HUNGRY”: Dietro le Quinte con Eleonora Cucciarelli, l’Anima di Gina

“HUNGRY”, lo spettacolo in scena al Teatro Trastevere, Il Posto delle Idee, l’11 e 12 marzo 2025, è un’opera che scava nel profondo delle nostre fragilità, delle ossessioni e della fame insaziabile di successo. Al centro di questa esplorazione c’è Gina, il personaggio interpretato con intensità e vulnerabilità da Eleonora Cucciarelli.

Ma chi è veramente Eleonora, oltre Gina? Come è nato questo personaggio complesso e sfaccettato? Quali sono le ispirazioni e le motivazioni che l’hanno spinta a portare in scena una storia così intima e universale?

In questa intervista esclusiva, Eleonora Cucciarelli ci apre le porte del suo mondo interiore, svelandoci i segreti di “HUNGRY”, le sfide affrontate nella creazione di Gina e le speranze che nutre per il pubblico che verrà a teatro.

Preparatevi a un viaggio emozionante nel cuore di una artista che ha saputo trasformare le proprie paure e fragilità in una potente forma d’arte.

“HUNGRY” è definita una “dramedy dai sottotoni grotteschi”. Come bilancia questo mix di leggerezza e profondità nel suo spettacolo?

Con l’ironia, o almeno ci provo. L’ironia è la chiave di lettura secondo me, per raccontare un dramma evitando la deriva nel patetico. La capacità di ridere sulle nostre sventure e trovare il grottesco in tante situazioni della vita. Mi ispiro ad autrici e stand-up comedians che hanno raggiunto altezze in questo senso, come Phoebe Waller-Bridge e Corinne Fisher.

Il personaggio di Gina è descritto come un criceto su una ruota. Qual è la chiave per rendere questa metafora visivamente e emotivamente potente sul palco?

Gina è intrappolata in un circolo vizioso che la porta inevitabilmente a fare le medesime scelte rispetto agli ostacoli della sua esistenza. Sulla scena la vediamo nella sua quotidianità ripetere gesti che richiamano una ritualità ossessiva, cerimonie del culto del sé, gesti che nella loro serialità arrivano a perdere ogni significato, diventando segni assurdi.

Gina è spinta da un EGO che la spinge ai limiti. Come ha lavorato per rendere credibile e sfaccettata questa figura così critica?

Nella scrittura mi sono ispirata a personaggi come quello di Willa Fitgerald nella serie ‘Dare Me’, o di Mila Kunis in ‘Black Swan’, ma anche l’iconica Miranda di ‘Il diavolo veste Prada’. Ho cercato di dare vita alla parte più perfezionista e dura di ognuno di noi. Quella voce che ci dice che non saremo mai abbastanza e non ci fa godere del raggiungimento dei nostri traguardi. Ego ha disciplina, dedizione, forza interiore, tutte qualità considerate positive, ma che possono però portare alla distruzione se spinte all’estremo.

La Pizza è una voce filosofica che tenta Gina. Come è nata l’idea di questo personaggio così particolare?

L’elemento della pizza in scena è presente sin dalla prima stesura del testo, ma il suo sviluppo in un personaggio vero e proprio nasce successivamente. Non ricordo esattamente il momento in cui la pizza si è trasformata da elemento scenografico a personaggio vero e proprio. I dialoghi sono nati per la maggior parte da  improvvisazioni durante le prove, dopo le quali andavo poi a casa a scrivere. La Pizza si è poi evoluta in una filosofa Edonistica per sviluppare un’etica contrapposta a quella dell’Ego e di Gina.

Lo spettacolo affronta temi delicati come il disordine alimentare e il culto del sé. Come ha gestito la responsabilità di trattare questi argomenti con sensibilità?

Il culto del sé è abbastanza all’ordine del giorno di questi tempi, lo vediamo tutti i giorni sui nostri schermi, uno degli aspetti grotteschi vita, come accennavo. Lo considero sì un tema delicato, ma non percepisco come pressante la responsabilità nell’averlo trattato. La questione del disordine alimentare è, sì estremamente delicata, ma è anche una che conosco da vicino, sia per esperienza vissuta in prima persona e per aver studiato l’argomento in maniera più ‘accademica’ se vogliamo.

“HUNGRY” esplora il rapporto tossico con il sé e con il cibo. Qual è, secondo lei, il messaggio più importante che lo spettacolo vuole trasmettere al pubblico su questo tema?

I soggetti che sviluppano sintomi di disordini alimentari sono spesso persone molto forti, caparbie, disciplinate, estremamente sensibili. Un disordine alimentare non deriva dalla volontà di essere belli, magri e perfetti, ma da un profondo bisogno di amore. Dalla paura di non essere in grado di affrontare la vita, una vita che non si può controllare, si può solo vivere. Il controllo sul cibo e sul proprio corpo dà appunto l’illusione di avere il controllo sulla nostra esistenza.

Non possiamo limitarci a vedere solo l’apparente frivolezza dei sintomi dei DSA. Anche l’energia negativa e distruttiva si può trasformare nel suo contrario, se incanalata con amore e compassione verso sé stessi. Vorrei dare dignità ai disordini alimentari.

Lo spettacolo fa riferimento alle radici mistiche del digiuno intermittente. Può approfondire questa connessione e come si lega alla storia di Gina?

Il digiuno è una pratica spirituale e religiosa da sempre, è visto come un momento di purificazione del corpo, per prepararlo ad una maggiore connessione dell’anima al divino. Anche questa pratica però, se spinta all’estremo, diventa nociva ed autolesionista. Nel Medioevo si diffuse un fenomeno chiamato poi ‘Santa Anoressia’. La maggior parte delle donne viveva all’ombra di un uomo e non aveva diritti. Per affermare il proprio ruolo non rimaneva che la religione,  rinunciare alle proprie pulsioni e desideri corporali, per raggiungere la purificazione.

Gina è come una sacerdotessa nel suo tempio, devota alle sue pratiche, anche lei compie gesti rituali e utilizza tecniche di mortificazione del corpo per arrivare ai suoi scopi, per arrivare al suo riconoscimento.

La scenografia minimalista è un elemento chiave dello spettacolo. Come il frigorifero e la cornice vuota dello specchio contribuiscono a raccontare la storia di Gina?

Gli elementi scenografici sono dei totem, le divinità nel mondo distorto di Gina. Il frigorifero contiene i cibi più o meno proibiti, i premi e le penitenze di Gina. Lo specchio è la porta attraverso la quale Gina comunica con il suo Ego, dalla quale si fa spronare, umiliare e sottomettere.

Lei e Alessandra Silipo avete collaborato alla creazione dello spettacolo. Come si è sviluppata questa sinergia creativa e come ha arricchito il risultato finale?

Alessandra ed io abbiamo iniziato partecipando a serate open-mic nei locali di Roma, portando in scena estratti del testo. Alessandra è stata da una parte quell’occhio esterno fondamentale per un attore che si accinge a portare in scena testi propri, trovando soluzioni registiche interessanti, dall’altra ha fornito spunti per il mio processo di scrittura.

“HUNGRY” parla della fame di successo e di accettazione. Quali sono le sue personali riflessioni su questi temi, alla luce della sua esperienza come attrice?

Scegliere di fare la recitazione la propria vita, implica una volontà di essere visti, scelti, ammirati e amati. Vogliamo vincere i provini, camminare sul red carpet, vedere il proprio seguito crescere. Anche io lo voglio. Allora cerco di guardare in faccia questi obiettivi, accettarli dentro di me e gentilmente distaccarmene. Perchè l’amore vero, la felicità anche momentanea, sono proprio nel mestiere, nel lavoro. Per quanto clichè possa sembrare, la vera accettazione è quella che noi abbiamo per noi stessi e il vero successo di un artista risiede esattamente nella propria arte, la più generosa e onesta possibile.

Lo spettacolo esplora gli estremismi legati ai disordini alimentari. Qual è la sua speranza per il pubblico che vive queste difficoltà?

Spero che gli spettatori che vivono e hanno vissuto i DSA sulla propria pelle si sentano meno soli e soprattutto spero che, se mai qualcuno si rivedrà nelle vicende di Gina, rida un po’ di lei e un po’ di sé.

Come si è preparata fisicamente ed emotivamente per interpretare un ruolo così impegnativo come quello di Gina?

Sono andata a scavare nei miei ricordi e mi sono fatta due chiacchere coi miei mostri, anche con quelli che non vedevo da un po’, è stata una bella rimpatriata.  Anche qui esercitare la distanza da sé è stato utile. Capire che si cambia, si evolve e ci si libera da certe catene. Gina per me è anche, ma non solo, catarsi.

Qual è stata la reazione del pubblico alle prime rappresentazioni di “HUNGRY”? Ci sono state storie o commenti che l’hanno particolarmente toccata?

E’ successo che la gente venisse da me dopo un’esibizione, per raccontarmi la propria esperienza, o l’esperienza di qualche familiare o amico. Inutile dire quanto questi momenti mi abbiamo scaldato il cuore. Una volta, dopo una rappresentazione, un ragazzo sicuramente in forma, ma completamente ‘normale’ all’apparenza, mi ha confidato la sua esperienza personale con i DSA, mi trattava come una vecchia amica. Non mi era mai capitato prima.

“HUNGRY” sembra essere uno spettacolo molto personale. Quanto c’è di lei nel personaggio di Gina?

Sicuramente c’è qualcosa di me in Gina, d’altronde è farina del mio sacco. Ci sono alcune parti che appartengono a Eleonora adolescente, altre ad Eleonora giovane Italiana all’estero ed altre ancora che sono inventate, o rubate per strada e nella vita.

Quali sono i suoi progetti futuri dopo “HUNGRY”? Ha in mente di affrontare altri temi sociali o personali attraverso il teatro?

Ho in mente un paio di idee. Sto cominciando a lavorare su uno studio di un testo di Apollinaire insieme a un regista e professore, collega e amico. C’è anche un altro progetto che mi ronza nella testa, che ha sicuramente più a che fare con tempi sociali che personali, ma non ha ancora corpo e non ne voglio parlare troppo, per scaramanzia.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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