Martedì 26 novembre al Teatro Documenti in Roma debutterà l’attesa opera: “Gli esclusi. Insane Situation Procedure. Un esperimento psico-teatrale”. L’opera scritta da Roberta Calandra vede l’adattamento e la regia di Valentina Ghetti. Gli interpreti vedono nomi di spicco del panorama teatrale italiano come: Caterina Gramaglia, Camilla Ferranti, Alessio De Persio, Dario Masciello, Luca Di Giovanni, Leonardo Zarra. L’opera teatrale è in collaborazione con Centro Culturale Mobilità delle Arti, Roberto D’Alessandro e Obiettivo Roma.

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Veniamo al contenuto di questo poderoso lavoro.

In un misterioso stanzone di una clinica psichiatrica, sei giovani protagonisti si incontrano in un esperimento dai connotati inquietanti che li vede combattere per affermare finalmente la propria identità distrutta dalla Storia. Scopriremo che tutti e sei sono realmente esistiti e sono figli di famiglie illustri, distrutti psicologicamente da esigenze di potere politico o culturale: Rosemary Kennedy, Lucia Joyce, Benito Albino Mussolini, Aldo Togliatti, Giorgio Agnelli, Eduard Einstein. Cosa li lega? Ognuno di loro ha subito una sorte analoga, andando a costituire una sorta di lato ombra delle rispettive famiglie di origine, sacrificando in nome di un ordine costituito talenti e sensibilità spiccatamente fuori dal comune. Quasi tutti possedevano una forte attitudine artistica, avevano una intelligenza fuori dal comune e spiccati talenti. Sei fragilità, sei personaggi schiacciati dal peso delle loro storie, delle loro famiglie. Sei persone senza pelle che ora mettonoa nudo le loro anime.

L’incontro-scontro tra loro, darà il via a imprevedibili dinamiche: lo scoprirsi analoghi nei vissuti e nelle percezioni, darà ai sei personaggi in cerca di esistenza un nuovo valore, intriso di riconoscimento, solidarietà e.… amore.

In una sorta di guerra senza esclusione di colpi i protagonisti impareranno, infatti, a diventare se stessi, costituendo un imprevedibile modello di realizzazione per tutti noi, per quelle zone intime e segrete che tendiamo a nascondere pur di apparire “normali” e che costituiscono invece la nostra più preziosa risorsa, quella che si esprime con l’anima.

L’idea che muove questo progetto teatrale è quella che parte dall’indagine su alcuni personaggi, figli di celebri clan di potere economico e intellettuale, esclusi in qualche forma, quasi sempre quella del disagio mentale con conseguente internamento, dal loro contesto di origine.

Numerosi sistemi di indagine contemporanea, prime tra tutte le costellazioni familiari di Hellinger, evidenziano come l’esclusione deliberata dei membri di un clan abbia infallibilmente pesanti ripercussioni sui discendenti dello stesso, si parla infatti spesso di “maledizione dei…” In questo testo, seppure attraverso un’invenzione fantastica, si vuole restituire loro dignità e memoria.

Abbiamo intervistato Valentina Ghetti e Roberta Calandra in un’avvincente narrazione declinata tra pathos, nostalgia, fremito, incredulità, sorpresa e speranza di un possibile epilogo dove l’equilibrio dello squilibrio diventa viatico per una possibile consapevolezza che vada non solo nell’oltre ma anche nell’altrove.

Come si esplora il concetto di identità distrutta dalla storia nei sei protagonisti?

Roberta Calandra: Non è stato facile recuperare il materiale biografico su di loro: quando, circa dieci anni fa, iniziai a scrivere questo testo, c’erano pochissime pubblicazioni in merito, che ad oggi risultano anche fuori mercato. Qualcosa però di nuovo è uscito, soprattutto relativamente a Lucia Joyce e RoseMary Kennedy. I dati biografici sono stati reimpastati in modo lirico, cercando di restituire un’unità narrativa di autonarrazione, attraverso il filtro della malattia o dell’internamento psichiatrico. L’attuale regia ha messo in rilievo ancora più di quanto io stessa avessi immaginato, il potente valore delle relazioni come mezzo di “guarigione”, termine pericolosissimo ma che restituisce un ambito di senso.
Quale ruolo gioca il contrasto tra talento artistico e pressioni familiari nella psiche dei protagonisti?

Roberta Calandra: Molto. Alcuni di loro, come Eduard Einstein e Giorgio Agnelli, erano dichiaratamente artisti. Anche Rosemary Kennedy desiderava scrivere, Lucia Joyce dedicò con dolore la sua esistenza alla danza. In Benito Albino Mussolini e Aldo Togliatti c’è sicuramente un bambino interiore ferito e traumatizzato, quello che avrebbe dato sicuramente origine all’arte, a una vita in ogni caso felice e realizzata.

In che modo l’autrice affronta il tema dell’esclusione e del suo impatto psicologico?

Roberta Calandra:Dal punto di vista che mi ha suggerito lo studio delle Costellazioni Familiari, che ha tra i suoi cardini il concetto di esclusione da un sistema. Hellinger stesso, che le ha create, ha scoperto come l’esclusione di un membro della genealogia possa ricadere sui discendenti della stessa: segreti indicibili, temi tabù quale il figlio illegittimo, gli stupri, abusi fisici e psicologici, il sesso tra religiosi, la pedofilia, il suicidio, l’infanticidio, la reclusione in carcere o manicomio, le perdite economiche e tanto altro possono creare una sorta di “ostruzionismo energetico” sulla vita del discendente, che il gruppo di lavoro (ancora una volta il gruppo!) manifesta, alleggerisce e ripara in qualche forma. Ma preferisco restare sullo spettacolo, perché il tema è troppo vasto ed esistono persone che vi hanno dedicato la vita intera, io ne ho un’esperienza forte e legalità di esercizio e mi tocca profondamente una visione nella quale in un sistema tutto avviene comunque per Amore, anche se spesso è un amore difficile, che non assume i tratti che comunemente intenderemmo.
Quale significato psicologico assume il concetto di “persone senza pelle” nel contesto dell’opera?

Roberta Calandra Esiste un comune denominatore tra di loro: una candida vitalità, una certa predisposizione a sensibilità estreme, esuberanti anche sessualmente come per RoseMary, introverse e tenere come Aldo Togliatti…Tutti hanno manifestato una “aperta diversità” rispetto al clan di appartenenza e per questo sono stati emarginati. La regia di Valentina Ghetti ha scavato nelle loro anime e io ho potuto mettere in azione un desiderio antico: approfondire i personaggi attraverso la loro relazione con gli attori proprio con il metodo delle Costellazioni Familiari. E’ stato splendido e vorrei proporlo come seminario strutturato. Ci ha colpito immensamente come tutti fossero affamati di amore e non disposti a perdonare. Ho appena conseguito il diploma in un’altra illustre tecnica di riequilibrio emozionale: le discipline analogiche che insegnano come lo scarico tensionale di amore e rabbia possa avere un impatto significativo e questa scena, grazie anche alla visione di Valentina Ghetti, ne trasuda.

Camilla Ferranti, Caterina Gramaglia, Alessio De Persio, Luca Di Giovanni, Dario Masciello, Leonardo Zarra, si sono dimostrati delle creature eccezionalmente plastiche e disponibili a trasfigurarsi per restituire queste verità complesse e inascoltate.

9. In che modo l’interazione tra i personaggi contribuisce alla loro crescita psicologica?

Roberta Calandra Facendoli sentire meno soli, allargando ferite di profonda vergogna esposte al sole della condivisione, facendo loro scoprire il valore della solidarietà, fino a trovare un riscatto dovuto all’essere visti dallo sguardo altrui. Uno sguardo empatico, compassionevole, totalmente altro da quello subito nell’infanzia e negli istituti di reclusione.
In che modo l’autrice affronta il tema del potere e del suo impatto psicologico sui membri “esclusi” della famiglia?

Roberta Calandra Semplicemente raccontando la loro vita. E’ un’evidenza inconfutabile e violenta.
Come si sviluppa il concetto di “lato ombra” delle famiglie illustri nella psicologia dei protagonisti?

Roberta Calandra Più che sviluppare un concetto la piece aziona dinamiche, rese vive e nobili dalla direzione e dall’interpretazione, tutti loro soffrono di una ferita da abbandono straziante e motivata. Conoscendo sulla mia, di pelle, il concetto Hellingeriano di “pecora nera”, ovvero quella che poi diventa d’oro e restituisce trasformazione all’intero albero (se sopravvive) so quanto può essere scomoda la narrazione del dolore, ,a qui è stata la chiamata primaria e, voglio sottolineare cruda, lirica, ma scevra da vittimismo. Liberatorio è il racconto dei fatti, liberatorio accostare queste esistenze straziate tra di loro, meraviglioso il risultato complessivo che spero venga amato, come anche i personaggi storici avrebbero voluto essere.
Quale messaggio psicologico vuole trasmettere l’opera riguardo all’accettazione delle proprie peculiarità e fragilità?

Roberta Calandra: E’ sempre un po’ rischioso e imbarazzante parlare di messaggi predeterminati, mi sento felice quando la vicenda del personaggio, tanto più se reale, tocca il cuore dello spettatore. Ma credo che in un momento sociale così incattivito, economicamente davvero folle e delirante, quello sì, la tenerezza di sensibilità differenti possa emozionare e far riflettere meglio sulle proprie che nascondiamo giornalmente per conformismo sociale e paura del giudizio. Più che alle rivoluzioni politiche, che secondo me a breve inevitabilmente arriveranno, perché troppe misure sono colme, la propria rivoluzione umana, la ricerca del Graal interiore, l’opera al rosso di distillazione animica, sono la strada maestra e partono dalla materia brutale di cui siamo fatti.

Come cambia la dinamica familiare quando un membro soffre di un disturbo psichico?

Roberta Calandra Personalmente vengo da una madre devastata psichicamente, e uccisa da se stessa e dalle cure del tempo, che purtroppo rischiano pericolosamente di tornare in auge. La famiglia ne è devastata e resta attenzione solo per il membro malato della famiglia al quale si cede la propria energia, non aiutandolo. Ma questo non è il caso dei nostri esclusi: loro sono stati fatti scomparire e noi li abbiamo ripostati all’esposizione di uno sguardo portatore di dignità e valore.

Un’intervista lunghissima ma avrei ancora altre domande, ne faccio solo una: che cosa vi aspettate dal pubblico?

Roberta Calandra Che vengano in tanti e passino parola, che escano commossi e divertiti, toccati nella propria intima zona di esclusione e disagio, che tutti in qualche modalità culliamo, con il senso di un riscatto, poetico ma inevitabilmente doloroso.

In che modo l’esperimento riflette le dinamiche psicologiche dei personaggi?

Valentina Ghetti Innanzitutto, mi sono ispirata a un esperimento psicologico riconosciuto dalla comunità scientifica, la Strange Situation Procedure di Mary Ainsworth, sviluppato in collaborazione con John Bowlby. Questo esperimento, legato alla psicologia infantile e dello sviluppo, analizza i sistemi di attaccamento. Consiste nel collocare un bambino e la madre all’interno di una stanza chiusa, osservati da un team attraverso telecamere o vetri unidirezionali, in modo che gli osservatori possano monitorare senza essere visti. Durante l’esperimento, si analizzano le reazioni del bambino a specifici stimoli e input. Per Gli Esclusi, ho creato una trasposizione di questo esperimento. I nostri sei protagonisti, pazienti di un manicomio, vengono sottoposti a stimoli e input continui. Accettano di partecipare a questo esperimento per motivi economici e si ritrovano, per la prima volta, a interagire con altri individui che condividono la loro condizione di reclusione nell’ospedale psichiatrico.Ogni personaggio, chiuso nella propria “stanza” simbolica e concreta, reagisce agli input in base alla propria psicopatologia e condizione fisica. L’esperimento diventa quindi un mezzo per esplorare e mettere in scena le dinamiche psicologiche e le vulnerabilità di ciascuno, rivelando non solo le loro peculiarità ma anche i punti di contatto umani e universali.

Come si manifesta la fragilità emotiva nei personaggi nel corso dell’opera?

Valentina Ghetti Questi sei personaggi, in quanto esclusi, incarnano ognuno un archetipo di fragilità, sebbene per ragioni differenti. La loro fragilità non si sviluppa in un percorso lineare; è presente fin dall’inizio e si manifesta in modo immediato. Tuttavia, il viaggio emotivo che affrontano è un percorso a ritroso, che li porta a scavare nei propri traumi e nelle proprie vulnerabilità.Man mano che l’opera avanza, i traumi emergono attraverso i racconti dei personaggi e gli stimoli dell’esperimento. È in questo processo che la loro fragilità si trasforma. Il modo in cui ognuno trova la forza per affrontare e dare voce a queste ferite diventa il fulcro del loro cambiamento. La fragilità, poco a poco, si trasforma in risorsa, diventando la loro vera forza.

Come si sviluppa il processo di autoscoperta e accettazione tra i sei protagonisti?

Valentina Ghetti Mi verrebbe da dire, in modo semplice, “mal comune, mezzo gaudio”. Nel ritrovarsi, i personaggi scoprono che ognuno di loro porta con sé traumi profondi e dolori che emergono gradualmente nel corso dell’opera. Più che un processo di accettazione individuale, ciò che emerge è il potere della condivisione: la consapevolezza che anche l’altro soffre crea un terreno comune che rafforza le loro esperienze e li unisce.Attraverso questa dinamica, la pièce teatrale vuole mettere in luce come il riconoscersi nelle fragilità altrui possa trasformarsi in una forma di solidarietà, permettendo ai protagonisti di affrontare i propri demoni insieme, piuttosto che isolarsi nel dolore.

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Come viene rappresentato il conflitto tra il desiderio di normalità e l’espressione dell’unicità?

Valentina Ghetti In realtà, nessuno dei personaggi vive un vero e proprio conflitto con il desiderio di normalità. Allo stesso modo, mi verrebbe da dire, nessun essere umano che si percepisca “diverso” desidera davvero essere normale. Il punto non è il voler essere normali, ma piuttosto il conflitto e le difficoltà nel riuscire a esprimere se stessi liberamente, senza dover portare sulle spalle un peso o un giudizio opprimente.Il desiderio dei protagonisti non è quello di conformarsi, ma di poter essere autenticamente sé stessi, senza che questa autenticità diventi un fardello. Alla fine, questo ci spinge a riflettere su una domanda più profonda: cosa significa davvero essere normali?

Come si manifesta il tema della maledizione familiare nella psicologia dei personaggi?

Valentina Ghetti La risposta è semplice: i personaggi stessi sono la manifestazione della maledizione familiare. Essi incarnano, sia interiormente che esteriormente, questa sorta di condanna che l’algoritmo della vita ha fatto ricadere su di loro. Non c’è un giudizio morale o una ricerca di colpevolezza. La maledizione familiare non è altro che una legge di natura, qualcosa che esiste e si trasmette inevitabilmente. I personaggi non combattono per sfuggirvi, ma per accettare e convivere con questo lascito che li ha profondamente segnati.

Quale ruolo giocano l’amore e la solidarietà nel processo di guarigione?

Valentina Ghetti L’amore e la solidarietà sono la chiave di speranza che cerchiamo di trasmettere con quest’opera. Sono le relazioni, i rapporti umani, la complicità e la solidarietà con gli altri che hanno il potere di curare. Questo è forse il punto centrale di riflessione, ma anche di denuncia, rispetto al percorso all’interno di un istituto psichiatrico: ciò che portiamo avanti come valore è il rifiuto dell’isolamento. Siamo esclusi quando siamo isolati, e questo vale per chiunque. È nell’isolamento, metaforico o reale, che ci sentiamo tagliati fuori dalla società. Tale condizione impedisce il contatto umano, che è invece l’unica chiave di salvezza. Solo attraverso l’altro possiamo trovare la forza per affrontare un dolore o perdonare un trauma ricevuto. Il contatto, l’amore e la solidarietà diventano così strumenti essenziali per guarire l’anima.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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