Dove nasce un’idea: cinque anni di Germogli al Teatro Trastevere

Cinque anni possono sembrare pochi nella vita di un festival, ma nel caso di Germogli, il tempo ha avuto un’intensità tutta sua. Nato come un atto di resistenza creativa in un’epoca segnata dall’incertezza post-pandemica, oggi Germogli è diventato un punto di riferimento per chi crede che il teatro sia, prima di tutto, processo, condivisione e trasformazione.

Al Teatro Trastevere, Germogli non è solo un calendario di residenze artistiche: è un terreno fertile dove si coltivano idee ancora fragili, ma vive, pulsanti, non ancora pronte a diventare “spettacolo”, eppure già capaci di parlare al presente. Qui il non-finito è una scelta poetica e politica: si celebra il coraggio dell’inizio, la vulnerabilità del tentativo, la bellezza dell’imperfezione.

In occasione di questa quinta edizione, abbiamo incontrato Marco Zordan, direttore artistico e ideatore del progetto, per riflettere su cosa è cambiato, cosa resta essenziale, e cosa ci aspetta nel futuro prossimo di questo laboratorio visionario.

Germogli compie cinque anni. Cosa è cambiato dal primo anno a oggi, e cosa invece è rimasto identico nello spirito del progetto?

Il primo anno che lo proponemmo, uscivamo dal Covid, in una fase di incertezza. Oggi sicuramente le prospettive sono più chiare ma il sostegno a chi produce rimane una nostra ferma volontà.

Come nasce l’idea di dedicare uno spazio a progetti “non ancora compiuti”? Cosa vi affascina del “non finito”?

Crediamo che i piccoli teatri abbiano il compito di aiutare qualcosa a venire a galla, qualcosa che magari sarebbe rimasto inespresso per semplici motivi pratici.

Qual è la filosofia che guida la selezione delle compagnie? Cosa cercate davvero in un progetto che si candida a Germogli?

Sicuramente cerchiamo temi e racconti che incuriosiscono, che centrino l’attualità. Cerchiamo inoltre compagnie che seppur giovani abbiano la convinzione del loro progetto. Infine cerchiamo qualcuno che sappia cosa significhi ABITARE un luogo.

Nel bando si parla di “processo” più che di “prodotto”. Quanto è importante per voi che gli artisti si mettano in gioco davanti al pubblico in fieri?

Viviamo in un momento in cui attraverso le varie piattaforme e social si racconta molto dei processi creativi. Anche il Teatro può diventare ancora più attraente se raccontato in tutti i suoi momenti.

Cosa significa per voi oggi “residenza creativa”? E cosa rende Germogli diverso da altre esperienze simili in Italia?

Ci sono in Italia esperienze molto più significative delle nostre, anche perché godono di strutture e finanziamenti superiori.

Il nostro è un sforzo personale, un puro investimento sulla creatività

Come si integrano i “Coltivatori”, ovvero spettatori e addetti ai lavori, nel percorso artistico delle compagnie? Qual è il loro impatto reale sulle scelte finali?

Sono una sorta di termometro di ciò che più funziona e colpisce.

Il Teatro Trastevere è da sempre un luogo di accoglienza. Come riuscite a coniugare il supporto logistico con una visione artistica precisa e coerente?

Cerchiamo di far derivare le scelte da valori come il mutuo soccorso artistico e la cultura come oasi quotidiana, in questo modo crediamo risulti poi tutto coerente.

L’estate è un periodo considerato “morto” per il teatro. Germogli lo trasforma in un tempo fertile. Come ci riuscite?

È sicuramente un periodo morto per lo spettacolo al chiuso ma gli spazi possono diventare botteghe dove si assembla ciò che poi si vedrà dall’autunno in poi.

Ci sono progetti passati di Germogli che oggi sono diventati spettacoli di repertorio o hanno avuto un seguito significativo?

Si certo, non tutti, ma qualcuno si.

Nel bando si accenna all’importanza di coinvolgere il territorio di Trastevere. Avete esempi concreti di collaborazioni nate da questa apertura al rione?

No, ancora no, perché è il primo anno che lo esplicitiamo nel bando.

Come funziona il tutoraggio offerto alle compagnie? Quali figure professionali accompagnano il processo creativo e in che modo?

Dipende da che livello di compiutezza è il progetto che arriva e che competenze interne ha. Li dove richiesto andiamo ad aiutare per colmare eventuali nodi da sbrogliare.

Quanto è importante oggi offrire visibilità anche al dietro le quinte? In che modo i social e la documentazione diventano parte del racconto?

È importante per creare interesse intorno ad un’operazione artistica.

C’è un equilibrio delicato tra confronto e competizione: come fate in modo che Germogli non diventi un talent show ma resti un laboratorio condiviso?

La competizione non è una cosa che ci entusiasma, ma a volte serve un obiettivo per raccogliere le forze migliori.

Abbiamo infatti inserito momenti di confronto tra le compagnie proprio per stemperarla.

Cosa ti auguri che accada in questo quinto anno di Germogli? C’è qualcosa che sogni di vedere nascere da questa edizione?

Mi piacerebbe che uscissero progetti che poi abbiano una lunga vita.

Ecco una proposta di epilogo per l’intervista a Marco Zordan, che chiude con tono ispirato, coerente e aperto:

In un tempo in cui tutto sembra dover essere subito pronto, definito, performante, Germogli ci ricorda l’importanza dello spazio intermedio: quello del dubbio, della ricerca, del “quasi”, dell’intuizione che ancora non ha trovato la sua forma. È lì che si colloca il valore di questo progetto: nel creare un ambiente protetto ma non chiuso, accogliente ma esigente, dove le compagnie possano abitare il tempo della creazione senza la fretta del risultato.

Le parole di Marco Zordan ci restituiscono il senso più profondo di un impegno che non è solo artistico, ma anche umano e politico: investire sul processo, offrire visibilità anche al non visibile, aprire un dialogo reale tra chi fa teatro e chi lo vive, senza spettacolarizzazioni, senza cinismi.

Nel cuore di Trastevere, ogni estate, questo piccolo esperimento prende forma. Non è un festival qualsiasi, non è un palcoscenico d’arrivo. È una soglia. E chi ha il coraggio di attraversarla, con un’idea tra le mani e la volontà di mettersi in gioco, può trovare in Germogli non solo una casa temporanea, ma l’inizio di un cammino. Perché a volte basta un seme, piantato nel terreno giusto, per far nascere qualcosa che dura.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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