“La fine del gioco” non è solo un titolo, ma una soglia emotiva, una linea sottile tra ciò che siamo stati e ciò che, inevitabilmente, diventiamo.

Un romanzo che attraversa epoche, memorie e trasformazioni interiori, mettendo a fuoco la fragilità dell’adolescenza e la potenza dei sentimenti umani.

Un viaggio nel tempo, tra idealismi, disincanti e amori che lasciano segni indelebili.

Abbiamo incontrato l’autore, Sebastiano Biancheri, per farci raccontare da dove nasce questa storia intensa e struggente, tra ribellione e redenzione, tra l’eco del ’68 e le inquietudini del presente.

Un’intervista che è anch’essa racconto: di parole, visioni e ricordi che tornano a galla come onde silenziose.

Perché a volte, solo alla fine del gioco, comprendiamo davvero il senso di ogni mossa.

Da dove nasce l’idea di questo romanzo? C’è un momento preciso che ha segnato l’inizio di questo “viaggio” narrativo?

L’idea si è insinuata con il passar del tempo e ha iniziato a prender forma tre anni fa, fondamentalmente per alimentare il ricordo di un’epoca di grandi fermenti e turbolenze. Volevo raccontare la forza e la fragilità dei sentimenti umani, nel tentativo titanico di esplorare, attraverso le trasformazioni che il tempo inevitabilmente provoca, il senso della vita.

“La fine del gioco” è un titolo evocativo. Cosa rappresenta per lei questa “fine”? È davvero la fine dell’adolescenza o qualcos’altro?

È sì anche questo ma molto altro. Il titolo trae spunto da una proposta che Giulia, la protagonista femminile del romanzo, fa ad Andrea in un momento spensierato, di grande felicità. È lei che detta le regole e custodirà il dolce segreto di un gioco che non svelerà. Andrea non ne comprenderà il significato se non alla fine della vicenda, quando tutto sarà ormai compiuto. Il gioco è la rappresentazione della vita che comunque si rinnova.

Andrea, il protagonista, viene sradicato dal suo mondo familiare e trasportato in una realtà metropolitana ostile. Quanto c’è di autobiografico in questo passaggio?Tutto. Viene rivissuta la lacerazione dell’autore adolescente. E diventa memoria di sofferenza.

Nel romanzo si percepisce una tensione tra utopia e disincanto. Quanto questo dualismo riflette il nostro tempo?

La tensione si è acuita in una società che ha privato i giovani dei loro sogni. Non si potrebbe concepire oggi quello spirito romantico, idealista, un po’ bohémien. La fantasia al potere. Il tutto subito senza condizioni. La voglia libertaria di quell’epoca che accomunava i giovani di allora in un rito di partecipazione collettiva mai più rinnovato.

L’adolescenza è spesso raccontata come un’età di passaggio, ma nel suo romanzo sembra diventare una vera e propria terra di frontiera. Che immagine ha lei di questa fase della vita?

L’adolescenza è un momento decisivo nello sviluppo di ognuno. Un periodo di formazione, di crescita, di esplorazione della vita che si svela a poco a poco e che ‘è una serie di circostanze casuali di cui non siamo arbitri, non è mai di chi la possiede se non in minima parte, quella che rimane dopo che troppe variabili ne hanno orientato il corso’. 

Andrea è “figlio del ’68”: in che modo questa eredità culturale influenza il suo percorso e i suoi conflitti interiori?

Verrà influenzato a tal punto che dopo esser stato studente turbolento impegnato a scardinare il sistema, forte di una propensione alla manipolazione e all’insolenza, riluttante al dialogo contro ogni compromesso, deciderà di diventare insegnante e offrire ai suoi studenti gli strumenti appropriati che lui non ha avuto per rendere finalmente concreto il modello inclusivo di una scuola meno nozionistica e al passo coi tempi, partecipativa e pronta al confronto e all’ascolto.

C’è un filo sottile tra ribellione e fragilità, tra ricerca e smarrimento. Come ha costruito il personaggio di Andrea per incarnare queste contraddizioni?

Andrea incarna il conflitto tra la forza dei ricordi e la spinta al cambiamento. Alla ricerca perpetua di se stesso, per ritrovare una identità precocemente smarrita e violata dovrà accettare il cambiamento delle stagioni, scappare da se stesso per superare le fragilità e le paure. Andrea è l’alter ego a cui ambivo.

Qual è il ruolo della città – questo paesaggio urbano quasi antagonista – nella trasformazione del protagonista?

Roma è anch’essa protagonista. Inizialmente intimorito, Andrea avverte insicurezza, tra pericoli in agguato e chiassosa confusione, nell’incanto di una morbosa e avvincente spirale, tra eccessi sconosciuti e controversa normalità. Dovrà adeguarsi ben presto e riuscirà a dare del tu e ad amare quella che diventerà la sua città.

Nel romanzo l’amore appare come una forza rivelatrice ma anche dolorosa. Che funzione ha nel percorso di crescita di Andrea?

Insieme all’amore conoscerà i misteri della vita. Sarà la prova più importante che lo travolgerà fino alle estreme conseguenze. La disperazione però non cederà mai alla rassegnazione e Andrea alla fine si libererà dell’enorme peso, troverà il proprio equilibrio e diventerà uomo.

La sua scrittura è densa di chiaroscuri e suggestioni. Che rapporto ha con la parola scritta e quanto le sue esperienze da critico teatrale influenzano la forma del suo narrare?Scrivo per naturale propensione che mi deriva dal desiderio di esprimere idee e sentimenti e che ho coltivato nella prima parte della mia esistenza, ridestandola poi con altro spirito nella maturità dopo una pausa di riflessione durata un po’ troppo. Il teatro ha da sempre rappresentato una delle mie passioni giovanili.

Nel libro ci sono molti momenti di deriva, ma anche di resistenza. Crede che l’adolescenza sia più una lotta o un processo di rivelazione? L’adolescenza è un periodo di crescita, di esplorazione e confronto, di conflitti interiori e turbamenti, a volte di lotte e riappacificazioni, alla ricerca di un’identità in cui riconoscersi. Nel caso di Andrea anche di incontri salutari che subito stenta a decifrare e che rivaluterà nel tempo e poi orientano la rotta.

Il romanzo è ambientato in un’epoca indefinita, ma carica di riferimenti e politici. Quanto pesa il tempo storico nelle traiettorie esistenziali dei personaggi?

La narrazione si svolge fondamentalmente su tre piani storici. Adottando la tecnica del flashback, il racconto si apre nel 2003 quando il protagonista è ormai cinquantenne. Percorre a ritroso gli anni caldi dal ’68 al ‘78 e fino al 1982. Il cerchio si chiude nel medesimo anno da cui la vicenda ha inizio. Si respirano le atmosfere di quegli anni e la storia fa da cornice importante che attraversa le vite di ognuno e nel caso di Andrea il 68 influenzerà le scelte personali. Ma il tema fondamentale del romanzo è l’accettazione del tempo che passa. Non si può tornare indietro e la vita non va sprecata godendo il tramonto perché i fantasmi, i rimpianti, i rimorsi  truccano le carte e impediscono la riconversione degli affetti.

Che ruolo ha avuto la musica, che sarà presente anche nella presentazione con Sandro Scapicchio, nella costruzione del ritmo narrativo del libro?

La musica assume un ruolo fondamentale: favorisce gli incontri e fa da controcanto alla magia dell’innamoramento e dell’amore fra i protagonisti.  Riveste altresì una funzione motivazionale nella preparazione agli esami di tipo pressoché agonistico del professor Ardoino. Nella presentazione i brani musicali eseguiti scandiscono i momenti significativi dell’opera alla stregua di una vera e propria colonna sonora.

Lei insegna, scrive, osserva la realtà attraverso molteplici lenti. Questo romanzo è anche un messaggio per le nuove generazioni? Se sì, quale?

Sono tanti i messaggi e le chiavi di lettura del libro i cui benefici, dico spesso, sono a rilascio prolungato e inducono a riflessioni sul significato della vita e sui suoi misteri. A volte è necessario conoscere gli abissi, a volte occorre un atto di coraggiosa follia. La vita che toglie può riservare la sorpresa più grande quando hai perso la speranza, ma solo nel rinnovamento dell’anima si può risvegliare lo stupore e la meraviglia in grado di accoglierla degnamente.

15. Dopo la presentazione al Campidoglio, il libro sarà al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Cosa rappresenta per lei questo riconoscimento e dove spera possa condurre questa storia?

 È importante ma il mio desiderio più grande è che questo libro possa suscitare le emozioni e i sentimenti che io stesso ho provato durante la stesura. Che venga letto e diffuso da coloro che l’avranno apprezzato per quello che esprime.

Il tempo, alla fine, non chiede permesso. Scorre, trasforma, restituisce e toglie. Andrea lo ha attraversato tutto: il disincanto, la vertigine del cambiamento, la solitudine delle scelte e il peso dei ricordi. Ha imparato che crescere non significa dimenticare, ma accogliere ciò che è stato — anche quando fa male — e restituirgli un senso nuovo, più profondo. Il gioco è finito, sì. Ma non il significato che porta con sé. Perché ogni fine, in fondo, è solo un’altra forma di inizio. E la vita — quella vera — non segue le regole, le inventa. Sta a noi avere il coraggio di giocare ancora.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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