“L’eredità di Edipo tra classico e innovazione” è un progetto vincitore dell’Avviso Pubblico per la concessione di contributi destinati a sale teatrali private con capienza inferiore a 100 posti aventi sede a Roma, per progetti di ricerca e sperimentazione nell’ambito dello spettacolo dal vivo e della formazione, promosso dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale.
La direzione artistica è affidata al Maestro MAMADOU DIOUME , Attore e Collaboratore di Peter Brook.
Il progetto si basa sul fondamento che i grandi classici possono acquisire una nuova dimensione artistica attraverso il Teatro d’innovazione. Workshop, laboratori, conferenze, eventi divulgativi e performance finale rappresentano i pilastri portanti del progetto. Abbiamo intervistato il Maestro Mamadou Dioume.
Qual è la sua definizione di “Teatro di Ricerca” e come si differenzia dal teatro tradizionale?
Le arti in generale si basano sulle tradizioni. Tutte le popolazioni di questo mondo si fondavano anticamente sul canto, sulla danza e sul racconto. In Africa per esempio, c’è ancora oggi la tradizione di raccontare per non dimenticare, per far crescere buone e solide radici.
Quindi non c’è una definizione di Teatro Tradizionale perché il Teatro stesso è una tradizione! Il Teatro di Ricerca vuole andare oltre il puro divertimento dello spettatore, cerca la messa in discussione, indagando qualcosa che non abbiamo toccato nel passato. Tutto è partito da Antonin Artaud, il suo era un teatro crudele, quasi a voler distruggere e ipnotizzare la sensibilità dello spettatore, un teatro totalizzante, che agisce direttamente sul corpo sia dell’attore che dello spettatore. Il Teatro di Ricerca non esige la tecnica ma qualcosa di valido da raccontare, spinge a scavare dentro di te. In quest’ottica Teatro sono tutte le forme di espressione, la danza per esempio è come un movimento di pianeti, di stelle, il movimento dell’universo.
Qual è l’importanza del mito di Edipo nel teatro contemporaneo e come può essere reinterpretato?
Edipo è una figura fondamentale per tutte le culture di questo pianeta.
Edipo racconta i rapporti umani nell’ambito familiare, tutti si possono riconoscere nella sua storia e nelle sue infinite sfaccettature. Tutto ha inizio dalla famiglia, è da lì che nasce ogni cosa. I drammaturghi dell’antica Grecia si sono sempre ispirati per le loro storie ai rapporti umani sopratutto quelli familiari. Nello specifico nella storia di Edipo si indaga sul rapporto tra una madre e un figlio, all’interno degli stage si lavorerà su questo ma anche sull’analisi del rapporto tra maschile e femminile in generale.
Qual è il ruolo dell’immaginazione nella creazione artistica, secondo la sua esperienza?
L’uomo ha a disposizione Intuizione ed Intelletto. Se si fa funzionare solo l’intelletto o si abusa dell’intuizuione non si arriva a nulla, se invece si utilizzano entrambi allo stesso modo ecco che arriva l’Immaginazione. L’Immaginazione ci permette di proiettarci e, per esempio, vedere delle immagini mentre stiamo guardando degli attori su un palco. Marcello Mastroianni diceva che era importante giocare, sono d’accordo, giocare ci fa tornare all’infanzia e quindi all’immaginazione.
Come si può insegnare agli attori a lavorare con l’invisibile e l’intangibile sul palco?
Insegnando ad aprirsi a se stessi senza fare resistenza alle proprie emozioni, lasciandosi andare completamente. Alcuni attori aspettano che sia il regista a dire loro come muoversi e come dire una battuta: così si rischia di lavorare superficialmente. Un testo teatrale è già talmente carico da poterci lavorare molto, scavando su ogni singola parola e ascoltando le emozioni che cominciano a manifestarsi interiormente. È lo sguardo che determina l’azione che farai, per questo è un lavoro estremamente personale.
Quale importanza ha avuto Peter Brook nella sua formazione come attore e regista?
Importantissima. Brook è sempre andato alla ricerca di attori che avessero qualcosa da raccontare e lui venne fino in Senegal per vedermi sul palco e conoscermi, io facevo parte della compagnia del Teatro Nazionale di Dakar e mi chiese di unirmi a lui per il suo progetto del Mahabharata in cui avrei vestito i panni di Bhima, il figlio del vento. Con lui ho imparato il lavoro d’equipe che insegno oggi negli stage, ho imparato ad entrare in contatto con le mie fragilità, con le mie emozioni, a lavorare su di me, a non oppormi alle mie emozioni. Questo porta ad una creazione artistica molto potente.
Come si può rendere un classico come Edipo rilevante per il pubblico moderno, specialmente per i giovani?
La storia di Edipo parla dei legami familiari, e questo ci collega tutti. Non è necessario parlare del tempo, di quanto sia antica questa storia, per i giovani è importante renderli partecipi di una storia dove si possano riconoscere. Per questo il teatro va insegnato nelle scuole, come già si fa per esempio in Francia.
Come si può sviluppare la capacità di “cantastorie” in un attore contemporaneo?
Secondo il mio punto di vista l’attore è necessariamente un cantastorie che ha l’esigenza di raccontare, che desidera arrivare allo spettatore, che non ha barriere nel mettersi in discussione. Un attore può perfezionare la sua tecnica all’infinito ma se non comunica qualcosa la sua bravura nella tecnica servirà a poco. E questo si può imparare solo aprendosi a se stessi, lasciando che le emozioni affiorino.
Qual è il ruolo dell’emozione nel teatro di ricerca?
L’emozione è la chiave di tutto. È ciò che lega l’attore allo spettatore. L’emozione non viene dalla testa, viene dalla pancia, che è il nostro cervello emotivo. Tutte le nostre pulsioni, anche quelle più animalesche vengono dalla pancia. È necessario fidarsi di quelle emozioni, dare loro ascolto, come del resto fanno i bambini.
Quali sono le sfide principali nel portare il teatro di ricerca a un pubblico ampio e variegato?
Educando i ragazzi e i giovani al Teatro in generale, questo farà aumentare il pubblico teatrale. Credo molto nel Teatro di Ricerca, è importante credere fortemente in quello che facciamo, dobbiamo insistere sulla nostra strada, in ciò che crediamo, la cultura è al servizio del mondo e noi ne dobbiamo usufruire. Soprattutto in Italia che è la culla della cultura, mentre l’Africa è la culla dell’umanità.