Intervista speciale con Alessandra Silipo, regista dello spettacolo teatrale “HUNGRY”, in scena al Teatro Trastevere Il Posto delle Idee l’11 e 12 marzo 2025.
“HUNGRY” è molto più di una semplice pièce teatrale; è un’esplorazione audace e senza filtri delle pressioni che la società moderna esercita su di noi, in particolare nel contesto del successo, dell’apparenza e del rapporto distorto con il cibo.
Attraverso la storia di Gina, interpretata da Eleonora Cucciarelli, lo spettacolo ci porta in un viaggio emotivo tra allenamenti estenuanti, diete ferree e la costante ricerca di una perfezione irraggiungibile, il tutto sotto lo sguardo critico e sarcastico del suo Ego. Ma c’è anche una voce che offre conforto e piacere: la Pizza, che invita Gina a godere delle gioie semplici della vita.
“HUNGRY” non si limita a raccontare una storia, ma solleva interrogativi profondi sul nostro bisogno di accettazione, sull’ossessione per l’immagine e sulla fame insaziabile di successo che ci divora.
Preparatevi a scoprire i retroscena di questo spettacolo intenso e provocatorio, mentre Alessandra Silipo ci guida attraverso le tematiche, le scelte registiche e le curiosità che hanno dato vita a “HUNGRY”.
“HUNGRY” è uno spettacolo che affronta temi complessi come i disordini alimentari e il culto del sé. Cosa l’ha spinta a intraprendere questo progetto come regista? Sentivo l’urgenza di esplorare il legame tra identità, immagine e controllo. Il culto del corpo e la ricerca ossessiva della perfezione, alimentati dalle pressioni sociali e mediatiche sono temi che ho molto a cuore e che ho già indagato come regista, attrice e drammaturga in spettacoli come La morte ti fa bella e Nuoce gravemente alla salute. Raccontare la storia di Gina è un’ulteriore opportunità per mettere in discussione le pressioni che ci circondano e offrire una prospettiva diversa, più autentica e consapevole.
Come regista, come ha lavorato per bilanciare il tono da “dramedy con sottotoni grotteschi” con la serietà degli argomenti trattati?
Il mio percorso si è sempre mosso tra il tragico e il comico. Lavorando con maestri come Eimuntas Nekrošius e Carlo Boso, ho sviluppato una sensibilità per il contrasto tra leggerezza e profondità. In Hungry, ho lavorato per creare questo equilibrio facendo in modo che il pubblico fosse coinvolto emotivamente senza mai essere schiacciato dal peso del tema. L’uso di una narrazione registica e drammaturgica che accosta generi diversi dalla stand-up comedy alla performance, l’utilizzo di contrasti ritmici, sonori e visivi di esagerazione o distorsione hanno permesso di mantenere una dinamicità che rende lo spettacolo vicino alla realtà quotidiana dove si ride, si soffre, si riflette.
Oltre alla regia, ha collaborato alla scrittura dello spettacolo con Eleonora Cucciarelli. Come si è svolto questo processo creativo a quattro mani?
Il processo è stato un continuo confronto. Attraverso un lavoro di riscrittura e studio sul testo, lo spettacolo ha assunto varie forme nel tempo tra cui una versione corto premiata come “miglior testo originale”. Abbiamo costruito i personaggi e le loro relazioni attraverso dialoghi serrati e momenti di improvvisazione, in uno di questi è nato il personaggio della Pizza. è stata una crescita stimolante in quanto non si tratta solo di inserire il problema dei disturbi alimentari in un contesto più ampio: quello di una società che sfrutta gli individui, spremendoli fino al limite.
In che modo la sua partecipazione come attrice nello spettacolo ha influenzato la sua regia?
In questo spettacolo la mia partecipazione attoriale è di supporto. Sono abituata a lavorare sia in regia che sul palco, essere in scena mi da una prospettiva dall’interno, permettendomi di sentire il ritmo, le pause e la fisicità dello spettacolo in modo più immediato, testando direttamente ciò che funziona e ciò che va affinato, rendendo la regia più fluida e organica. non farlo mi farebbe sentire come un capitano che abbandona la sua nave.
Il personaggio dell’EGO di Gina è descritto come un’allenatrice rigida con un pizzico di sadismo. Come ha guidato l’attrice nell’interpretazione di questa figura complessa?
L’EGO di Gina rappresenta il lato più crudele della nostra società e della nostra stessa psiche, è una presenza che seduce e punisce al tempo stesso. Ho lavorato con l’attrice esplorando la dimensione psicologica del personaggio ed enfatizzando sia il suo sarcasmo sia il senso di inevitabilità che la sua presenza porta con sé, per trovare il giusto equilibrio tra durezza e fascino, tra il suo lato crudele e ambizioso e quello ipnotico, quasi protettivo.
La Pizza è una voce che incita Gina ai piaceri della vita. Qual è stato il suo approccio nel dirigere questa figura così particolare e simbolica?
La Pizza, alla quale presto la voce, è il contraltare dell’EGO, ma non è solo una tentazione superficiale: è una sorta di figura filosofica, una voce che invita a vivere, a lasciarsi andare. è quasi una divinità benevola, un’eco del desiderio represso. Il suo tono è volutamente edonistico e leggero, ma porta con sé una verità profonda: il bisogno umano di piacere e di libertà. Ho lavorato sul suo tono avvolgente, suadente, filosofico e inevitabilmente beffardo.
La scenografia minimalista gioca un ruolo fondamentale nello spettacolo. Come ha collaborato con lo scenografo per creare uno spazio che riflettesse la scissione interiore di Gina?
Ho voluto lavorare per realizzare una scenografia che fosse un ulteriore strumento narrativo. Gli elementi scenografici riflettono, infatti, la scissione interiore di Gina, la lotta tra controllo e desiderio e gli oggetti stessi sono personaggi con i quali entrare in relazione. Le scene si sviluppano in uno spazio minimalista dove il corpo diventa il centro del racconto, esprimendo la ricerca del fragile equilibrio tra l’accettazione di sé e la lotta con il proprio ego che può arrivare a spingere a una competizione autolesionista enfatizzando in questo modo la tensione tra bellezza e distruzione.
Quali sono state le sfide più grandi che ha incontrato nel dirigere uno spettacolo che esplora temi così intimi e delicati?
La sfida principale è stata trovare il tono giusto, evitando sia la banalizzazione del problema che una eccessiva drammatizzazione. Abbiamo lavorato per gestire emotivamente i momenti più intensi dello spettacolo e mantenere l’equilibrio tra verità emotiva e leggerezza. Quello che sicuramente ha reso il lavoro più efficace e rapido è condividere con Eleonora uno stesso tipo di linguaggio e di metodo appresi grazie alla comune formazione con Euact e Paolo Antonio Simioni.
“HUNGRY” utilizza un linguaggio contemporaneo per affrontare temi attuali come il culto del sé indotto dai social media. Come ha lavorato per rendere lo spettacolo rilevante e coinvolgente per il pubblico di oggi?
Attraverso un montaggio che non segue necessariamente un ordine cronologico fatto di ritualità e privazione, e che alterna una dimensione pubblica e una privata, una dimensione sonora e verbale e una dimensione silenziosa e fisica, un passato di Ossessione e solitudine e un presente di condivisione. E poi reel, notifiche, telefonate., il bombardamento costante di aspettative e giudizi che i social alimentano. Questo stile contemporaneo e frammentato, ha aiutato ad avvicinare il personaggio di Gina alla quotidianità, in cui molti possono riconoscersi, perché il bisogno di validazione è ormai un elemento centrale della nostra epoca.
Lo spettacolo esplora il rapporto tossico con il cibo e il bisogno di accettazione. Qual è, secondo lei, il messaggio più importante che “HUNGRY” vuole comunicare al pubblico su questi temi?
Che la fame di riconoscimento può diventare una prigione di scelte autodistruttive. E che l’accettazione di sé non passa attraverso il controllo ossessivo, ma attraverso la capacità di riconoscere il proprio valore al di là degli sguardi altrui. Hungry racconta il percorso per riconoscere questa fame e trovare un equilibrio tra il bisogno di controllo e il diritto al piacere. Inoltre, ci si interroga sulla dimensione mistica del digiuno, che nella storia è stato usato come strumento di elevazione spirituale, ma che oggi viene spesso distorto e mercificato. In definitiva, “HUNGRY” invita il pubblico a riflettere su cosa significhi davvero nutrire se stessi, non solo fisicamente, ma anche emotivamente e spiritualmente.
In che modo “HUNGRY” si distingue dagli altri spettacoli che affrontano temi simili? Cosa lo rende unico e speciale?
La combinazione di dramma, ironia e fisicità, di satira e introspezione, di linguaggio visivo e simbolico, rendono “HUNGRY” una performance dinamica unica proprio perché gioca con diversi registri. Il pubblico non è solo spettatore, ma viene coinvolto nel vortice di Gina. È un viaggio emotivo e simbolico che esplora le tensioni tra il bisogno di controllo e il desiderio di libertà, tra l’imposizione di modelli esterni e la necessità di riscoprire un rapporto autentico con se stessi.
Come ha visto evolvere il personaggio di Gina durante le prove e le rappresentazioni dello spettacolo?
Gina con il tempo è diventata più attiva, più consapevole, senza perdere la sua vulnerabilità, è cresciuta attraverso il lavoro dell’attrice, che ha trovato sfumature sempre più profonde nel personaggio, rendendolo autentico e stratificato.
Qual è la sua interpretazione del titolo “HUNGRY”? Cosa rappresenta questa “fame” per lei e per lo spettacolo?
Hungry significa molte cose: fame di cibo, di successo, di riconoscimento, di libertà. È un titolo che racchiude il cuore della storia: il desiderio insaziabile di qualcosa che non si sa nemmeno definire. Gina è affamata di riconoscimento, di un posto nel mondo, ma è anche divorata da un sistema che la spinge a credere che il suo valore dipenda solo dalla performance e dall’apparenza. Lo spettacolo esplora come questa fame possa trasformarsi in ossessione e come sia possibile spezzare questo circolo, ritrovando una forma di nutrimento che vada oltre la mera soddisfazione immediata, per diventare un atto di riconciliazione con se stessi.
Quali sono le sue influenze artistiche e come hanno plasmato il suo approccio alla regia di “HUNGRY”?
Mi ispiro al teatro fisico, alla sua capacità di trasmettere emozioni e concetti attraverso il corpo e il movimento, enfatizzando la dimensione viscerale e non verbale della performance. Mi interessano le storie che lavorano con il corpo, con il simbolismo. Mi interessa il teatro che comunica attraverso il corpo, il ritmo, il simbolo, con un’ironia che non è mai solo divertimento ma anche uno strumento di riflessione sulla contemporaneità.. Questo approccio ha guidato tutta la regia di Hungry, rendendolo uno spettacolo che vive tanto nell’energia fisica quanto nella parola.
Quali sono i suoi prossimi progetti teatrali? C’è qualche tema o argomento che le piacerebbe esplorare in futuro?
Attualmente sto lavorando a due spettacoli molto diversi tra loro. Mai più di nessun altro che esplora il tema del femminicidio da un punto di vista dell’uomo carnefice, intrappolato nel proprio senso di colpa e nella sua incapacità di accettare la perdita della donna che ha amato e distrutto, una riflessione profonda sulla fragilità maschile e sulla necessità di un cambiamento culturale. Ishàh, un’opera poetico-performativa che affonda le sue radici nel mito, nella filosofia e nella storia per interrogarsi sulla vera natura dell’umanità. È un viaggio attraverso la luce e l’ombra dell’essere umano, una riflessione sulla nostra epoca di caos e narcisismo, sul bisogno di ritrovare una purezza originaria.
Mi interessa il rapporto tra individuo e società, la manipolazione dell’identità nell’era digitale, il senso del sacro nel contemporaneo. Sono attratta dalle narrazioni che mettono in discussione la nostra percezione della realtà e dell’esistenza, portando il pubblico in un’esperienza che non sia solo intellettuale, ma anche sensoriale, emotiva e ironica.