L’happy hour è la nuova terapia: come cinque cinquantenni e due gatti persiani hanno scoperto la cura per… beh, tutto

Cari lettori del Daily Whisper, bentornati a un nuovo episodio esilarante di ‘Pippa’s Pickle’, dove la vostra affezionata cinquantaseienne single esplora l’arte raffinata dell’happy hour in un villaggio dove l’idea di “movida” è quando la signora Higgins decide di cambiare il giorno in cui annaffia le sue petunie.

Tutto è iniziato quando, in un momento di follia indotta dalla noia (o forse dal terzo articolo scritto sugli eventi del villaggio), ho deciso che era ora di portare un po’ di glamour metropolitano nella nostra sonnolenta Pluckley. “Ragazze” – ho annunciato al mio fedele gruppo di amiche durante una delle nostre solite serate – “vino e lamentele”, “è ora di istituire l’happy hour settimanale!”.

Vivian, la nostra perfettissima nobildonna locale, ha alzato un sopracciglio perfettamente curato. “Cara, l’ultima volta che hai cercato di essere ‘trendy’, hai finito per indossare i leggings di tuo nipote pensando fossero pantaloni alla moda”.

Rachel, la cinica divorziata seriale, ha aggiunto: “E non dimentichiamo il tuo tentativo di fare yoga hot. Il villaggio parla ancora di come hai quasi dato fuoco alla sala comunale”.

Kate ha cercato di essere incoraggiante: “Penso sia un’idea meravigliosa! Potremmo persino incontrare uomini affascinanti!”.

A questo punto, Gavin, il nostro sarcastico amico gay, ha alzato gli occhi al cielo così forte che ho temuto potessero rimanergli bloccati. “Kate, tesoro, l’unico uomo single sotto i settanta in questo villaggio è il postino, e credo che abbia una relazione seria con il suo furgone”.

Ma io ero determinata. “Pensateci! Sarà come Sex and the City, ma invece di Manhattan avremo… beh, il pub locale”.

E così è nata la nostra tradizione dell’happy hour del mercoledì. Il primo appuntamento è stato… interessante. Siamo arrivate al pub di Rachel vestite come se fossimo dirette a un red carpet a Hollywood, solo per scoprire che gli unici altri clienti erano tre agricoltori locali e un cane particolarmente depresso.

“Beh” – ha commentato Rachel guardandosi intorno – “almeno non dovremo fare la fila per ordinare”.

Il barista, il giovane che ha assunto Rachel da poche settimane sembrava aver visto tempi migliori (probabilmente negli anni ’50), ci ha guardato con un misto di confusione e sospetto. “Cosa posso servirvi, signore?”.

“Un Cosmopolitan!” ho esclamato con entusiasmo, cercando di canalizzare la mia Carrie Bradshaw interiore.

Il barista ha sbattuto le palpebre. “Un cosa?”.

“Oh, per l’amor del cielo” – ha sbuffato Vivian – “ci porti cinque gin tonic. E una ciotola d’acqua per il cane, sembra ne abbia bisogno”.

Man mano che le settimane passavano, il nostro happy hour è diventato l’evento più atteso (e temuto) del villaggio. Abbiamo introdotto cocktail esotici che hanno fatto girare la testa ai locali (letteralmente, nel caso del “Tsunami di Tequila” di Rachel), abbiamo organizzato serate a tema (la “Notte Hawaiana” è stata particolarmente memorabile, soprattutto quando Gavin si è presentato indossando solo una gonna di paglia e un cocco strategicamente posizionato), e abbiamo persino tentato di istituire un karaoke (rapidamente vietato dopo che la mia interpretazione di “I Will Survive” ha fatto scappare tutti i gatti del villaggio).

Ma la vera magia dell’happy hour non erano i cocktail o le mise improbabili. Era il modo in cui, settimana dopo settimana, ci ritrovavamo a condividere le nostre vite, i nostri problemi, le nostre gioie. Rachel si prendeva qualche ora di stacco dal lavoro e faceva lavorare il giovane che aveva assunto. Per qualche ora era un cliente non più la proprietaria.

C’era la volta in cui Kate, dopo l’ennesimo appuntamento disastroso, è arrivata in lacrime raccontando di come il suo ultimo pretendente si fosse rivelato un appassionato di taxidermia con una collezione inquietante di “ex fidanzate” impagliata. “Almeno” – aveva commentato Gavin sorseggiando il suo Martini – “puoi essere certa che non ti tradirà. A meno che non inizi a frequentare il tassidermista locale”.

O quando Rachel, nel bel mezzo di una crisi di mezza età, ha annunciato di voler lasciare tutto per diventare una ballerina di pole dance. “Tesoro” – le aveva detto Vivian con tono materno – “l’unico palo che dovresti abbracciare alla tua età è quello della pressione arteriosa”.

E come dimenticare la sera in cui Vivian, sempre composta e perfetta, è crollata confessando di aver accidentalmente tinto di rosa il suo barboncino invece dei suoi capelli. “Ora somiglia a un enorme zucchero filato ambulante”, aveva singhiozzato nel suo Gin Fizz.

Io? Beh, ho avuto la mia giusta dose di momenti imbarazzanti da condividere. Come quando ho cercato di impressionare il nuovo, giovane e attraente vicino di casa mostrandogli le mie “abilità di giardinaggio”, solo per finire con l’avvelenare accidentalmente il suo adorato cactus. “Non preoccuparti” – mi aveva consolato Kate – “ci sono molti altri cactus nel deserto. E molti altri uomini che non ti denunceranno per omicidio vegetale”.

Ma forse il momento più memorabile è stato quando Gavin, in un raro momento di vulnerabilità, ha confessato di sentirsi solo. Senza esitazione, ci siamo tutte alzate (barcollando leggermente, va detto) e lo abbiamo avvolto in un abbraccio di gruppo che ha fatto piangere persino il barista.

È stato allora che ho realizzato la vera importanza del nostro happy hour. Non si trattava di cocktail trendy o di fingere di essere sofisticate signore di città. Si trattava di amicizia, di sostegno, di ridere insieme delle nostre disavventure e di consolarci a vicenda nei momenti difficili.

In un mondo che sembra sempre più disconnesso, il nostro piccolo rituale settimanale era diventato un’ancora di salvezza. Un luogo sicuro dove potevamo essere noi stesse, con tutte le nostre imperfezioni, i nostri sogni infranti e le nostre speranze ostinate.

E così, cari lettori, se state cercando la cura per la solitudine, la noia o semplicemente per una brutta giornata, vi suggerisco di riunire i vostri amici più cari, trovare un pub locale (o un salotto accogliente) e istituire il vostro personale happy hour. Perché, come abbiamo scoperto noi a Pluckley, non c’è nulla che un buon cocktail e risate sincere non possano curare.

Con affetto e la promessa di non cantare mai più “I Will Survive” in pubblico (a meno che non sia richiesto per salvare il mondo, nel qual caso, mi scuso in anticipo con tutti i gatti del vicinato), la vostra sempre ottimista (e leggermente brilla) Pippa.

P.S. Se vi state chiedendo cosa sia successo ai gatti persiani di Gavin durante tutte queste avventure, vi assicuro che sono vivi e vegeti. Anzi, credo che abbiano sviluppato un gusto particolare per i Martini. Ma questa è un’altra storia…

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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