Dal 16 al 17 gennaio al Teatro Trastevere andrà in scena l’opera “La spedizione perduta – Lettere dal Polo” con Lahire Tortora. Le poesie sono della poetessa Alessia Giovanna Matrisciano che abbiamo intervistato.
Veniamo al lavoro teatrale.
Siamo nel 1845 due navi inglesi, la Erebus e la Terror, partono alla ricerca del mitico Passaggio a
Nord Ovest con un equipaggio di 129 persone. Nessuna di queste farà ritorno a casa. Nel corso
del tempo diverse spedizioni di soccorso hanno potuto ricostruire, come in un giallo, la sorte dei marinai perduti, anche se sono tante ancora oggi le zone d’ombra intorno a questa vicenda. Di certo si sa che le navi rimasero incagliate nel ghiaccio per due anni e che gli uomini cercarono la salvezza con una lunga marcia verso terra senza mai arrivare a destinazione.
Qual è il motivo per cui oggi vogliamo raccontare la storia di queste vite spezzate misteriosamente? Il Passaggio a Nord Ovest, in passato praticamente impossibile da
percorrere per via del gelo che regna nelle regioni artiche, oggi per la prima volta nella storia moderna è aperto al passaggio delle navi commerciali a causa del riscaldamento globale. Nel
2014 e poi nel 2016 i relitti della Erebus e della Terror sono stati scoperti sul fondo di un mare ormai libero dai ghiacci. La sorte dei marinai scomparsi è un mezzo per riflettere sul
rapporto dell’uomo con la natura polare, oggi sempre più urgente.
“La spedizione perduta” affronta diverse tematiche, scavando nella vita degli apparentemente austeri ed eroici marinai vittoriani che si trovano in una natura totalmente estranea, quasi
come degli astronauti dimenticati sulla Luna. Le tematiche ricorrenti sono la critica al capitalismo, del quale si evidenziano le contraddizioni più rilevanti; la ricerca di una figura
paterna, spesso lontana e sfuggente; il rapporto con la natura e la sua crudezza; il mistero della morte; la voglia di vivere, di dare un senso all’esistenza.L’intento su cui si basa questo spettacolo è portare un genere di solito considerato antiteatrale,
ossia il documentario, su un palco e con una veste multidisciplinare. Poesia, musica, performance e video si fonderanno per raccontare una tragica storia vera avvenuta più di 150
anni fa, cercando di guidare gli spettatori non solo alla conoscenza dei fatti, ma alla ricerca dei
più intimi pensieri di uomini del passato, così lontani e allo stesso tempo così vicini a noi, e alla
presa di coscienza sui risvolti moderni della loro storia.
Quale aspetto della spedizione di Franklin del 1845 l’ha ispirata maggiormente nella scrittura delle sue poesie?
Ciò che mi ha ispirata di più è stato sicuramente il mistero legato alla sorte dei marinai perduti. Le navi della spedizione, infatti, rimasero intrappolate tra i ghiacci e gli uomini cercarono la salvezza a piedi, camminando per miglia e miglia nella gelida natura polare. Molti di questi uomini non si sa quale fine abbiano fatto (di certo nessuno è tornato) ed è per questo che sono intervenuta io con la mia penna e la mia immaginazione.
Come ha cercato di catturare l’atmosfera e le emozioni dei marinai intrappolati nel ghiaccio artico?
Ho cercato di mettermi nei loro panni, il che ha richiesto non poche difficoltà: io, una donna di oggi, ho voluto entrare nella mente degli uomini, degli esploratori di quasi due secoli fa. Certo, nelle poesie ci ho messo anche del mio: impossibile non far trasparire il mio punto di vista e la mia fascinazione per l’argomento.
In che modo ha integrato la critica al capitalismo nelle sue poesie sulla spedizione?
Dalle desolate terre del Nord gli uomini della spedizione perduta riflettono su ciò che hanno lasciato a casa. La loro Inghilterra, patria dell’industria, appare come una terra caotica e stritolata dalla presenza opprimente di oggetti, oggetti, oggetti. Oggetti che sono totalmente inutili dal punto di vista della vita vera, che è quella che si sperimenta nel confronto con la natura.
Come ha affrontato il tema della ricerca di una figura paterna nelle sue opere?
I marinai sono uomini che confrontandosi con l’ombra della morte compiono un viaggio a ritroso nell’anima: ridiventano bambini in cerca di un padre che li guidi verso la salvezza. Questo padre è per molti di loro, come per James Fitzjames, una figura del tutto assente nella vita vera: il bambino era stato messo da parte perché illegittimo e ha trascorso tutta la vita collezionando imprese gloriose e medaglie solo per sperare di conquistare un posto nel mondo.
Qual è stato il suo approccio nel rappresentare il rapporto tra l’uomo e la natura artica nelle sue poesie?
Ho scelto di presentare la natura polare come una fiera avversaria dell’uomo e della sua spinta vitale: a quelle latitudini l’essere umano è un puntino avvolto in un paesaggio immenso, maestoso e ostile. Questa sfida è una battaglia mistica tra la piccolezza dell’essere umano e la potenza soverchiante della natura, che tuttavia viene glorificata in quanto detentrice della più profonda verità.
Come ha esplorato il tema del mistero della morte nella sua opera poetica?
Di certo si sa che tutti i protagonisti devono confrontarsi con una morte terribile e lo fanno ognuno a modo suo. Per me scrivere “La spedizione perduta” è stato come comporre una sorta di Spoon River nella quale esploro diversi approcci possibili al tema della morte: c’è chi la aspetta con serenità, chi lotta contro di essa, chi pensa agli affetti che lascia, chi immagina un futuro ulteriore e chi no.
In che modo ha cercato di trasmettere la voglia di vivere dei marinai nonostante le circostanze avverse?
I nostri marinai non si arrendono, non si lasciano semplicemente morire ma affrontano il rischio e si mettono in marcia. La loro voglia di vivere è più forte di qualsiasi altra cosa ed è simile a quella di tanti esploratori che, per fortuna, sono sopravvissuti alle condizioni più estreme e sono tornati per raccontare.
Come ha collegato gli eventi storici della spedizione con le problematiche ambientali attuali, come il riscaldamento globale?
Alla fine dello spettacolo una nota video racconta che il Passaggio a Nord Ovest, la tomba di tutti gli uomini che ho raccontato nelle mie poesie, è oggi sempre più aperto alle navi commerciali a causa del riscaldamento globale. Questa breve nota, unita alla figura di un orso polare (specie a rischio) che coincide con i titoli di coda, riporta bruscamente la riflessione all’oggi. Quello che è stato considerato a lungo un limite invalicabile, ossia il Polo, oggi è sempre più minacciato causa di ciò che abbiamo fatto alla natura tramite l’inquinamento atmosferico.
Qual è stata la sfida più grande nel tradurre un evento storico in poesia?
La sfida più grande è stata bilanciare il lirismo con la necessità di raccontare chiaramente una storia che ha un inizio, uno svolgimento e una fine. Credo di esserci riuscita costruendo un vero e proprio mosaico di storie che si compongono tra loro e lasciano agli spettatori un’idea dello svolgimento dei fatti storici e non solo delle impressioni del singolo personaggio.
Come ha collaborato con gli altri artisti (musicista, performer, videomaker) per creare un’esperienza multidisciplinare?
Per portare uno spettacolo interamente in versi sul palco e farlo risultare interessante ho trovato imprescindibile l’utilizzo di altri media che bilanciassero la parola scritta. Collaborare col musicista Marco Olivieri è stato un privilegio: ho letto a lui le mie poesie e abbiamo discusso insieme su come avvolgerle con la musica, che non è un semplice sottofondo ma qualcosa che trasforma le parole in canzone. Altrettanto importante è stata la collaborazione con il videomaker Luca Travaglini, con il quale abbiamo costruito una sorta di “falso documentario” con le interviste ai protagonisti della storia. Questi video diventano un fil rouge che percorre l’intero spettacolo e aiuta gli spettatori a entrare nel vivo della vicenda.
In che modo ha cercato di rendere accessibile e coinvolgente per il pubblico una storia avvenuta più di 150 anni fa?
Cercando di non vederla come una storia di 150 anni fa ma come una vicenda iconica che si potrebbe collocare fuori dal tempo. Ho parlato con studiosi che hanno veramente condotto delle ricerche a latitudini elevate e mi hanno raccontato che il confronto con quei luoghi è ancor oggi una sfida. Credo che la storia di uomini persi nella natura selvaggia e che cercano disperatamente di tornare alla civiltà sia universale.
Come ha bilanciato la narrazione dei fatti storici con l’esplorazione dei pensieri intimi dei personaggi?
La poesia permette di operare questo bilanciamento, perché con più facilità rispetto alla prosa consente dei veri e propri salti dalla narrazione alla riflessione.
Quali tecniche poetiche ha utilizzato per evocare l’ambiente artico e le sue sfide?
La tecnica principale che ho usato per descrivere gli ambienti è l’enumerazione, che consente di fare lunghi elenchi i quali vanno a comporre tocco dopo tocco il quadro d’insieme. Ad esempio nella poesia “Luglio ‘48” ho voluto raccontare la speranza rappresentata dall’estate subpolare con una serie di caratteristiche di questa stagione: “Le prime e le ultime bacche/ le acque sotterranee/ le volpi che cambiano colore/ il sole che danza sull’orizzonte…”.
Come ha affrontato il tema dell’isolamento e della solitudine nella sua opera?
La solitudine e l’isolamento non vengono raccontati esplicitamente ma si respirano in ogni parola. Il confronto con la natura per la quale “io non sono che un punto nero/ il glifo di una lettera indefinita/ nelle note a margine pro e contro/ sul primo giorno della creazione…” danno il senso di quanto l’uomo sia profondamente solo e, appunto, marginale in un ambiente che gli è estraneo. Nella stessa poesia che ho citato il protagonista ripensa a un’Europa affollata di gente con una sorta di nausea, un’Europa dove “non saprei più tornare/ senza rovinarmi gli occhi…”. Quella dei marinai è una forma di solitudine che apre la coscienza a una consapevolezza più elevata sui grandi temi della vita e della morte e rappresenta quindi una condanna ma anche un dono.
In che modo le sue poesie cercano di stimolare una riflessione sul rapporto attuale dell’uomo con la natura polare?
Il confronto tra ieri e oggi sta al di fuori delle poesie e si genera attraverso il confronto. Tanto la natura polare era terribile un tempo, con mari che secondo natura ghiacciavano per anni, tanto oggi è fragile, con temperature elevate e mari che non ghiacciano più come prima. Se un tempo una nave esploratrice poteva restare incagliata nel pack per anni, oggi le rotte commerciali sono sempre più praticabili. Questo confronto dovrebbe farci rendere conto di come stiamo maltrattando la natura polare, con conseguenze che potrebbero risultare gravissime.