Dal 8 all’11 maggio 2025, il Teatro Trastevere accoglie uno spettacolo che attraversa tutte le sfumature dell’amore: Declinazioni d’amore, scritto da Franca De Angelis e diretto da Miranda Angeli. Sei personaggi – o forse molti di più – si inseguono tra le pieghe del tempo e dello spazio, alla ricerca di risposte, di un senso, di un legame che resista all’inevitabile. Una commedia romantica, brillante e pungente, che all’improvviso si trasforma in un dramma intimo e profondo, capace di far ridere e commuovere nel giro di pochi secondi.
In questa intervista, la regista Miranda Angeli ci accompagna dietro le quinte della sua visione artistica, raccontandoci come ha dato corpo e anima a un testo complesso e poetico, dove la nostalgia si mescola all’ironia, e la bellezza dell’amore si mostra anche nelle sue forme più imperfette.
Cosa ti ha colpita di più nel testo di Franca De Angelis quando l’hai letto per la prima volta?
La sua umanità. Quando l’ho letto per la prima volta avevo, credo, 14 anni, e allora non ne ho colto tutte le sfaccettature. Ma da subito ho pensato che fosse un testo dove chiunque avrebbe trovato un personaggio con cui entrare in sintonia, anche nel dolore. Quando lo abbiamo messo in scena nel 2023, ne abbiamo avuto la conferma. I personaggi di “Declinazioni d’amore” sono a loro volta declinazioni dell’umanità, profonde, contraddittorie ma, nelle loro contraddizioni, coerenti, perché vere. Ecco, c’è tanta verità in questo testo, tanta vita vissuta, seppur romanzata (anzi, teatralizzata) in cui le attrici, gli attori e il pubblico possono riconoscersi.
Declinazioni d’amore è sia commedia brillante che dramma intimo: come hai lavorato per bilanciare questi due registri in regia?
Diciamo che tutti gli elementi della messa in scena contribuiscono a questo. In primis, ovviamente, il lavoro con il cast. Abbiamo cercato di differenziare molto la recitazione nelle parti drammatiche, che volevo fosse intima, soffiata, ma di pancia, da quella delle scene di commedia, che abbiamo ricercato in toni vivaci, più di testa. Poi le luci, e la musica. La musica in generale è un elemento molto importante nello spettacolo e abbiamo cercato di usarla sia per creare le atmosfere più cupe, che come là a certe battute.
Ogni attore interpreta due personaggi, spesso agli antipodi. Come avete affrontato questa sfida in fase di costruzione scenica e attoriale?
Partendo proprio dai contrasti. Volevamo che nessuno degli interpreti portasse sulla scena due ruoli vicini, o anche solo simili, e così abbiamo cercato di esasperare le differenze. La sfida, in un lavoro di questo tipo, è quella di non cadere nei semplici archetipi, ma tutti i membri del cast sono riusciti sempre a mantenere, e anzi a sottolineare, la profondità dei loro personaggi.
Che tipo di lavoro hai fatto con gli attori per scavare nelle emozioni più profonde dei personaggi?
Per me il lavoro più importante è sempre quello sul testo, che va sempre fatto insieme all’attore. Attraverso la lettura e lo studio delle battute siamo arrivati alla comprensione profonda di ogni personaggio, e alla costruzione di tutte le sue sfaccettature. Molte vengono proprio dagli interpreti stessi, che hanno fatto un lavoro di analisi davvero molto intenso.
Il tema dell’amore è affrontato da diverse angolazioni. Esiste, secondo te, una “declinazione” che racchiude tutte le altre?
È una domanda difficile ma di getto ti dico di no. Ho l’impressione di non aver mai incontrato una persona che avesse il mio stesso identico concetto di amore – che lo declinasse, appunto, come me. E in realtà penso anche che io stessa lo declino in tanti modi diversi, a seconda della situazione, della persona. E penso che il bello sia anche questo.
Il tempo e le dimensioni parallele sono elementi chiave nello spettacolo. Come li hai tradotti visivamente e narrativamente sulla scena?
Principalmente, tramite i costumi. Mi piaceva l’idea che i personaggi fossero vestiti in modo un po’ vintage, ma non tutti allo stesso modo, proprio per dare l’idea che siano tutti abitanti di diverse linee temporali che, nel bar di Lili, si sono incrociate.
L’atmosfera retrò, i costumi ispirati agli anni ’50-’70: quanto l’estetica contribuisce a costruire l’identità emotiva di questo spettacolo?
Proprio per questo, i costumi, nella loro semplicità, sono una parte importante dello spettacolo, e anche della caratterizzazione emotiva dei personaggi. Abbiamo scelto i colori di ogni costume proprio in questo senso. Il personaggio di Marco, per esempio, che più di tutti nasconde una doppia anima (quella del Don Giovanni manipolatore e quella dell’uomo spezzato, innamorato della Morte) è vestito di blu, un colore che canonicamente richiama due sentimenti: la freddezza, da un lato, e la malinconia, dall’altro.
L’uso della luce e della musica sembra avere un ruolo quasi drammaturgico. Come hai collaborato con i tecnici per definire queste scelte?
In realtà, sia la scelta delle musiche che il disegno luci sono stati fatti a braccetto con lo scenografo, Fabrizio Ucci, e l’aiuto regista, Agnese Boretti. Anzi, si può dire che le musiche sono state interamente scelte da lei, a partire da alcune mie suggestioni, dall’atmosfera che volevo creare. “Declinazioni d’amore” d’altronde è sempre stato un progetto corale, già nella sua precedente edizione. È uno spettacolo in cui tutti quelli che ne prendono parte sono, secondo me, creatori.
Ci sono momenti dello spettacolo che ti emozionano ogni volta che li rivedi? Quali e perché?
Ce ne sono diversi, in realtà. Il finale, perché è sempre emozionante vedere il cast al completo in un momento, diciamo, di “scioglimento” della tensione. Poi la scena in cui i personaggi di Marco e Ada, rispettivamente Andrea Lami e Vittoria Vitiello, si lasciano: credo sia la scena più difficile dello spettacolo, a livello emotivo, e mi commuove sempre vedere la verità che il testo e gli interpreti riescono a raccontare. Uno dei monologhi di Lili, interpretata da Alessia Filiberti, quello delle “cinque possibilità”, perché credo racchiuda il senso dello spettacolo tutto. Il bacio tra Ada e Pietro, interpretato da Alessandro Pazzaglia, che è senza dubbio il momento che mi sono divertita di più a montare durante le prove. E l’ultima scena tra Luca e Sandra, in cui gli interpreti, Michele Dirodi e Giulia Sanna, fanno davvero una grande prova di umanità.
Cosa ti auguri che il pubblico porti con sé dopo aver assistito a Declinazioni d’amore?
Non c’è una cosa precisa, a dire il vero. Mi auguro che si porti dietro qualcosa che faccia riflettere, o semplicemente sentire, qualsiasi cosa sia, perché questo è l’importante, a teatro come nel cinema.
Quanto ti ha ispirata la frase di Phoebe Waller-Bridge nel costruire il ritmo emotivo dello spettacolo?
Sicuramente nella costruzione dei tempi comici ma diciamo che quella particolare frase è un’ispirazione continua, è una vera lezione di scrittura, ancora prima che di regia. È l’obiettivo a cui punto sempre… poi, se ci riesco, me lo deve dire il pubblico.
Se dovessi sintetizzare questa esperienza con una sola parola, quale sceglieresti e perché?Banalmente: divertente. La compagnia di “Declinazioni d’amore” è prima di tutto una compagnia di amici, e questo durante le prove si sente sempre.
Attraverso le parole di Miranda Angeli emerge tutta la delicatezza e la forza di uno spettacolo che non si limita a raccontare l’amore, ma lo mette in scena in tutte le sue contraddizioni: il desiderio e la perdita, la paura e il coraggio, il ridicolo e il sublime. Declinazioni d’amore è un viaggio emotivo tra vite che si sfiorano e si perdono, tra risate improvvise e silenzi che pesano più di mille parole. È teatro che vibra, che interroga, che accarezza e colpisce. E mentre i personaggi cercano il loro posto nell’universo, anche noi spettatori finiamo per chiederci: in quale declinazione dell’amore ci riconosciamo davvero?