Vivere 5 anni con un manipolatore: la storia

Quando ripercorro con la mente i cinque anni trascorsi con Marco, mi rendo conto di quanti segnali avessi ignorato. All’inizio sembrava l’uomo perfetto: affascinante, premuroso, sempre pronto a farmi sentire speciale. Ma col tempo iniziai a notare delle crepe in quella facciata.

Il primo campanello d’allarme suonò quando, dopo soli sei mesi insieme, Marco mi convinse a lasciare il mio lavoro. “Non ne hai bisogno, ci penso io a te”, diceva. All’epoca mi sembrò un gesto romantico, ora capisco che voleva rendermi dipendente da lui.

Poi iniziarono le critiche sottili, quasi impercettibili. “Quel vestito non ti dona molto”, “Forse dovresti truccarti di più”. Frasi apparentemente innocue che però minavano la mia autostima giorno dopo giorno.

Quando esprimevo un’opinione diversa dalla sua, Marco la liquidava come sciocca o ingenua. “Non capisci come funziona il mondo”, mi diceva con un sorriso condiscendente. Iniziai a dubitare del mio giudizio, a dar ragione a lui su tutto.

Se mi lamentavo di qualcosa che aveva fatto, lui negava o minimizzava. “Non è andata così, ti stai inventando le cose”, oppure “Sei troppo sensibile, non puoi prendertela per ogni sciocchezza”. Mi faceva sentire pazza, esagerata, instabile.

Marco controllava ogni aspetto della mia vita: con chi uscivo, cosa indossavo, persino cosa mangiavo. Se protestavo, mi accusava di non fidarmi di lui. “Lo faccio per il tuo bene”, ripeteva. E io ci credevo.

Lentamente persi i contatti con amici e famiglia. Marco diceva che non mi capivano, che solo lui sapeva davvero cosa era meglio per me. Mi isolò, rendendomi totalmente dipendente da lui.

Ci furono anche episodi di violenza fisica, ma erano rari e sempre seguiti da lacrime e promesse di cambiamento. “Non succederà più”, giurava. E io gli credevo, ancora una volta.

La svolta arrivò grazie a mia sorella. Non si era mai arresa e continuava a cercarmi. Un giorno riuscì a parlarmi da sola e mi aprì gli occhi. Mi fece capire che quello che stavo vivendo non era amore, ma manipolazione e abuso.

Ci vollero mesi di terapia per ricostruire la mia autostima e imparare a fidarmi di nuovo del mio giudizio. Ora so riconoscere i segnali del gaslighting: le critiche costanti, la negazione della realtà, l’isolamento, il controllo ossessivo.

Se potessi tornare indietro, vorrei dire alla me stessa di cinque anni fa: fidati del tuo istinto. Se qualcosa non ti sembra giusto, probabilmente non lo è. L’amore vero non ti fa dubitare di te stessa, non ti isola, non ti controlla.

Oggi sono una donna diversa. Ho ripreso in mano la mia vita, ho un lavoro che amo e relazioni sane. La cicatrice di quei cinque anni rimarrà sempre, ma non definisce più chi sono.

Se stai vivendo una situazione simile, sappi che non sei sola e che c’è una via d’uscita. Chiedi aiuto, parlane con qualcuno di cui ti fidi. Meriti di essere amata per ciò che sei, non cambiata o controllata.

Il gaslighting è una forma subdola di abuso, difficile da riconoscere quando ci sei dentro. Ma una volta che apri gli occhi, non puoi più chiuderli. E allora inizia il vero viaggio, quello verso la libertà e la riscoperta di te stessa.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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