Tra paura e ossessione, il lato oscuro della nostra curiosità.
Il brivido che ci seduce.
Ci sediamo sul divano, luci basse, popcorn in mano… E iniziamo una nuova serie true crime. La trama? Lui è un serial killer. Lei – o loro – gli stanno alle calcagna. L’orrore è garantito, ma non possiamo smettere di guardare. Perché ci affascinano i serial killer? Perché leggiamo, ascoltiamo, analizziamo ogni dettaglio, come se il male avesse un magnetismo segreto? La risposta è tanto disturbante quanto umana: ci riconosciamo nella paura. E nella voglia di esorcizzarla. Il mostro ci rassicura. Paradossale, ma vero: il serial killer ci affascina anche perché è “altro da noi”.
Un mostro, un’eccezione, un’anomalia.
Ci piace pensare che sia così diverso da noi da renderci immuni. Ci rassicura la sua distanza. Lui è malato, freddo, crudele. Noi, no. E così, osservandolo, ci sentiamo migliori. Al sicuro. Ma più lo studiamo, più ci accorgiamo che non è poi così lontano.
L’intelligenza del male.
Molti serial killer sono colti, raffinati, strategici. Ted Bundy, laureato, affascinante, manipolatore. Ed Kemper, alto due metri, voce pacata, intelligenza fuori norma. Jeffrey Dahmer, timido, solitario, inquietante nella sua lucidità.
La loro freddezza ci inquieta, ma anche ci incuriosisce. Perché sfida le nostre categorie morali. Come si può essere così razionali e così mostruosi allo stesso tempo. È come osservare un buco nero: non possiamo avvicinarci, ma non possiamo smettere di fissarlo.
La mente criminale: specchio o abisso? I serial killer sfidano il concetto stesso di umanità. Non uccidono per necessità, ma per piacere, ritualità, controllo. Ci fanno paura perché mostrano quello che potremmo diventare senza empatia. Sono l’evoluzione estrema della rabbia repressa, del desiderio di dominio, del narcisismo assoluto. Eppure, il loro studio ci affascina. Nei documentari, nei podcast, nei romanzi. Perché ci permettono di guardare dove non osiamo andare nella vita reale. True crime: bisogno morboso o forma di difesa? C’è chi dice che il true crime sia una perversione moderna. Ma in realtà, è sempre esistito. Le cronache nera hanno da secoli un pubblico fedele. Oggi, grazie ai podcast e alle serie tv, questa passione si è moltiplicata.
Ma non sempre per morbosità.
Molte persone – soprattutto donne – ascoltano e studiano i casi per imparare a riconoscere i segnali del pericolo, per proteggersi, per comprendere. Il true crime diventa così uno strumento di consapevolezza. Guardare il mostro negli occhi. I serial killer ci attraggono perché rappresentano l’ignoto che ci spaventa… e ci incuriosisce. Perché sono il lato oscuro della psiche umana. Perché ci costringono a chiederci: “E se il male non fosse poi così distante?” Non si tratta di idolatrarli. Ma di interrogarli. Per capire, per prevenire, per riconoscere. E, forse, per riconoscerci.