Incontrare Lilli Manzini è come “di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire, dove il sole va a dormire. Domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore, come la neve non fa rumore (…) e stringere le mani per fermare qualcosa che è dentro me, ma nella mente tua non c’è (…) Tu chiamale se vuoi emozioni (Lucio Battisti)”. Sì, perché lei è così: emozione allo stato puro dove si coniuga il possibile con l’impossibile creando quel margine di approdo che offre un territorio sicuro e rassicurante affinché si costruisca il giusto viatico “per ritrovar sé stesso. Parlar del più e del meno (…) per ore ed ore. Per non sentir che dentro qualcosa muore. E ricoprir di terra una piantina verde sperando possa nascere un giorno una rosa rossa. E prendere a pugni un uomo solo perché è stato un po’ scortese. Sapendo che quel che brucia non son le offese. E chiudere gli occhi per fermare qualcosa che. È dentro me (Luico Battisti)”. Lilli entra dentro l’anima e lì continua ad abitarci con garbo e generosità in quell’andare della vita che è incontro ma anche mistero. Con lei si apre la serie: “interviste in the city”. Un appuntamento mensile dove affrontare temi della vita, le emozioni, le passioni e perché no stimolare in chi legge una riflessione ma anche un sorriso di leggerezza e speranza.
Cara Lilli, ci sono le serie TV, i talkshow, i talent e noi abbiamo pensato di dar vita a una serie di interviste dove la protagonista sei tu! Che ne pensi ti piace?
Mi piace dici? Ma ne sono lusingata! Sai, è sempre difficile poter riscontrare nella gente pareri positivi su queste cose. Purtroppo, questa, rasenta sempre una sorta di ignoranza verso questo: pensano che tu ti creda chissà chi, quando invece io parlo sempre a favore dei “chi” degli altri. Quindi, per “chi” mi legge. È bene ricordare che tutto quello che di bello può capitare a qualcuno, va condiviso, compreso e avallato, altrimenti, sarebbe come vivere in un eterno Telegiornale, che non è nient’altro che un film horror di 25 minuti, con rare sfumature rosa.
Veniamo al tema di questa seconda intervista: l’apparenza conta? Che ne dici, ti interessa?
“L’apparenza inganna” … è una suprema convinzione della psiche. Si pensa sempre che guardando qualcuno lo si conosca bene solo dal primo sguardo. Sapessi invece che delusioni sono pronte per chi credeva al bene e poi si trova il male.
Allora partiamo … che cos’è l’apparenza?
L’apparenza è il frutto della convinzione umana. Nessuno sa quello che vuole, in apparenza, poi cerca appigli ovunque quando l’apparenza è accompagnata da un senso del possesso, di arrivismo. Questa muta chi la prova in certezza, perché pensa di poter avere in mano il modus vivendi della persona, credendo di viverla a seconda di ciò che ella fa apparire, ma ancora non si rende conto nessuno che l’apparenza siamo e saremo sempre noi stessi. Tutto appare bello, brutto, sciocco, importante … siamo noi le scelte che facciamo apparire tali da farci comprendere, ognuno comprende a modo suo. Non se ne scappa. La verità poi ti trova!
E l’apparire?
Come sopra. L’apparire è il dolce senso del pudore, ma ipocrita. Solamente chi ti conosce bene, può permettersi di consigliarti come apparire, ma solo per amore di appartenenza ai tuoi sentimenti. Apparire è esibire, e non v’è essere umano al mondo a cui non piaccia apparire.
Quanto è importante nella nostra società apparire?
Nemmeno una lenticchia. Perché per quanto mi riguarda, l’unico aspetto fondamentale di saper “sostare” in società, è la cultura. È il rispetto per le persone. Apparire nella società è “un gioco di società delle parti”; ma ora i dadi sono tratti, non c’è più un valore, dico uno, che sia manifestato nella coscienza della gente. Sono tutti presi da fatti modaioli e senza senso logico di formazione intellettuale. Siamo nell’era del “trash”, dove se vuoi “essere” devi “apparire”, perdendo completamente te stesso.
Dove abbiamo lasciato l’essere?
Lo abbiamo lasciato dentro un libro come un petalo di rosa che oramai non profuma più. “L’essere” era l’unica salvezza per avere ancora fiducia in sé stessi, perché per poter sopravvivere alle ingiustizie, alle cattiverie, alle invidie e alle scorrettezze, devi fare leva solo te stesso; solo se proteggi il tuo “essere”, il nemico non individuerà il tuo fianco debole. Un fianco che diritto va scoperto: il fianco è il nostro lato puro, l’ultima cosa rimasta senza armatura di difesa. Bisogna preservare il proprio “essere”. “Mai” dire che “io sarei”, bisogna rammentarsi sempre che “Io sono”.
Una curiosità: l’essere è apparire o l’apparire è l’essere?
Nessuna delle due. A parer mio sono una la conseguenza di una scelta fatta per far esistere l’altra. È la forma più patetica che un individuo possa sfruttare, a vantaggio di un percorso opportunisticamente arrivista. La gente è capace di camminare sul cadere di chiunque, pur di giungere ad un a meta. Ritengo invece che il lato bello della vita, lo si trova nel sapere donare il proprio “essere” a chi “appare” fragile agli occhi di una persona per bene che lo ha compreso in quanto ci si rispecchia a causa di un suo qualsiasi personale retaggio.
Nel tuo mondo quanto è importante apparire?
Nel mio mondo, che chiamerei più “ambiente”, apparire è fondamentale per chi vuole impadronirsi di un potere imprenditoriale per portarsi sul piedistallo dei vincitori; una sorta di auto-incoronazione napoleonica. Che schifo. Poi c’è l’apparire divertente, perché è nel diritto umano di ogni artista, far vedere il proprio lato istrionico, grottesco, divertente e artistoide in tutto il suo essere interprete.
Apparire è uguale talento?
Assolutamente si! Se si analizza la seconda parte della risposta precedente, ogni individuo talentuoso necessita di apparire per far comprendere la sua capacità artistica. In tutto e per tutto.
Esiste il talento?
Si, ma solo per chi ha ancora rispetto degli insegnamenti dei magistrali maestri del passato. Il resto è solo scopiazzatura e voglia di fare denaro facile grazie agli amici che ti fanno lavorare.
Come si riconosce?
Si riconosce dal modo di recitare, dal modo di parlare, dal modo di esprimersi con il corpo…ecco, per far valere il proprio talento, bisogna sapere parlare con il corpo. Molti per invidia, lasciano soli i talenti. Ad esempio, nel mio ambiente del doppiaggio, ci sono un’infinità di talentuosi, ma non potranno mai aspettarsi di essere chiamati ad esprimersi, perché il più delle volte vanno avanti quei tre/quattro fortunati scelti nel mucchio. Purtroppo, bisogna ampliare il settore, altrimenti sai quanti dai corridoi rimangono a guardare i colleghi nelle sale, con il pianto nel cuore che vorrebbero essere al loro posto?
Ho visto delle simpatiche storie dove tu balli, una volta sei John Travolta, un’altra volta Austin Power, come ti è venuta questa idea?
L’idea mi è venuta perché quando un artista vuole condividere dei momenti gioiosi e divertenti con qualcuno che lo sa comprendere, a un certo punto si fa dei film in testa; ed ecco che allora, spuntano d’emblée dei soggetti, delle sceneggiature, che poi tramuto in sketch divertenti. Sono una persona piena di entusiasmo e di idee artistiche, non peraltro ogni cosa che metto, la creo sempre per far divertire le persone, perché al giorno d’oggi ridere ormai è diventato veramente difficile.
E le rifattone dove le mettiamo? Considerando che quella è l’essenza dell’apparire.
Ecco questo è un argomento molto delicato, perché non bisogna mai sparare a zero su chi ha deciso di trasformare il proprio aspetto. C’è chi lo fa per un problema psicologico in quanto non riesce ad accettare sé stesso, e poi c’è chi lo fa proprio per apparire ed essere stravagante fino all’estremo. Io posso soltanto dire questo: personalmente non lo farei, ma non tanto perché mi trovo a mio agio con il mio corpo, ma perché lo trovo del tutto innaturale; ma rispetto chi lo fa, perché bisogna sempre entrare nella testa e nei sentimenti delle persone che si ritrovano in situazioni che le costringono a farlo. Ricordiamoci che tutti noi siamo sempre “vittime degli eventi” nel bene e nel male.
Secondo te: si è più sexy se facciamo una visita al chirurgo estetico oppure come diceva Anna Magnani: “non toglietemi neppure una ruga, le ho pagate tutte care”?
Ma sai, il fatto di sentirsi sexy o di essere sexy, è una cosa completamente soggettiva; si può essere sexy anche con un pantalone della tuta, perché quello che conta non è tanto il fattore estetico, ma la personalità; ci sono state donne al mondo molto affascinanti che per loro essere sexy era all’ordine del giorno, ma ce ne sono state altrettante meno belle, che si si sono sentite sexy semplicemente essendo sé stesse.
Essere sé stessi secondo te paga in una società come la nostra?
Purtroppo, no. Ci sono troppi pregiudizi, troppe cattiverie, troppe invidie; più ti attaccano perché sanno che sei in grado di stupire quanto di aiutare, divulgando un’idea giusta e più ti negano questa opportunità, perché sanno di non arrivare al tuo stesso livello di formazione intellettuale … senza parlare poi del fatto della forma semplicistica con la quale la gente purtroppo legge delle parole scritte sui social o sui messaggi telefonici, o quando ascolta dei video; non riescono ad andare oltre il loro naso, e questo influisce sul carattere di quelli che vogliono cercare di concretizzare dei concetti unificando dei pensieri, anche con le persone meno abbienti. È una cosa molto difficile quella di essere se stessi, non si è quasi mai accettati, ma non importa: si deve sempre andare avanti per il bene, pregando per coloro che ci vogliono male. Mai sentirsi in colpa per ciò che si è, mai. La gente ancora non si rende conto che così facendo, sono fautori di sciocche superficialità; bisogna tornare ad essere umili, invece di stare a giudicare gli altri senza conoscerli profondamente.
I tuoi colleghi sono più legati all’apparire o all’essere?
Dipende. Ma non parlo di chi mi è dissimile, posso parlare solo di chi mi è simile; quindi, passiamo ad un’altra domanda (lascio un quarto d’ora per capire la finezza di questa risposta).
In fondo il problema è sempre lo stesso: “essere o non essere”?
Secondo me invece il problema è un altro: “saper essere o saper non essere”? Mi specchio spesso in questo enigma che, credimi, è assolutamente diverso dall’originale. Qui si deve fare una distinzione oggettiva del perché si è portati ad essere per compiacere. Io so di essere perché mi vivo e concilio tutta la mia esistenza in maniera naturale con chi si affaccia sul mio percorso di vita; ecco perché non capisco come mai tante persone, sono più in iperattenzione per sorprendere gli altri piuttosto che se stesse. Ma perché non si amano di più? Lascio ai posteri l’ardua sentenza.
Una curiosità, quando non lavori cosa fai nel tempo libero?
Mi faccio sane e lunghe passeggiate al centro di Roma. Guardo i miei film negli hard disk, come anche gli sceneggiati degli anni 50-60-70 ancora in b/n. Adoro fare le parole crociate, nello specifico i Quiz ermetici. Amo scrivere e reinventarmi ogni giorno che Dio mi dona. Amo Lucio Battisti.
Dove andrai in vacanza?
Da nessuna parte. Detesto viaggiare, colpa di retaggi legati all’infanzia. Ho tentato di farlo, sono andata anche in psicoterapia, ma alla fine, non era tanto la paura di sentirsi male con lo stomaco, ma lo stress di sentirmi destabilizzata in un luogo a me sconosciuto pur conoscendolo; insomma: la mia città è l’unico nido protettivo che ho e ci sto bene. Non voglio cambiarlo. Non ne ho semplicemente alcun interesse. Non che non l’abbia mai fatto, anzi, diciamo che l’ho fatto per obbligo e mai per volere piacevole. Da sola me ne andrò solo a Parigi, ma non in questa vita.
E allora alla prossima puntata delle nostre interviste in the city…
Certamente, alla prossima puntata e soprattutto alla prossima verità.