Il 4 dicembre alla Galleria Pavart di Roma si aprirà la mostra di Luigi Notarnicola dal titolo: “PELI DI VITA” a cura di Velia Littera.

“Peli di vita” una mostra che evoca immagini particolari e contrastanti, mescolando elementi del quotidiano con un tocco di poesia. Il termine “peli” suggerisce qualcosa di piccolo, apparentemente insignificante o trascurabile, ma che è anche parte integrante del corpo quindi della natura umana. Associato alla parola “vita”, il concetto si arricchisce: anche i dettagli più minuti, spesso considerati insignificanti, sono parti fondamentali dell’esperienza di vivere.
 

Luigi Notarnicola ci invita a una riflessione intima e viscerale sul tema del corpo, della quotidianità e della fragilità umana. Attraverso opere che esplorano la fisicità e la materia, l’artista utilizza i peli come elemento simbolico, traccia di vissuto e memoria corporea, ma anche come simbolo della presenza umana nella sua forma più naturale e vulnerabile.

Un percorso artistico che svela e celebra ciò che spesso viene nascosto, considerato banale o disturbante. I peli, in questo contesto, diventano testimoni silenziosi delle storie che il nostro corpo racconta: storie di identità, relazioni, trasformazioni. Ogni opera esposta si pone come un frammento di questa narrazione, invitando il visitatore a confrontarsi con l’intrinseca verità della condizione umana, fatta di imperfezioni, di segni indelebili e di esperienze condivise.

L’approccio di Notarnicola, con il suo linguaggio crudo e immediato, mira a dissolvere le barriere tra il soggetto e l’osservatore, stimolando un dialogo che va oltre il visibile. Attraverso i suoi dipinti, l’artista ci invita a riscoprire la bellezza del corpo umano nella sua essenza più autentica e a riconoscere la nostra comune umanità, presente anche nei più piccoli frammenti di vita.

In un mondo che spesso idealizza e filtra la realtà corporea, “Peli di vita” rappresenta una sfida all’estetica convenzionale, spingendoci a riscoprire e accettare la totalità di noi stessi. Abbiamo intervistato Luigi Notarnicola.

Buongiorno Luigi, una curiosità in quali Peli di vita siamo?

In peli di Vita si esplora una dimensione anomala. Qui ciò che è Pop (colore, tratto, icona e riproducibilità) risente di un romanticismo da cui cerco, con insuccesso, di scappare. I peli, nel modo in cui sono rappresentati, sono ambigui e possono essere interpretati come spine. Li definisco infatti “peli/spina”, elementi che – pettinati da un’emotività fluttuante – mostrano a volte qualcosa, a volte l’esatto contrario.

Che cosa racconta questa mostra?

Questa mostra raccoglie parte della produzione degli ultimi cinque anni. È un piccolo percorso in direzione dei peli/spina dal “tratto spesso”, una delle tecniche che più mi rappresenta. Le tematiche affrontate da questa raccolta riguardano il ruolo dei ricordi nella costruzione degli individui che siamo oggi, il peso e la leggerezza delle relazioni nell’attuale società, il coraggio e libertà di compiere sempre e comunque le scelte che definiscono la nostra vita.

La curiosità continua: perché peli? Che cosa sta a significare?

I peli sono il riflesso della più profonda natura della civiltà, la parte più residuale dell’uomo inteso come “animale”, evoluto si, ma pur sempre animale. Una contrapposizione esplicita alla religione che vede l’uomo come creatura divina, o meglio, assoggettata al divino.

I peli, nel giudizio estetico dell’uomo odierno, risultano brutali, abominevoli. Io invece ne faccio simbolo e manifesto, ponendoli al centro del mio interesse. Li esalto per scongiurare la paura che una “non-estetica” prevalga sul vero orrore: utilizzo di armi in guerre che tendono ad aumentare, divario tra chi detiene gran parte della ricchezza e chi non può accedere quotidianamente a cibo e cure. Per non parlare della drammatica gestione della crisi climatica da parte degli Stati. Sono davvero i peli a farci schifo? Sembra un paradosso ma l’uomo si evolve in una natura che involve a causa dell’uomo.

Perché ci ha associato la parola vita?

Dovremmo chiederlo a Velia, curatrice scrupolosa che osserva il lavoro di tanti artisti traendone spunto per mostre emotivamente coinvolgenti. È lei che ha scelto il nome per questa personale.

È sicuramente una strana associazione, ma come anticipato nella seconda risposta, queste opere riguardano l’esperienza e il vissuto.

Una cosa non ancora emersa è la presenza delle piante grasse nei soggetti raffigurati. Ci sono piante che diventano dita, nuvole o palle da tennis che sembrano piante. I soggetti come gli oggetti vengono caratterizzati dai peli/spia e simbolicamente “animati” dai loro precetti.

Come si svolge il viaggio nel mondo di peli di vita?

È un viaggio che si affronta senza biglietto perché non promette nessuna destinazione. Il percorso è segnato da luce e colore, da geometrie e segni ridondanti. L’inedito del primo acchito risulterà subito dopo familiare, proprio, primitivo. Alla fine ogni randagio andrà per la sua strada, sarà il vino a ricordarci di essere in buona compagnia.

Il suo lavoro di artista come si declina con il quotidiano?

Essere artista significa essere innanzitutto un lavoratore. Lo spazio di lavoro è importante, delimita una dimensione in cui rovesciare quello che durante la notte, il giorno e durante le successive notti viene prodotto in termini di idee. Avere uno spazio in cui le idee, attraverso il lavoro, diventano tangibili, mi aiuta a scandire una quotidianità che altrimenti sarebbe fumosa e probabilmente improduttiva. Il mio quotidiano lavorativo è la presenza in studio. Per il resto sono un papà premuroso che qualche volta dimentica di comprare l’ingrediente principale della cena. A casa sono clementi.

L’arte per lei che cosa è?

L’arte è per me una dimensione in cui mi è permesso comunicare, esprimermi e conoscere. Ognuno riesce a parlare in alcuni contesti e ad alcune persone. Io mi sento costantemente a disagio, faccio fatica a dire quello che penso perché quello che penso non è spesso convenzionale. Attraverso l’arte mi sento libero di muovermi in uno spazio ampio in cui non ci sono censure e giudizi. Le censure e i giudizi possono arrivare, ma dopo. Intanto quel che è fatto è fatto ed io ho ho già detto tutto.

In questo mondo dalla comunicazione social è ancora possibile comunicare attraverso l’arte?

Si certo. I social hanno già dimostrato il loro enorme potenziale, consentendo all’arte di raggiungere un vasto pubblico: si guardi alle opere in strada di Banksy, alle denunce di Jr, alla condivisione delle suggestive performance di Marina Abramović. L’arte arriva, seppur canalizzata, ma arriva. Non possiamo aspettarci che i messaggi dai social conservino l’energia di una fruizione dal vivo, ma click dopo click, passano il messaggio: l’arte come messaggio non può prescindere da questo.

Qual è la tecnica che predilige nel dar vita alle sue opere?

Mi piace utilizzare diversi materiali attraverso molteplici tecniche: plexiglass, carta vetro e tela prendono vita attraverso riproduzioni industriali e artigianali. Quello che realizzo si muove in uno spazio produttivo ampio ma confinato tra design e arte. Tuttavia, prediligo il lavoro con tela e pennelli, per il rapporto viscerale che si crea tra il mio corpo e l’opera. Qui tutto il resto si opacizza.

C’è un artista a cui si ispira?

Il mio lavoro ha alcuni tratti dell’espressionismo in una matrice iconico-geometrica. Oltre agli espressionisti e ai più celebri autori della POP Art, non c’è un unico artista a cui mi ispiro in modo consapevole, almeno in termini di risultato stilistico e concettuale.

Mi ha segnato però la personalità e il metodo di lavoro di Maurits Cornelis Escher, disegnatore Olandese che con il disegno è riuscito ad ottenere nuovi mondi, in cui è facile entrare e da cui è impossibile uscirne. Escher dubitava dell’esistenza de talento e affermava che chiunque, dotato di volontà, avrebbe potuto, con metodo-pazienza-applicazione, disegnare meglio di lui.

Il suo maestro?

I maestri sono tanti e non tutti riconducibili necessariamente al mondo dell’arte o della progettazione. Gli insegnanti dell’accademia che ho frequentato mi hanno aiutato ad acquisire un metodo, parlo di Alma Carrara e Pietro Bartoleschi per citarne alcuni, ma coloro che mi hanno insegnato di più in termini di concetto sono state le persone che ho frequentato e da cui ho tratto spontaneamente insegnamenti esistenziali.

Sassolini nella scarpa?

Ci sono persone che contribuiscono al mio percorso prestando attenzione a quel che faccio. Attraverso i loro occhi posso guardare meglio e crescere in ogni aspetto della vita, anche quella lavorativa. Per me ci sono solo queste persone. Per le altre, è come se camminassi a piedi scalzi.

La critica spende parole dense di significato per le sue opere, come lo fa sentire?

Quando un buon giudizio arriva anche dalla critica, posso temporaneamente eludere l’idea di pensarmi “impostore” e sorridere della genuina convinzione di essere sulla strada giusta. Questo è importante per gli artisti che vivono della propria arte poiché il lavoro comporta vetrine e giudizi, e – nei periodi in cui non si riesce a vendere o a esporre il proprio lavoro – si è spesso sotto la falsa pressione di credersi isolati.

Progetti?

Sono concentrato su temi da sviluppare nel “presente che verrà”: molti soggetti attendono “il visto” per comparire su tela. Parallelamente sto allestendo un nuovo spazio di lavoro. Lo spazio fisico, ben congegnato, diventa spazio concettuale, una nuova dimensione in cui unire l’opera bidimensionale alla fisicità della scultura. Sto infatti raccogliendo appunti per la produzione di opere in ferro, cemento e tufo, basi per una nuova sperimentazione.

Sogni?

Non ho particolari ambizioni. Non è tanto per dire, per risultare insensibile al desiderio. Ma è così.

Chi mi conosce sa quanto peso do alle parole.

Quello che vorrei davvero è continuare a fare quel che faccio, magari migliorando alcuni aspetti, per vivermela con maggiore serenità.

Vuole aggiungere altro?

No, magari eliminiamo qualcosa.

E poi?

Grazie per le domande, per rispondere ho dovuto psicanalizzarmi un po’. È stato bello.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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