Debutta in prima nazionale il 6 dicembre a Roma, al Teatro Porta Portese, “La chiamavamo Terra Santa”. Un’esperienza teatrale che intreccia parole e musica per raccontare l’anima di Alda Merini, attraverso i suoi diari che svelano un viaggio tra follia, dolore e straordinaria vitalità.
“Il dolore non è altro che la sorpresa di non conoscerci” — con queste parole Alda Merini apriva uno squarcio sulla sua anima, fatta di contrasti, di abissi e improvvise luci. È da questo universo complesso che nasce “La chiamavamo Terra Santa”, un progetto teatrale firmato da Alessandro Fea e Stella Novari. E dal 2025 in tournée in tutta Italia.
Un viaggio nella fragilità, nella sofferenza e nella forza vitale
La performance, in cui Stella Novari è protagonista, con le sonorizzazioni di Alessandro Fea, si addentra nel racconto intimo e profondo che Merini fa della sua esperienza nei manicomi. I suoi diari narrano il rapporto con l’amore, il dolore, la follia, ma anche con l’ironia e la speranza, in un delicato equilibrio tra sofferenza e resistenza.
“La psiche umana, l’uomo nelle sue fragilità e paure, ma anche nella sua straordinaria capacità di trovare energia per combattere e resistere, è il cuore di questo lavoro” spiegano gli autori. Il testo, accompagnato da musiche e silenzi significativi, restituisce al pubblico il racconto di una donna che ha trasformato il suo dolore in poesia e forza creativa.
Il significato di “Terra Santa”
In uno dei suoi scritti, Merini descrive il manicomio come un luogo che, pur nella sua crudezza, diveniva quasi sacro: “E, pur tuttavia, quella io l’ho chiamata Terra Santa proprio perché non vi si commetteva peccato alcuno, proprio perché era il paradiso promesso dove la mente malata non accusava alcun colpo, dove non soffriva più, o dove il martirio diventava tanto alto da rasentare l’estasi. Sì, la Terra Santa. E noi vi eravamo immersi, in quelle latrine puzzolenti, dalle albe (ma non vedevamo mai un’alba) al tramonto più cieco…” Questo contrasto diventa il cuore dello spettacolo, che porta il pubblico in un mondo fatto di abissi e vette, di crudezza e sacralità, di dolore e trasformazione. “La chiamavamo Terra Santa” è un’esperienza artistica unica, che unisce teatro, musica e poesia per raccontare la storia di Alda Merini, una delle voci più emblematiche e originali della poesia del Novecento. Una narrazione che esplora la sofferenza e la fragilità umana, ma anche la straordinaria capacità di trasformare il dolore in forza, poesia e vita. Abbiamo intervistato Alessandro Fea.
Quando e dove debutta lo spettacolo “La chiamavamo Terra Santa”?
Il debutto nazionale sarà Venerdi 6 Dicembre 2024 alle ore 21 al teatro Porta Portese di Roma. In replica sabato 7 e Domenica 8 dicembre.
Chi sono gli autori del progetto teatrale?
Stella Novari ed Alessandro Fea. Il testo è stato scritto completamente a quattro mani.
Quale frase di Alda Merini viene citata all’inizio del testo?
“Sono nata il 21 a Primavera, ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle, potesse scatenare tempesta.”Chi è la protagonista dello spettacolo?
La protagonista è Stella Novari, attrice, insegnante di teatro, coach.
Chi si occupa delle sonorizzazioni nello spettacolo?
Le sonorizzazioni sono state create da Alessandro Fea.
Quale aspetto della vita di Alda Merini viene principalmente esplorato nello spettacolo?
La scelta narrativa è stata quella di mettere il focus sugli anni in cui la Merini è stata ricoverata al Paolo Pini di Milano.Anni in cui il suo essere donna, moglie e soprattutto madre è stato minato da esperienze atroci che hanno paradossalmente tirato fuori tutto il suo immenso amore per la Vita, sempre degna per lei di essere vissuta. E da qui nasce un lavoro di analisi del personaggio, della sua profonda empatia umana, del suo vivere il dolore, la follia, la solitudine.
Cosa narrano i diari di Alda Merini utilizzati nello spettacolo?
I diari sono forse i suoi pensieri. Quella parte intima della poetessa, quella parte forse più nascosta, ma su cui aveva necessità di scrivere, riflettere. Lei stessa cita spesso l’importanza, anche in parte terapeutica, della scrittura. Di quanto lo scrivere, l’uso delle parole siano state per lei la vita. I diari sono un viaggio nella sua esperienza, nei suoi pensieri, nel rapporto con i malati, con i medici, con le figlie. Si narrano le sue esperienze, i suoi amori, le sue delusioni, le sue sofferenze, sempre da un punto di vista insolito, leggero a tratti, ironico, salvifico. Un intenso viaggio bisogna dire.
Quale equilibrio viene menzionato nel testo riguardo all’esperienza di Merini?
Il testo lavora su una linea sottile che distingue sofferenza e resistenza umana. Una linea sottile che in alcuni momenti oscilla più da una parte e poi dall’altra, ma cerca di rimanere in equilibrio per permettere una sorta di “sopravvivenza” al vissuto. La potenza della mente umana, capace di andare oltre il vissuto, per entrare in mondi dove la sofferenza viene vista dal di fuori quasi, una sorta di osservazione dall’alto. E aiutarsi con la creatività, la scrittura, il pensiero, l’amore stesso ( in questi casi verso alcuni malati dell’Ospedale Psichiatrico ) probabilmente aveva permesso alla poetessa di sopravvivere. Un equilibrio tra realtà e fantasia della mente, usando soprattutto spesso la chiave onirica, ma soprattutto ironica, punto di forza del suo carattere: l’ironia e l’autoironia.
Secondo gli autori, qual è il cuore di questo lavoro teatrale?
Il cuore dello spettacolo può essere considerato il focus da noi scelto sulla figura della Merini come donna, come essere umano. Madre, moglie, figlia. Ma soprattutto donna. Con tutte le sue fragilità, la sua forza, i lati oscuri, ma anche l’enorme empatia. Una donna martoriata dalla vita, ma che nonostante tutto ha dimostrato una capacità reattiva, positiva, di amore verso la vita, encomiabile. Ed il lato “ semplice donna” ( non solo grande artista )nasconde davvero un mondo. Il rapporto controverso con le quattro figlie, con tutti i loro vissuti nei confronti di una madre spesso assente durante la loro crescita. Il suo non sentirsi madre adeguata di conseguenza. Il suo rapporto contorto con il marito, colpevole del suo primo importante internamento. E’ stata una scelta precisa per noi, perché conoscerla sotto quest’altro punto di vista sarà, anche per lo spettatore, motivo di grandissimo interesse.
Come viene descritta la trasformazione del dolore di Alda Merini?
La descrizione del dolore è molto profonda negli scritti della Merini. Nella sua esperienza di internata, descrive ciò che ha vissuto e visto come qualcosa che spesso va oltre la soglia dell’umana percezione. Cita spesso la parola “martirio”, quasi in chiave poi spirituale o religiosa. Nel suo vissuto lei arriva così a fondo nell’animo umano, lo sente, lo percepisce, lo vive così addosso con la sua enorme empatia, da riuscire poi a descriverlo spesso con parole immense che tutti conosciamo. Una trasformazione del veleno in amore, per la vita, per l’amore, per le figlie. Un progressivo “perdonare” all’uomo di essere come è. E di accettarne anche i lati oscuri, i lati cattivi, i lati peggiori. Accettazione del male: perchè lei stessa lo considera parte integrante dell’essere umano stesso.
Perché Merini chiamava il manicomio “Terra Santa”? E’ una metafora di un luogo in cui, paradossalmente, si smette di soffrire. Nel senso che il martirio è “tanto alto da rasentare l’estasi” e quindi il malato è immerso in un tale livello di dolore e abnegazione che non soffre più, anzi, si adagia in quella che diventa la sua normalità. Un luogo in cui non si commettono peccati, un paradiso promesso, in cui vivere una vita parallela ma quasi più vera, più in contatto con se stessi.
Quale contrasto diventa il cuore dello spettacolo?
Il contrasto maggiore è quello tra l’ironia e la violenza. L’ironia poetica e fanciulla e quella colta e adulta con cui lei resiste e si oppone, elevandosi, alla violenza impostale, alla sofferenza, alla cattiveria umana.
Quali forme artistiche vengono unite in questo spettacolo? Lo spettacolo è un incontro tra parola, suono, movimento scenico. In un intreccio di momenti più intensi, emotivi, ad altri dove la leggerezza apparente dell’ironia fa da sfondo a parole e suoni che porteranno lo spettatore in un viaggio, che riserverà alcune sorprese sceniche.
Come viene descritta Alda Merini nel contesto della poesia del Novecento?
Alda Merini viene riconosciuta come una delle maggiori poetesse, aforiste e scrittrici italiane del 900. Una vita interamente dedicata alla scrittura, che l’ha portata a vincere il Premio Montale e ad essere candidata più volte al Nobel per la Letteratura.
Quando è prevista la tournée dello spettacolo in tutta Italia?
A partire da Marzo 2025. A Febbraio 2025, probabilmente, avremo però date ancora a Roma. Da confermare.