Appuntamenti catastrofici – Il dentista fobico dei sorrisi

Se c’è una categoria professionale che ispira sicurezza, è quella del dentista. Precisi, puliti, ossessionati dal filo interdentale: insomma, uomini affidabili, almeno in apparenza. Così, quando mi è capitato di fare match con un dentista, ho pensato: “Finalmente un uomo con le mani ferme, una buona pensione e denti perfetti”. Oh, Pippa… illusa.

Il suo nome era Lionel. Cinquantotto anni, barba curata, occhiali sottili da intellettuale e un sorriso che – ironia della sorte – non mostrava mai. Letteralmente. Nelle foto del profilo non sorrideva nemmeno una volta. “Forse vuole sembrare misterioso”, mi sono detta. In realtà… no.

L’appuntamento era in una caffetteria molto chic, quella dove ti servono cappuccini decorati con cuori schiumosi e biscotti artigianali che costano più della mia tinta per capelli. Io arrivo, mi siedo, lo aspetto. Lionel entra. Elegante, puntuale, educato. Ma non sorride. Mai. Nemmeno un piccolo accenno, una piega labiale, niente. Sembrava uscito da un corso di compostezza zen misto a corso avanzato di faccia impassibile.

“Allora… tutto bene?”, ho chiesto io, cercando di rompere il ghiaccio con la mia solita verve ironica. “Sì”, ha risposto lui. Punto. Senza sorrisetto, senza luce negli occhi. Una sfinge avrebbe espresso più empatia.

La conversazione è iniziata in modo promettente. Parlavamo di viaggi, musica, letteratura. Ma ogni volta che dicevo qualcosa di vagamente divertente – e credetemi, ci ho provato – lui rimaneva impassibile. A un certo punto ho detto: “Sai, una volta ho ordinato 50 chili di cibo per gatti per errore”. Reazione? Nessuna. Ho iniziato a dubitare di essere ancora viva.

“Non ti piace ridere?”, ho osato chiedere. Ed è lì che si è svelato l’arcano.

“No,” ha detto con la solennità di un vescovo, “non mi piace sorridere. Lo trovo… invasivo. Il sorriso è spesso un’espressione falsa. Preferisco la neutralità del volto.”

Io ho preso un sorso di cappuccino per non sputare dal ridere. “Ma sei un dentista!”, ho detto, incredula. “Vivi letteralmente per i sorrisi!”

“Sì, ma non li condivido. Li curo. È diverso.”

Ammetto che lì ho avuto un momento di smarrimento. Come si fa a flirtare con qualcuno che considera il sorriso una deviazione comportamentale? Come si fa a vivere una relazione dove l’unico sorriso che ricevi è quello sul biglietto del dentifricio?

Poi è arrivato il colpo di scena. Ha cominciato a parlare del suo studio dentistico. Con passione, con dedizione… con trasporto quasi erotico. “Ho appena acquistato una poltrona ergonomica con supporto lombare calibrato… un’esperienza sensoriale unica.” Non scherzo. Ha descritto il trapano come se fosse un violino Stradivari. A quel punto ho iniziato a temere che la nostra serata finisse con un’ablazione del tartaro.

Quando il cameriere ci ha portato il conto, Lionel ha guardato il suo bicchiere e ha detto: “Devo lavarmi subito i denti. Odio la sensazione residua del caffè.” Romantico.

Siamo usciti dal locale. Io ho provato a sorridergli per salutarlo. Lui mi ha guardato con aria seria e ha detto: “Non devi sentirti obbligata a sorridere. È solo un costrutto sociale.”

Io, invece, sono scoppiata a ridere come una matta. Forse perché era tutto troppo assurdo. Forse perché sapevo già che non ci sarebbe stato un secondo appuntamento. Forse perché l’amore, a volte, è anche questo: riconoscere l’incompatibilità… e riderci sopra. Sorridendo. Tanto.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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