“È difficile non essere sopraffatti da un’ondata di rabbia quando si ripensa alla guerra. L’orribile sensazione che si prova è che la guerra non risolve niente e che vincere una guerra sia disastroso quanto perderla (Agatha Christie)”. Eppure, ciò che sembrava impossibile è diventato possibile. Da un mese facciamo i conti con una realtà che conoscevamo solo dai libri di storia o dal racconto dei nostri nonni. Negli ultimi due anni il mondo si è ritrovato a vivere una pandemia che ha sradicato certezze, sicurezze, sogni, portando in un territorio di sgomento e smarrimento. Adesso, viviamo a stretto contatto con la guerra, con la distruzione e la paura che qualcosa di inaspettato possa essere dietro l’angolo. Marzia Roncacci, giornalista Rai e conduttrice di Tg2 Italia, ci porta all’interno di questo momento con le angolazioni delle informazioni, delle paure, delle ipotesi, del possibile che si immerge nell’ignoto. Ogni mattina racconta questo intenso momento. Tuttavia, l’incognita abita il quotidiano poiché come ci dice Albert Einstein: “Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre”. Ci auguriamo che la sua sia stata una visione irrealistica e molto pessimista. Marzia Roncacci ci conduce all’interno di questo momento storico con professionalità e delicatezza.
Cara Marzia, ci siamo sentite per parlare di pandemia e adesso, nonostante non siamo usciti fuori dal tunnel del Covid-19, c’è un conflitto bellico. Quanto è difficile per un giornalista narrare momenti così significativi?
Il clima che si respira da giornalista è complicato. È pazzesco. Tutti i giorni stiamo 12ore sulla notizia, a sviscerare ogni più piccolo particolare affinché le notizie che offriamo ai nostri telespettatori siano aderenti alla realtà, senza promuovere ansia o panico. Tuttavia, è pesante, è un momento forte, mi sento come se fossi dentro a un vortice emotivo e comunicativo. Insomma, è talmente intenso che a volte, mi sento come scissa tra la vita fuori dallo studio e quella all’interno della redazione.
Vivi immersa in due realtà, quanto è difficile stare dietro a tutto quello che accade?
Molto. Rifletto spesso su ciò che sta accadendo. La nostra epoca sta vivendo un momento che sarà segnato e narrato nei libri di storia. Se ci pensiamo, due anni fa, abbiamo avuto l’inizio di una pandemia devastante e, adesso, una guerra. Un’epoca che sarà certamente argomento di studio così, come noi, nei libri di storia abbiamo studiato la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, l’influenza spagnola e tutti gli eventi salienti che hanno inciso una traccia indelebile. La differenza che l’abbiamo solo studiata, non vissuta sulla nostra pelle, invece adesso ci siamo completamente immersi.
Quanto è arrivata la notizia della guerra, cosa hai pensato da giornalista?
Da giornalista ho pensato, un po’ come tutti, poiché il vento si era capito, però nessuno credeva che potesse accadere.
Perché?
Forse perché eravamo consapevoli del pericolo che poteva esserci, forse per non volerci credere, forse per il quadro internazionale che sembrava così impossibile, fondamentalmente però non ci credevamo.
Invece?
Invece, poi è accaduto, lì è stato come ricevere un pugno nello stomaco. Perché prendi coscienza, comprendi la difficoltà. In quel momento è significativo fare un passo importante ovvero mettersi all’interno della cronaca dei fatti, vedere quello che sta succedendo, capire come raccontarlo, come dirlo. Un giornalista ha la responsabilità verso chi lo ascolta.
Arriva la paura nello spettatore?
La gente può andare in panico. Ci sono persone che hanno acquistato i beni di prima necessità per paura che potesse accadere qualcosa di importante. Le persone reagiscono così, vivono la paura, l’ansia, lo smarrimento. La nostra responsabilità come giornalisti è comunicare l’informazione senza alimentare ulteriormente il panico, la paura, facendo comprendere la realtà attraverso una lente oggettiva e consapevole.
All’inizio quale è stata la sensazione?
Quella che fosse una guerra circoscritta tra due nazioni.
E poi?
Con il tempo ci siamo resi conto che, nel raccontare quello che stava succedendo, è una guerra che coinvolge e avvolge altri stati. C’è uno Stato che è attaccato e l’altro che vorrebbe fare da padrone. C’è uno Stato, quello di Zelensky, che fa richieste precise, con una comunicazione anche attraverso la rete e i social, attuale e moderna.
Molto inserito nella comunicazione di oggi?
Fortemente inserito.
E l’altro paese
C’è una comunicazione pilotata.
Pensiamo alla giornalista Russa con il cartello in diretta televisiva?
Certo, certo. Purtroppo, è così, hanno chiuso tutti i social. Avevamo il nostro inviato lì così come per il nostro corrispondente cui hanno messo il bavaglio, non possiamo più avere nessuna notizia, altrimenti rischiamo fino a 15 anni di carcere.
Che notizie arrivano dalla Russia?
Le non notizie. Sono notizie che vogliono far uscire, che vogliono comunicare, è la famosa propaganda legata a un conflitto, una guerra, che c’è sempre stata, però è un’altra cosa rispetto all’informazione vera, pura che possiamo ricevere attraverso i nostri inviati.
Su cosa vi basate per avere informazioni?
Ci basiamo su quello che ci raccontano gli inviati perché oltre a narrarlo ce lo fanno vedere con le immagini raccolte sul campo. Queste sono le vere fonti. Per il resto bisogna fare sempre grande attenzione per non rischiare di dare informazioni non aderenti alla realtà dei fatti o che possano interferire in questo momento così delicato tra Russia e Ucraina.
Hai il dato reale della notizia, considerando che sei nella trincea comunicativa, mentre la gente comune è avvolta da una moltitudine di informazioni, come possono riuscire a scegliere l’informazione autentica e reale, da quella fake o costruita solo per creare panico?
Il fruitore ultimo ha grande difficoltà ed è comprensibile. Purtroppo, arrivano una valanga di informazioni, notizie, che possono confondere. L’importante è accedere alle notizie solo attraverso canali ufficiali come i telegiornali, o gli organi di stampa istituzionali, ecco in questi ambiti le informazioni sono vere o quanto meno hanno una grande base di autenticità e di fonti sicure e attendibili. Gli organi istituzionali hanno l’obbligo etico di verificare le fonti, che è la cosa più importante prima di dare una notizia. Mi rendo conto però che le persone sono impaurite. Ricevo tantissime domande nei social dove mi chiedono informazioni e cercano di capire che cosa potrà succedere.
Quale è la paura delle persone?
Quella che il conflitto possa ampliarsi, al tempo stesso degenerare in un conflitto atomico o con armi chimiche. Hanno paura che il conflitto possa arrivare in Italia, in Europa.
Sarà davvero così?
Questo dai fatti e da quello che per il momento stiamo vedendo non lo abbiamo mai detto e ci guardiamo bene dal comunicarlo.
Però?
La percezione delle persone è stravolta, inondata di notizie allarmanti.
Come si può rimediare?
Non c’è una soluzione. Non tutti hanno gli strumenti per analizzare quello che viene detto, per capire se è propaganda, per cui in questa valanga d’informazione non si riesce a distinguere quella reale da quella falsa. Questa è la difficoltà dell’ascoltatore, delle persone comuni. Lo capisco. Genera panico e smarrimento.
Purtroppo, la precarietà è data dal fatto che siamo legati al pensiero dell’uomo, a ciò che può decidere in quel momento, in una situazione che può essere fuori controllo? La mente umana per sua natura può essere imprevedibile.
Certo. Si è creata, in questo momento, una situazione molto delicata, le persone l’hanno percepito molto bene. È proprio come dicevi tu. Siamo legati alle reazioni di un personaggio che nessuno può mai sapere prima cosa intenda fare. Credo che nemmeno le persone di sua fiducia pur vivendogli accanto possono riuscire a sapere il suo pensiero fino in fondo. Stiamo parlando di Putin. Non sappiamo come vorrà muoversi, se vorrà muoversi, se la scelta impulsiva e non ragionata avrà uno spazio importante nelle sue decisioni, tutto questo porta a un navigare nel buio.
Cosa si può fare?
Non bisogna fare altro che tentare di arginare tutto quello che potrebbe accadere.
Per esempio?
Dopo l’incontro dei 30 leader appartenenti alla Nato, dove si è parlato di armi chimiche, di atomica, mi preoccupava far uscire queste notizie in un momento così delicato. Un analista, tra i più importanti, mi spiegava che nel momento in cui s’incontrano 30 leader dell’Alleanza Atlantica dobbiamo prendere in considerazione anche il peggio, per potersi tutelare. Questo può andare anche bene, ma alla gente che cosa arriva?
Hanno la percezione della situazione ma non di ciò che realmente si può rischiare? Siamo spettatori attoniti di un accadere?
Su quello che dicevi c’è un aspetto interessante, su cui abbiamo ragionato con gli analisti che sono venuti nel mio programma. Se ragioniamo sul fatto che Putin vuole davvero riprendersi il Donbas e la Crimea, lui potrebbe sedersi a un tavolo e dichiararlo, stabilendo una tregua. Però, tutto questo viaggia su un piano razionale e logico, dall’altra parte non c’è sempre una persona che ragiona su un piano logico e razionale, perché la razionalità può saltare e la logica può avere altre logiche che si distaccano dal pensiero comune. C’è un aspetto che riguarda la geopolitica, lo spostare l’asse verso la Cina, l’India, quando subentrano questi meccanismi la razionalità e la logica saltano.
Siamo nel XXI secolo, possiamo sederci a un tavolo e trovare una soluzione, negli ultimi anni abbiamo parlato di globalizzazione, integrazione, comunicazione, LGBD, ecologia, salvaguardia del pianeta, poi ci ritroviamo in una situazione dove ci autodistruggiamo e distruggiamo il nostro pianeta per una guerra che sa di drammatico? Abbiamo perso l’aspetto etico e morale che ha forgiato tutte le disquisizioni di questi anni, non credi?
Sono d’accordissimo.
È questa la drammaticità che arriva allo spettatore, alla persona? La mente umana che a un certo punto perde il controllo?
Certo. Però la domanda è anche questa: siamo davvero di fronte a una persona disturbata oppure nella sua testa c’è un disegno preciso che richiama il primo discorso che ha fatto sull’indipendenza delle due Repubbliche del Donbas? Quando ci fu quel discorso, che poteva sembrare agli occhi di qualcuno meno esperto, una sciocchezza, lui lì ha firmato la guerra. Tra l’altro facendo riferimento a una Russia di un tempo passato. La grande Russia. Fu un discorso molto più ampio che letto bene – devo dire il direttore Gennaro Sangiuliano, fu la prima cosa che disse – ovvero che la premessa del suo discorso aveva profondi riferimenti storici ed era fondamentale. Quindi, dove vuole andare a finire Putin? Cosa vuole fare?
Potremmo dire “questo è il mio disegno”?
Bravissima: “questo è il mio disegno!”. E, quindi, dove si va a finire?
Già, dove ci poterà questo conflitto?
Non c’è nulla nel piano razionale e logico, lo stiamo vedendo e questo rende difficile ipotizzare qualsiasi cosa.
È la logica dell’illogico?
È proprio così.
L’essenziale è invisibile agli occhi, per citare Il Piccolo Principe?
Bravissima, Il Piccolo Principe in questo docet.
Come finirà?
È una domanda complicatissima. La sensazione che ho, dettata dai fatti, dai documenti, da quello che ci raccontano le fonti, basata su dati e cose concrete, è che non sarà una guerra veloce, già lo stiamo vedendo e vivendo. Credo sarà un conflitto lungo, forse si andrà verso una guerra fredda, mi auguro non si spingano oltre. Ad oggi è una situazione completamente aperta. C’è la data del 9 maggio, che potrebbe far ipotizzare un cambiamento di rotta. Tuttavia, fino a quando non ci sarà una tregua oggettiva, non è possibile prevedere quando sarà la fine del conflitto.