Quando arriva un bambino la vita acquista una declinazione nuova fatta di gioia, speranza, fatica, dubbi, problemi e avventure. Essere genitori è una grande prova che si coniuga con i viatici della vita cucita e tramata nel copione di vita. La storia di Brando narrata dal suo papà Stefano Buttafuoco è una narrazione intensa, profonda, emozionante. A volte, accade, che un imprevisto incrina qualcosa, il mondo si oscura, si perde la rotta, all’improvviso è il nulla. Le patologie dell’infanzia emergono ed entrano nel cuore dell’Altro con tutta la forza di un accadere che sradica i confini di un equilibrio emozionale, relazionale ed affettivo. La vita accade, nel suo accadere plasma e da vita all’orchestrazione corale di mille atmosfere che si accomodano, distendono ed accordano nella tela bianca dell’esistenza creando una realtà densa di significato, imbevuta della sua cifra. Così come la vita anche la patologia dell’infanzia accade segnando il confine tra il Sé e l’Altro da Sè, nel territorio dell’essere che diviene senso panico d’esistere. Accade e nel suo accadere si ripresenta, più e più volte, alla persona come se dovesse lasciare un messaggio di difficile codificazione, come se nel suo presentarsi all’Altro domandi, chieda, ricerchi una risposta, che non c’è, non si trova, non è possibile. La patologia dell’infanzia diviene un dono che il bambino fa al genitore, alla famiglia. Un dono che diviene espressione vissuta di un esistere. I bambini sono quello che vivono nella loro cifra assoluta. La patologia permette al genitore di accedere in territori di cui è difficile coglierne il senso senza la sua sperimentazione. Infatti, è nel suo attraversamento sia come esperienza di vita vissuta sia convissuta che si può ascoltare il messaggio, i bisogni, i desideri, le mancanze, le incertezze, i sogni, le fantasie di quel bambino che chiama, chiede, implora una presenza nutritiva, autentica, affidabile seppur nell’assenza della comunicazione cui siamo avvezzi e ne conosciamo le angolazioni. Nella patologia genetica le angolazioni sono spigoli, precipizi, voragini dove l’algoritmo della vita esprime la sua equazione in relazione a un bambino che da conosciuto diventa sconosciuto, che da presenza attiva diventa assenza passiva. Una cosa è certa, per poter condividere il viatico con queste creature, l’unico cammino possibile non è quello per vedere nuovi mondi ma cambiare occhi per conoscere un cammino nuovo che si rende perfetto nella sua imperfezione. Questo è il difficile sentiero di Stefano Buttafuoco e della sua famiglia. Stefano lo racconta in questa intervista densa di significato.
La vita è imprevedibile, tu ne sai qualcosa?
La vita è imprevedibile … non pensavo fino a questo punto.
Perché?
La mia vita fino all’avvento di Brando era una vita molto leggera, piena di soddisfazioni al lavoro ma soprattutto a casa. Una famiglia perfetta. La famiglia del mulino bianco. Sono un grande appassionato di sport, ha sempre fatto da contorno a una vita tanto felice quanto allegra e spensierata. Con Brando c’è stato uno tsunami, un terremoto imprevedibile e impensabile, che ha destabilizzato tutti gli equilibri.
Cosa avete fatto per contenere lo tsunami?
Abbiamo riiniziato tutto daccapo.
Sei ancora uno spettatore nella vita di Brando?
No! Qualcosa è cambiato. Volevo intitolare il libro: “Lo spettatore”.
Perché?
Perché … dal primo giorno che mi hanno dato la diagnosi di Brando … il genetista ricordo che disse: “questa è la diagnosi, coraggio, in bocca al lupo” e nulla più. Non c’era alcuna maniera di intervenire.
E poi?
Ho iniziato a vivere una vita dove tutto scorreva velocemente. C’è stata una rapida evoluzione della situazione. In quel momento mi sono sentito uno spettatore. Uno spettatore che vede la vita degli altri e mi torna in mente la serenità che anche io avevo. Adesso, apprezzo la semplicità delle cose, l’ho sempre apprezzata tantissimo, però vedendola negli altri da spettatore mi accorgo che è tutto molto più complicato.
Adesso com’è la tua vita?
È una vita ancora tanto felice, piena di momenti di gioia, di felicità grazie a mia moglie, ad Alessandro e grazie anche a Brando, tuttavia è una vita diversa.
Quanto è importante ridimensionare o comprendere?
Sono due concetti molto diversi. Nel mio libro ridimensionare è legato all’esperienza che con Brando mi sono dovuto spogliare di molte sovrastrutture. Ho scoperto una dimensione che non pensavo di avere. Una dimensione più spirituale.
Perché più spirituale?
Se ti fermi a una dimensione di razionalità è difficile andare avanti.
E poi?
Scopri che dentro di te c’è una forza, comune a tutte le persone che vivono una dimensione di difficoltà, che ti porta a vedere le cose con una luce diversa. Ti aggrappi alla vita più di prima. Brando mi ha insegnato a eliminare le sovrastrutture, ho imparato a cogliere e apprezzare l’essenza, la sostanza.
Quando hai capito di non avere più le sovrastrutture?
Me ne sono accorto al lavoro, con le persone, in tutto quello che è il mio approccio alle cose, agli eventi, alle situazioni. Non ho tempo da perdere, ho troppe cose da fare. Non posso fermarmi a pensare a cose insignificanti, la mia vita adesso è pianificata. Oltre a tutto ciò che facevo prima c’è Brando che occupa un posto speciale ma impegna molto, è come fare cento lavori insieme.
Invece comprendere?
È un concetto che ricollego al mondo esterno. Ho compreso quanto sia importante la solidarietà intesa anche come vicinanza, un sorriso, una telefonata. Sentirmi chiedere come sta Brando, avvertire l’empatia dell’altro, la forza che cerca di darmi è importante. Sono piccole cose che ti fanno sentire la comprensione del mondo vicino a te.
Hai detto tante volte: “non è giusto”, sei sicuro che “non è giusto”?
Non lo so.
Potrebbe essere anche una grande risorsa?
Il primo momento è stato di sbandamento totale, come se mi avessero iniettato una sostanza che ti fa perdere la testa.
E poi?
C’è il momento in cui assorbi il colpo, dove riesci a vedere la situazione in maniera più reale, dopodiché arriva il momento in cui ti rialzi.
Cosa accade quando ci si rialza?
Diventi progettuale. Ho costituito un’associazione dedicata alla ricerca medica sulle malattie genetiche.
Come si chiama l’associazione?
L’associazione si chiama: Unici.
Perché hai deciso di crearla?
Nessuno fa ricerca. Telethon farà un bando di concorso sulla mutazione genetica di Brando, sarò io a finanziare il progetto di ricerca. Questo è il motivo per cui ho dovuto fare velocemente un’associazione, per poter raccogliere qualche fondo per questa ricerca, laddove possano esserci. Lo sforzo economico è significativo, il contratto firmato con Telethon prevede una cifra cospicua.
In quale periodo della tua vita sei?
Sono in una fase in cui cerco di combattere sia per me, sia per Alessandro, sia per mia moglie Alessia e soprattutto per Brando. Mi sono reso conto che ci sono molte persone che hanno una situazione come la mia. Le malattie rare sono tantissime anche se ognuna colpisce poche persone.
Hai paura?
In questo momento della mia vita ho paura e temo la fase successiva. In brevissimo tempo ho già passato due/tre fasi.
Ce ne vuoi parlare?
Ho avuto la fase dello sconvolgimento, quella dove ho assorbito il colpo, adesso mi sto rialzando seppur con la paura di svegliarmi un giorno sentendomi nuovamente spalle al muro.
Come è nata l’idea di scrivere un libro?
L’ho scritto per me, non ho mai pensato di pubblicarlo, poi solo in un secondo momento, dopo averne parlato con un mio caro amico, ho superato lo scetticismo che mi faceva pensare che alla gente non sarebbe interessato; invece, in venti giorni Rai libri l’ha voluto pubblicare. È un libro scritto in diretta lungo il percorso dell’avvento di Brando e della nostra famiglia. Racconta le varie fasi di questo accadere. All’inizio ero pieno di rabbia avevo un altro approccio nel raccontare di Brando e della sua malattia, nel finale cerco di intravedere quel lumicino che potrebbe essere la speranza racchiusa nell’ospedale di Rotterdam. È una piccola luce unita al progetto di ricerca di Telethon.
Il libro come sta andando?
Molto bene. Ho vari inviti televisivi per parlare del libro e della dimensione esistenziale di Brando.
Nel libro scrivi di essere egoista. Lo sei davvero oppure è un meccanismo di difesa?
Non sono un egoista. Egoista era la parte iniziale di tutto questo accadere, era la fase in cui ero disperato. Hai detto bene, era una sorta di protezione, ero arrabbiato con il mondo. La rabbia c’è ancora ma sono addolcito rispetto alla fase iniziale.
Nel finale c’è un sogno?
Alla fine del libro parlo di un sogno ricorrente: vedere Brando in piedi, che parla, che interagisce con noi.
Perché il ring è il posto più sicuro?
Perché sai quello che può capitare. C’è un arbitro. Se cadi per terra ti dà il tempo di rialzarti. Nel ring al massimo puoi prendere un cazzotto e andare per terra. Nella vita non è così. Io ho preso tanto di più, un cazzotto sarebbe solo una carezza.
Hai più paura di volare o di cadere?
Fino a quando voli ti puoi permettere di continuare a sognare che la caduta possa essere dolce. Quando cadi devi fare i conti con qualcosa che è cambiato. Vivo nella paura di alzarmi e non avere più la forza di combattere.
Quanto la famiglia è importante?
È la colonna portante. Non vai da nessuna parte se non hai il sostegno della tua famiglia, dei genitori, degli amici che sono famiglia.
Se Brando esiste ha un significato?
Si! Abbiamo fatto tante cose da quel giorno, lui è il centro di tutto. Però, per Brando, è una grande ingiustizia. La vita è bella: è un peccato.
Cosa stai facendo in questo periodo?
Un programma sulla disabilità che ha avuto tanto successo e dovrebbe continuare. Questa è una di quelle cose che sono uscite dopo la nascita di Brando.
Quanti regali ti ha fatto Brando?
A lui non posso rimproverare nulla. Non sono arrabbiato per la mia vita, torniamo allo spettatore. La mia vita ha un discorso relativo. L’unico vero dispiacere è per Brando. Lui mi ha dato la possibilità di scoprirmi e capire chi sono, di fare contatto con la mia spiritualità, non quella religiosa bensì quella che si interroga sul senso e il significato della vita, sulla sua origine e il suo scopo.