Il teatro è la mia casa

Dobbiamo pensare a sedurre con la cultura che è una cosa difficilissima” altrimenti ci sono e ci saranno delle profonde solitudini. La solitudine è l’essenza dell’uomo, “noi nasciamo e moriamo soli”, nel mezzo c’è l’esistenza con tutte le sue variopinte declinazioni, in un ventaglio frastagliato di sensazioni ed emozioni che trama la tela della vita, il racconto narrativo di ognuno di noi all’interno di incontri. In questa corsa sfrenata che stiamo facendo tra una pandemia che ancora ha la sua morsa angosciante e una guerra che incombe come una lama tagliente ci interroghiamo ancora sul senso e il significato di accettare o no i cambiamenti della nostra società con tutte le sue declinazioni e necessità. Seppur la tecnologia è corsa ad aprire scenari surreali, l’uomo è ancora profondamente radicato nelle sue credenze, difficili da sradicare e trasformare. Noi siamo persone in cammino, abitiamo il pianeta alla ricerca di quella magia che solo l’incontro con l’altro può offrire. Il teatro regala una marcia in più, ti offre uno spazio dove la vita accade e tocca le corde armoniose dell’anima. Tutto si fonde e confonde in un dialogo intenso tra l’essere e il non essere alla ricerca di quella nota perfetta che fa entrare in empatia aprendo, con grazia e mistero, il viatico verso la propria Itaca. Tiziana Sensi ci regala un incontro denso della cifra significativa nel suo dialogo intenso e profondo che ci conduce alla scoperta del suo mondo e della sua anima, del teatro e dell’amore. Toccare la parte bambina per accarezzare l’anima, per trasformare il dolore in consapevolezza e conoscenza all’interno dell’alchimia perfetta che solo la carezza dello sguardo, del respiro e dell’esserci può offrire.

 

Teatro, cinema e televisione, qual è il tuo spazio perfetto?

Lo spazio perfetto non esiste. Sono tre ambienti differenti, pur avendo la stessa radice, mi diverto ovunque. Seppur il teatro è casa mia.

Perché è casa tua?

Il teatro prende un personaggio dall’inizio e lo porta fino alla fine, c’è una costruzione, un silenzio, una concentrazione, cui si aggiunge il lavoro con il regista che è minuzioso. Il teatro è quel luogo dove ci sono mille storie, mille emozioni che viaggiano in ogni istante. Il teatro sia se lo vedi come spettatore sia se lo fai come attore ti porta a viaggiare per il mondo, all’interno di epoche differenti, stando fermo in un solo luogo. Il teatro ti permette di incontrare la natura umana.

Sappiamo che hai un forte impegno nel sociale, da dove nasce questa attenzione?

Ho avuto un impegno per il sociale. Il tutto nasce dal bisogno di scoprire, dalla curiosità, dal fatto che qualunque cosa diversa dalle nostre vite porta un bagaglio enorme. Tutto quello che non mi appartiene, che non è nella mia vita, come può essere il lavoro che ho fatto con i non vedenti, con l’ergastolano, oppure quello contro la violenza sulle donne, sono storie e mondi che non appartengono alla mia vita ma che mi hanno permesso di crescere umanamente. Mi hanno dato la possibilità di entrare in contatto con una visione della vita, di me stessa, differente.

Hai detto “ho avuto”, adesso questo percorso si è concluso?

Abbiamo lavorato insieme ai non vedenti per 12 anni. Ho ricevuto in seguito a questo impegno l’Alta Medaglia della Presidenza della Repubblica, oltre a vari premi e riconoscimenti. Tuttavia, ritengo che così come la vita anche i progetti si esauriscano. Dopo 12 anni, sentivo di non aver più nulla da dare, mentre loro ancora avevano tantissimo da darmi (era un progetto tra non vedenti, ipovedenti e artisti professionisti) ma io non avevo più nulla da offrire, come sé in quel momento fossi stata svuotata da tutto quello che io avrei potuto donare a loro. È stato un lavoro faticoso, tutti i venerdì, i sabati per 12 anni, studio e ricerca, a un certo punto ti esaurisci. Semplicemente le cose finiscono.

Oppure si trasformano in altro?

Si trasformano, infatti, ho aperto una scuola di recitazione: la scuola del Teatro Marconi. C’è tutto un lavoro sulla propedeutica teatrale, c’è un itinerario significativo che il teatro sta facendo con gli insegnanti che sono all’interno della scuola del Teatro Marconi. Un lavoro che si fa sui bambini, gli adolescenti, quindi quell’esperienza lì si è trasformata per poter donare anche ad altre realtà. I bambini e gli adolescenti sono importantissimi.

È lì che si cementano le prime basi di ciò che sarà quella persona nel mondo della vita?

Esatto! Il teatro gli permette di comprendere tantissime cose, perché vengono messi in contatto con le loro emozioni, gli fa comprendere che cosa significa lavorare in gruppo, li fa lavorare sulla creatività, sul rispetto, sulle regole, sul lavorare con la manualità. C’è nello spazio del teatro l’abbandono totale di tutto quello che è cellulare, social, computer. C’è il tornare all’importanza delle parole, delle emozioni e del comprendere.

Essere l’un per l’altro, incontrando il significato del rapporto persona-a-persona?

Esatto!

 

Quanto la pandemia ha cambiato il teatro, il cinema, l’aspetto creativo?

La pandemia ha creato un impigrimento.

Perché?

Il cinema con le piattaforme o l’on-demand lo puoi comodamente vedere seduto nel divano di casa. Il teatro deve riuscire a sedurre con la cultura che è una cosa difficilissima. La pandemia ha creato solitudini.

Adesso anche la guerra, arrivano i profughi, secondo te è possibile un’integrazione?

Che domanda enorme! È una domanda complessa, perché il mondo si divide in due grandi metà. Una metà volta a dare una mano all’altro perché comprende che l’aiuto è necessario. Poi c’è una parte che è ancora molto legata al concetto del “mio”, “il mio paese, le mie cose, la mia casa”, quindi c’è una scissione. Saranno i giovani a fare la differenza. Alla domanda che mi hai fatto non so dare una risposta perché non ho gli strumenti per darla. Solo i giovani potranno dare una risposta esaustiva e completa, tuttavia è un processo lungo.

Hai più ricci o fai più capricci?

Più ricci perché sono riccia di natura. I capricci non li sopporto e non li faccio. Non tollero le persone capricciose, mi danno fastidio.

Che cos’è la bellezza?

È l’anima.

E l’anima che cos’è?

La nostra essenza. Ci sono anime belle che vedi immediatamente, risplendono con gli occhi e, quando le guardi, senti la loro generosità d’animo, la semplicità, la condivisione, l’amore. Poi ci sono quelli che hanno un’anima un po’ più nera, grigia. La bellezza è quello che ha a che fare con l’anima, con l’essenza umana. C’è anche la bellezza esteriore. Quella è un dono. L’anima bella la puoi costruire, la bellezza esteriore ci nasci.

Adesso sei in teatro per le prove del tuo prossimo spettacolo?

Si! È uno spettacolo molto interessante, s’intitola “Dive”. Debuttiamo il 15 aprile al Teatro Marconi a Roma, saremo lì fino al 20 aprile.  La regia è di Mariano Lamberti, scritto da Roberta Calandra ed interpretato da Caterina Gramaglia, Mariano Gallo alias Priscilla, Marit Nissen, e naturalmente da me nelle vesti di Greta Garbo.

Qual è la storia?

È la storia di due grandi dive: Greta Garbo e Marlene Dietrich, tratta da biografie, lettere, storie narrate o raccontate. Al centro tra queste due donne c’è Mercedes De Acosta, un’intellettuale dell’epoca molto importante. Erano donne libere. Greta Garbo era molto riservata, non lasciava trapelare nulla, seppur si evince una passione particolare per il mondo femminile che lei non ha mai dato adito a chiacchiere e congetture. Diceva: “Mentre tutte si agitano per farsi notare dalla stampa, io faccio impazzire i giornalisti con il mio riserbo sulla mia vita. Questo mi rende perfetta”. È la storia della loro vita privata, non di quello che loro hanno vissuto sul grande schermo, ma delle loro solitudini. Riflettiamo e poniamo l’accetto su quello che significa arrivare al successo. Quanta luce c’è quando si spengono i riflettori nella vita privata di una diva?

È molto interessante?

È interessante la regia che ha fatto Mariano Lamberti. Lui ha messo in scena Cecil Beaton un fotografo omosessuale molto amato da tutte le dive. È interpretato da Mariano Gallo che nella vita è Priscilla, una drag queen, tra l’altro conduce una trasmissione importante. C’è quest’uomo che ha sembianze femminili e queste donne che nel privato hanno un atteggiamento molto maschile. È una storia intensa che inizia come se ci trovassimo in una Ballroom degli anni ’80, nella New York di Harlem, dove la comunità LGDB iniziava a farsi notare sulla scena. Voleva farsi accettare. Poi, quando questi personaggi salgono sul palcoscenico, entrano in gioco le storie del passato. È uno specchio tra un presente e un passato con la domanda: “quanto è così morbosamente interessante ancora sapere con chi va a letto un essere umano? È possibile che ancora siamo lì?”. L’aspetto privato di queste dive è interessante. La loro solitudine coinvolge e fa riflettere.

Da grande cosa farai?

Sono già grande! I grandi Maestri dicevano: “pensa di avere tre anni e stupisciti di quello che stai facendo, è l’unico modo per non essere condizionati”, solo così possiamo stupire per quello che andiamo a fare. Questo è un periodo della mia vita in cui vivo nel qui e ora sia nel teatro sia nel mio quotidiano. Da grande vorrei continuare a sentirmi libera come mi sento adesso. Non mi interessa più cosa pensano gli altri di me.

 

 

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