Ornella Vanoni se n’è andata a 91 anni, nella sua casa, così come aveva sempre immaginato: in silenzio, senza proclami, senza clamore. La definivano “la cantante della mala”, ma lei è stata molto di più. Una donna magnetica, ironica, insofferente alla retorica e alle pose. Una voce ruvida e insieme morbida che, per oltre mezzo secolo, ha raccontato l’amore, la vita, le crepe dell’anima, trasformandosi in una delle presenze più riconoscibili e sincere del nostro panorama artistico.
La sua scomparsa lascia un vuoto enorme. Non solo nella musica italiana, ma in un immaginario collettivo che aveva trovato in lei un punto di riferimento: la capacità di essere fragile e fortissima allo stesso tempo, malinconica e spavalda, elegante e tagliente. Una donna che, fino all’ultimo, ha saputo farci sorridere di lei e con lei.

Una vita che non ha mai conosciuto la noia
Ornella aveva paura della noia più che della morte. Lo ripeteva spesso, con quel tono disincantato che era diventato la sua firma. Temendo di diventare “una vecchia che si annoia”, scherzava sul suo stesso tempo che passava, anche se di monotono nella sua vita non c’è stato mai niente.
Nata a Milano nel 1934, cresciuta in un’Italia ferita dalla guerra, aveva imparato presto che sopravvivere non è solo una questione di fortuna, ma di carattere. E il carattere, lei, lo aveva eccome. Così come quel velo di malinconia che non l’ha mai abbandonata, frutto anche di una ferita malcurata durante i bombardamenti, una cicatrice sul collo che l’aveva resa insicura del corpo ma mai invisibile.

Strehler, Paoli, e gli amori che l’hanno formata e ferita
Il primo grande amore della vita artistica e personale di Ornella è stato Giorgio Strehler. Fu lui a convincerla che la sua voce non era un caso ma un destino. A intravedere nella sua timidezza un talento feroce. A volerla sul palco a cantare ballate nere, stornelli della mala, confessioni metropolitane di donne tormentate. Strehler fu il maestro, l’amante, il grimaldello che le aprì la porta del teatro e della musica. Un rapporto intenso, a tratti sbilanciato, che Ornella ricorderà sempre con gratitudine e disagio, perché lui era genio e ossessione, passione e ferita.
Poi arrivò Gino Paoli, l’altro grande amore, quello impossibile, quello proibito. Una relazione costruita su canzoni indimenticabili, su sguardi che non potevano appartenere a nessun altro, su un desiderio che non trovava mai pace. “Forse l’ho amato così tanto perché sapevo di non poterne avere davvero”, aveva detto una volta. È stata una storia vissuta tra segretezza e scandalo, tra dolcezza e rabbia, tra dipendenza e distanza. Ma senza quella storia, forse, non avremmo avuto alcune delle pagine più struggenti della musica italiana.

Un carattere difficile? No, un carattere vero
Ornella era così: intensa, difficile, autoironica, senza filtri. Non aveva mai paura di dire di no, né di dire quello che pensava. Le attribuivano antipatie celebri e rivalità inesistenti. Lei sdrammatizzava. Con Mina, per esempio, non c’è mai stata competizione: “Eravamo diverse. Ed è stato un bene: due uguali non servivano”. Con Patty Pravo, un legame di follia, stima e libertà. Con Lucio Dalla, una delle amicizie più profonde, basata su un rispetto reciproco che è raro perfino tra colleghi. E poi i racconti di vita, le battute fulminanti, quell’umorismo a volte cupo, a volte irresistibile, che negli ultimi anni l’aveva trasformata in un’icona anche per i più giovani, che l’avevano scoperta sui social quasi più che nelle canzoni.

Una carriera che ha lasciato tracce indelebili
Molti la ricordano per un solo brano, un solo momento, un solo successo. Ma la verità è che Ornella Vanoni ha attraversato sette decenni di musica, reinventandosi ogni volta.
Tra i suoi brani più iconici:
• L’appuntamento, diventato un classico mondiale, inserito anche in colonne sonore internazionali;
• Una ragione di più, graffiante e struggente, forse il suo simbolo emotivo;
• Senza fine, che porta l’eco della storia d’amore con Paoli;
• Io ti darò di più,
• Eternità,
• Imparare ad amarsi, che ha segnato una delle sue rinascite più recenti.
Ma più delle canzoni, rimarrà la sua voce: un graffio elegante, una carezza ruvida, un’emozione che non copiava nessuno.

Tra leggerezza e profondità: l’eredità di una donna irripetibile
Negli ultimi anni, molti avevano iniziato a guardarla come a un personaggio eccentrico, quasi caricaturale. Lei lo sapeva e fingendo di stare al gioco, in realtà lo smontava: “Aspettano che dica una parolaccia, ma non sanno che la parolaccia è l’ultimo dei miei talenti”. Dietro le risate, però, c’era un pensiero profondo sulla vita, sul tempo, sull’amore, sulla morte. A chi le chiedeva cosa immaginasse oltre la fine, rispondeva con quella ironia poetica che le era propria: “Forse diventeremo luce. Magari una lampadina a LED, almeno consumiamo poco”. Forse oggi Ornella è davvero una piccola luce da qualche parte.
Un bagliore che non abbaglia ma scalda
Un faro irregolare, vibrante, malinconico, come la sua voce. E chissà che quel senso di leggerezza che sapeva regalarci — anche quando dentro portava tempeste — non resti con noi per sempre.










