sotto tutti i punti di vista è anche molto brava come attrice.
Andrete in tour?
Se qualcuno ce lo chiedesse sì, ci piacerebbe moltissimo. Vorremmo principalmente allestire uno spettacolo nella villa di Giulia a Ventotene, poi magari a Ponza ma non abbiamo una produzione. Sono anni che allestiamo spettacoli bellissimi e pieni di attori ma poi tutto si ferma. Tanto lavoro sprecato, che peccato.
Cosa ti aspetti dal pubblico?
Dal pubblico mi aspetto attenzione, è importante per capire la storia, soprattutto la storia di questa donna ricca, famosa ma anche sventurata. Spero che le donne la prendano in simpatia. Questo è un dramma familiare oltre che politico, c’è una figlia che deve obbedire ad un padre padrone che pensa soprattutto a Roma. Chissà quanti politici oggi si comporterebbero così? Ma Giulia è anche madre sfortunata ed entrerà sicuramente nei cuori delle spettatrici madri. Ho inserito nello spettacolo una musica antica molto forte, d’impatto, non può non emozionare. Mi aspetto silenzio partecipativo ma, anche, uno scrosciante applauso nel finale. Per questo lavoriamo.
Progetti?
Progetti? Tanti! Sono già partite le prove de “Le sorelle Materassi” con un mio adattamento: dopo la metà di marzo al Teatro Portaportese di Roma con la mia storica amica Simona Ciammaruconi, con Rita Pasqualoni, Massimo Napoli, Jonathan Cristian Maroncelli e Anna Piscopo. L’anno prossimo poi toccherà finalmente a “Memorie di Amalie” di Rita Bosso. Ma c’è dell’altro… C’è un copione che ho appena finito di scrivere, molto, molto originale, non dico di più.