Come un funambolo in equilibrio sul filo della vita

La strada è lunga da percorrere ma il sogno è aggrappato al cuore dando ogni giorno il ritmo perfetto al proprio battito. Alla fine, tutto si coniuga perfettamente seppur la fatica è tanta soprattutto se non hai un mentore o qualcuno che ti permetta di aprire le porte giuste al momento giusto. La tenacia è compagna di viaggio di Matteo di Lillo che con il suo sogno in mano si sta facendo strada tra teatro, doppiaggio, televisione e radio. Quello che emerge la capacità di rendere possibile il sogno anche se l’impegno è totale. Matteo si racconta con il cuore in mano, senza censure o parole edulcorate.

 

Caro Matteo, benvenuto nel mio Magazine. Raccontaci di te, che ne dici?

Ciao Barbara! Grazie dell’invito. Certo, molto volentieri.

Regalaci 5 aggettivi che parlano di te.

Solare. Creativo. Positivo. So ascoltare. Sono anche testardo, impulsivo, spesso esuberante. Ho un’anima di fuoco che posso farci?

Come nasce la tua carriera di attore?

Ho iniziato a recitare da quando ero bambino, sai le recite alle elementari. Già lì sgomitavo per stare sulla ribalta. A otto anni ho iniziato a studiare inglese in una scuola che utilizzava il musical come mezzo di apprendimento: da “Peter Pan” a “The beauty & the beast”, “The sound of Music”, “Annie”, “Oliver Twist”. Tutti in lingua originale. Ho iniziato per gioco, non ho più smesso.

E quella di speaker?

In realtà credo sia il mio destino.

Che vuoi dire?

Già dai primi concerti di Natale emerse che non avevo la “voce bianca” dei bambini. Era chiaro che la voce sarebbe stata la mia carta vincente. Sognavo la radio, nel corso del tempo è stata lei a trovare me.

E la tua professione di doppiatore come nasce?

Questa è la parte più interessante. Proprio per il mio timbro di voce e tessitura vocale, per anni ovunque andassi incontravo persone – del mestiere e non – che mi dicevano “certo che tu hai proprio una bella voce, dovresti fare il doppiatore”. Le prime volte sorridi, ma quando questa frase te la senti dire diverse volte, cominci a farti delle domande.

E poi?

Un giorno ho accettato la provocazione che la vita continuava a sventolarmi sotto al naso, ho deciso di incamminarmi su uno dei sentieri più irti e scoscesi che esistano: il doppiaggio. Soprattutto, se non sei nessuno e al contempo una pandemia e una guerra cambiano decisamente le carte in tavola.

Dove ti sei formato?

Ho avuto la fortuna di vincere una borsa di studio in un’accademia d’arte drammatica appena uscito dal liceo. Non avrei potuto permettermela, in più la mia famiglia non approvava le mie scelte. Mi avrebbero voluto manager ricco e facoltoso; invece sono diventato un’artista che, come un funambolo, cerca di rimanere in equilibrio sul filo della vita. Non sono tanto le scuole o i corsi che ho fatto (sebbene abbia studiato molto e per molti anni), ma sono le persone che ho incontrato ad avermi dato la consapevolezza che questa è la mia strada. Penso a Tullia e gli anni di accademia passati a studiare a memoria i canti della Divina Commedia. Penso a Nick, a quando abbiamo recitato al “Fringe Festival of Edimburgh”,l’emozione nel partecipare ad un evento così unico al mondo. Penso a Monica, che mi ha mostrato l’universo nascosto dietro una semplice battuta: la differenza tra dire una frase ed esprimere un concetto. Non si smette mai di imparare, non si arriva mai alla “perfezione”.

Ti spaventa non arrivare mai alla “perfezione”?

L’idea di non arrivare mai un po’ mi spaventa, è inevitabile, ma mi dà la forza per andare avanti, mi permette di essere felice dei miei traguardi ogni volta.

Quali ruoli hai interpretato?

Ho fatto tanta prosa, diversi musical, commedie romane e spettacoli inediti. Sono stato Ricciotto ne “Il marchese del Grillo” a Palazzo Pfanner a Lucca, Grantiere ne “Les Misérables” a Roma. Al momento faccio parte del cast di “The toxic Avenger”, un musical Off-Broadway tradotto e adattato in italiano che è andato molto bene a Roma. Speriamo di portarlo presto in altre città; credo sia lo spettacolo che più mi valorizza come attore avendo, solo io, più di dieci personaggi e venti cambi costume in due ore!

Cinema e televisione?

Non ho mai fatto cinema, né serie TV, non ho un agente. Ho solo lavorato su passaparola per qualche pubblicità. Nel 2016 però sono stato il protagonista del corto “Winckelmann, storia di un assassino” di Daniele Trani, a Trieste.

Nel doppiaggio cosa fai?

Nel doppiaggio mi occupo principalmente di documentari e pubblicità, ma ho prestato la voce in qualche piccolo ruolo di film e serie TV tra cui Loki, F is for Family, We Crashed; inoltre se vi capita di vedere “Plusaversary” su Disney+ fate attenzione alla voce di Pippo!

Alla radio?

In radio, invece, sto imparando a interpretare me stesso.

Cosa significa?

Ogni volta che apro il microfono è come se andassi in scena, in radio non posso avere una maschera, non posso mentire; altrimenti nessuno mi crederà, risulterei finto, distante, e gli ascoltatori cambierebbero stazione. Se vuoi che le persone rimangano lì ad ascoltarti, a scriverti, devi essere vero e sincero con loro. È molto difficile.

La voce quanto è importante?

La voce può essere la carta vincente, una volta che sei a parimerito con il più bravo. Se non impari ad emozionarti e a trasmettere quello che stai provando in quel momento, la voce non ti servirà a nulla, lo dico per esperienza personale. Avere una bella voce è il “pass” per entrare in sala di doppiaggio, per farti ricevere su appuntamento da un editore importante, ma è la capacità di sentire che conta, non con le orecchie ma con il cuore. Vale più della tecnica.

Cosa deve avere una bella voce per emozionare?

Tutte le voci sono belle. Immaginate di essere in un’orchestra sinfonica. Un pianoforte e un violoncello produrranno suoni estremamente diversi tra loro, ma non per questo uno è “più bello” dell’altro. Anzi, è proprio l’armonia tra i vari strumenti che emoziona chi ascolta. Ognuno di noi ha una bella voce, ma bisogna educarla. C’è bisogno di tecnica. Affinché il corpo e la voce sappiano cosa devono fare, serve la dizione per essere puliti e fluidi nel parlato; serve andare a un concerto ogni tanto, guardare una mostra per riempirsi di bellezza, e serve vivere la propria vita accogliendo le emozioni che arrivano, facendone tesoro, belle o brutte che siano. Molto spesso evitiamo le emozioni negative, a volte evitiamo proprio di emozionarci. Questo atrofizza la capacità di connetterci con le energie, di conseguenza anche la possibilità di trasmetterle. Penso che serva tutto questo per emozionare, e non solo!

La cosa che più ami fare?

Cantare. Se potessi passerei intere giornate a cantare e scrivere poesie! Mi piace anche camminare per boschi, raggiungere le vette delle montagne, ascoltare il silenzio dei paesaggi.

Il tuo rapporto con i social?

Non sono un grandissimo amante dei social. Li trovo spesso lontani da come le persone si mostrano nella realtà, e rischiano di creare false aspettative, falsi miti. Non si può neanche rimanere fuori dal mondo, soprattutto nel nostro settore dove la comunicazione è fondamentale. Ho tutti i social, li uso per pubblicare video e foto relativi ai miei lavori: gli spettacoli, la radio, gli eventi. Ho da poco aperto anche un canale Tik Tok dove pubblico piccoli sketch scritti da me. I social sono il mio portfolio, molti registi o casting director vanno a vedere prima quelli dei CV, quindi è importante che trovino il materiale giusto!

Cosa non avresti mai voluto fare nella vita?

Niente che io abbia fatto. Meglio un rimorso che un rimpianto. Ho sempre seguito il mio istinto, a costo di perdere quello che avevo. Pongo il mio onore nel meritare fiducia in ogni situazione. Se non vengo rispettato come uomo, come artista, declino l’offerta o chiudo il rapporto. Non accetto i compromessi con me stesso, spesso e volentieri è uno svantaggio.

Progetti e sogni nel cassetto?

Quanti? … Uno per ogni giorno che vivo. Mi perdo nei progetti e nei sogni, non immagini che fatica sia tenere i piedi a terra. Il lavoro è incerto, è instabile, non è detto che arrivi l’occasione che ti valorizzi e ti faccia entrare nei canali giusti. Ma non la ricerco, non mi interessa. Arriverà se deve arrivare, intanto faccio il mio. Do il massimo sui progetti che capitano sulla mia strada, giorno per giorno. Ho un sogno però: credo molto nell’educazione. E-ducere cioè “tirar fuori” il meglio che c’è nelle persone. Sono un Educatore Professionale di Comunità in ambito teatrale, credo fermamente nell’educazione come strumento essenziale per il progresso e il benessere della società. Quando sarà tempo, sogno di aprire una scuola dedicata alle arti, alla poesia, alla musica. Un luogo dove le persone possano ispirarsi alla bellezza, ritrovare una connessione con sé stessi, riflettere sui grandi testi della storia. Un vivaio di artisti, di menti pensanti, reattive, alle cui crescita possa contribuire restituendo ciò che la vita mi avrà concesso di scoprire. Ti ho appena riassunto quella che credo sia la mia idea di felicità.

Hai un sassolino nella scarpa da toglierti?

Ti racconto questa cosa. Quando ero più piccolo, una decina di anni fa, una persona a me molto cara mi fece vedere un video di Shirley Temple: un prodigio! Sin da bambina aveva capacità strabilianti nel ballare. Mi fece vedere quel video per dimostrarmi che se avessi avuto talento sarei già dovuto emergere, e che evidentemente non ero portato per il mondo dello spettacolo. Beh, mi fece molto male. Chiaramente non ho il talento della Temple, come mi è stato fatto notare. Non vuol dire un bel niente. Ognuno di noi può, anzi deve migliorare negli ambiti che vibrano bene con la sua anima, con ciò che lo rende felice. Sono tutti capaci ad ammirare e lodare le persone solo quando queste sono all’apice della loro carriera, solo chi ha creduto in te sostenendoti anche nei momenti peggiori però merita sia il tuo rispetto sia l’affetto più grande. Mi guardo indietro e vedo che ho fatto tanta strada rispetto a quel Matteo di dieci anni fa. Ho raggiunto diversi obiettivi, altri sono ancora lontani, ma non smetto di guardare verso la loro direzione. Siamo tutti destinati a realizzare i nostri sogni. Bisogna fare il possibile perché si avverino, mai smettere di crederci. Le persone invidiose, cattive, hanno smesso di sognare, magari hanno avuto paura, si sono arrese e vogliono che facciamo lo stesso. Non bisogna discuterci o arrabbiarsi con loro. Ringraziatele. Mettono alla prova la vostra tempra e determinazione, vi servono l’occasione per diventare più forti e credere in voi stessi. Chissà quanto gli roderà il fegato quando scopriranno quanto in alto siete arrivati! Il segreto è godersi il viaggio con il sorriso, non focalizzarsi solo sull’obiettivo. Io sto facendo così.

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