In scena dal 29 novembre al 1 dicembre 2024 al Teatro Trastevere di Roma l’opera “Food Porn” per la regia Andrea Martella da un testo di Marco Cecili. Tra gli interpreti troviamo: Giorgia Coppi, Vania Lai, Simona Mazzanti, Walter Montevidoni, Vlad Silter, e ancora Aurora Matarazzo, Eleonora Montevidoni.
 

In scena agiscono tre sorelle che sembrano aver perso ogni contatto col padre, imprenditore di successo nel campo della ristorazione, uomo di grande potere e di immensa ricchezza, grazie ad un impero costruito attraverso una gestione poco etica delle risorse ambientali e alla bassa qualità delle materie prime. Una famiglia problematica e conflittuale, nella quale non si fa fatica a notare un’assenzataciuta ma reale, quella della madre. Tra questi inquieti personaggi fluttua una figura eterea, muta, leggera, che sembra in grado di riconnettere i ricordi e attraversare i confini del tempo e dello spazio.

L’originale, acida pièce di Hangar Duchamp indaga i mali delle relazioni familiari nelle quali l’autorità si manifesta attraverso il cibo, vissuto e imposto al di là della sua funzione nutrizionale. Cibo come strumento di controllo di massa, potente indicatore e amplificatore di differenze economiche e sociali. Il risultato di questa singolarità del nostro presente è che non mangiamo per appetito né per bisogno, ma per status, senza sentire il gusto: lo facciamo con gli alimenti, con le relazioni, con le informazioni, con la vita stessa.

Quello di Hangar Duchamp è un teatro che nasce dal corpo e dall’azione, performativo e travolgente, dove la narrazione stessa è sfumata in nome della ricerca di un’espressione corporale prima che psicologica, evocativa prima che descrittiva. I testi, scritti ed elaborati da Marco Cecili durante le sessioni creative della compagnia, richiamano e reinterpretano il non-sense dadaista di inizio novecento, creando una perfetta base concettuale per la regia onirica e sempre fortemente fisica di Andrea Martella, amplificata dall’ambiente sonoro originale di Attila Mona, pensato e composto per lo spettacolo come un personaggio aggiuntivo, costante nella presenza e avvolgente nella struttura.

Abbiamo intervistato il regista Andrea Martella che ci dice parlando del suo lavoro: “Sono felicissimo di tornare in un teatro che ha sempre creduto nel lavoro di questa compagnia, a partire dal 2018, anno del debutto assoluto con la prima messa in scena del capolavoro dada di Tristan Tzara, Il Cuore a Gas. Da allora tutte le regie del primo progetto di Hangar Duchamp, la trilogia dell’avanguardia, sono state ispirate dalla particolare conformazione di quel palco, trasversale, decentrato, con le pedane su più livelli. L’idea di portare Food Porn in questo contesto così atipico (e a me così familiare) mi stimola moltissimo, è una specie di ritorno a casa e nello stesso tempo una sfida, perché non ho alcuna intenzione di adattare lo spettacolo a un diverso spazio, ma voglio sfruttare l’occasione per dare una nuova vita ai personaggi e ad alcune azioni che in quel contesto, in quella situazione, possono esondare rispetto alla prima messa in scena. L’idea, insomma, come più o meno ho sempre cercato di fare, è di sfruttare le caratteristiche dell’architettura del teatro come un’opportunità, per rendere ogni performance di questa compagnia in qualche modo site specific”.

E ancora ….

Cosa l’ha ispirata a dirigere uno spettacolo che esplora il tema del cibo come strumento di controllo e indicatore sociale?
Avevo in mente da diverso tempo di affrontare in teatro questo tema. Mangiare è da sempre qualcosa di più di un semplice bisogno, è un’attività che racchiude una simbologia molto forte, dall’aspetto più scientifico e biologico del “siamo ciò che mangiamo” a quello filosofico e religioso (pensoall’importanza attribuita, ad esempio, nel cristianesimo all’ultima cena). Oggi sono in parte spaventato e in parte affascinato da come la cucina sia diventata uno show, io stesso posso essere un critico culinario se faccio una recensione su un ristorante su Google o uno chef se faccio una diretta sui social mentre preparo, magari pure male, una bruschetta al pomodoro. Follia. Una delle tante contraddizioni dei nostri tempi.

Come ha collaborato con Marco Cecili per sviluppare il testo dello spettacolo durante le sessioni creative della compagnia?
Avevo in testa alcuni quadri e piccoli frammenti di azioni dai quali partire. Persone che osservano un pacchetto di patatine, un panino che viene costruito a partire da ingredienti scadenti, cibo in scatola che viene ingurgitato con voracità, cose così. Avevo bisogno di parole, di una narrazione. Marco è un autore che conosco da molto tempo, ha scritte tante cose in passatocon una forma molto personale e un gusto ironico e surrealeche poteva dialogare con l’approccio di questa compagnia pur distaccandosene in modo evidente. Ho creduto nella suacuriosità e nella capacità di entrare in contatto con realtà distanti dal suo stile e per questo gli ho proposto questa sfida. Ha seguito tutta la prima fase di lavoro con la compagnia, le prime improvvisazioni e sperimentazioni sul tema da me proposto, su questi piccoli quadri che avevo in mente e, a partire da ciò, ha elaborato e strutturato il copione, riuscendo ad intuire la direzione che stavamo prendendo e quello che volevamo ottenere e scrivendo qualcosa che, per questo, proviene realmente dal nostro interno. Un dialogo tra diversità che, come spesso succede, esalta la reciproca identità.

Può spiegarci come il suo approccio alla regia, definito “onirico e fortemente fisico”, si manifesta concretamente in “Food Porn”?
Cercare azioni quotidiane ed inserirle in un contesto diverso dalla loro funzionalità è una parte fondamentale della mia ricerca come regista. Sulla scena questo, spesso, si manifesta con un distacco evidente (ma solo apparente) tra gesto e parola. Come nei sogni, che sono sempre un po’ sconnessi. Riguardo alla fisicità, amo le azioni più dei dialoghi e dei monologhi. Ora, riguardo a Food Porn, se pensiamo che mangiare è proprio un’azione, vediamo che in quanto azione è già di per sé un fatto teatrale.

In che modo la figura eterea e muta presente nello spettacolo contribuisce alla narrazione e all’atmosfera generale?
E’ una presenza misteriosa che spesso sembra essere invisibile a quasi tutti gli altri personaggi ma che in qualche segreta maniera ne influenza le azioni e le scelte. Rappresenta la nostra predisposizione a prenderci cura di quello che siamo, delle nostre idee, delle nostre convinzioni e dei nostri sogni. Accoglierlo o respingerlo fa tutta la differenza del mondo, in questa storia di fantasia come nella realtà.

Come ha lavorato con gli attori per creare un’espressione corporale che precede quella psicologica dei personaggi?
In Hangar cerco di costruire le mie regie proprio a partire da ciò che materialmente fa il corpo, invece che concentrarmi troppo su come vengono dette le battute. Forse è questo fatto a portarechi recita con me ad interpretare quelle parole e quelle frasi in modo diverso da come aveva in mente all’inizio, in lettura. Il corpo guida la voce, sempre.

Può parlarci della decisione di includere due attrici di Hangar Lab e come questo si integra con il resto del cast?
Hangar Lab, cioè la sezione under 30 della compagnia, nasce proprio con l’idea di trasmettere a persone giovani questo approccio al teatro e le idee che ci stanno dentro. E’ un gruppo di formazione ma anche una compagnia a sé stante, con un suo percorso specifico. La possibilità di integrare una parte di loro nei cast degli spettacoli di Hangar Duchamp è, dal mio punto di vista, un arricchimento reciproco e un’opportunità nella quale credo molto.

In che modo l’ambiente sonoro di Attila Mona interagisce con la performance degli attori e la regia?
Attila è un musicista, produttore e ingegnere del suono che dadiversi anni coinvolgo nella creazione di ambienti e musiche originali per gli spettacoli di Hangar Duchamp. E’ un artista con una spiccata empatia e sensibilità e questo gli fa sempre trovare il modo di entrare con personalità e coerenza in quello che mettiamo in scena. Il suo commento è quasi un personaggio aggiuntivo. Ogni singola volta, anche in passato, che in una prova sono arrivate le sue tracce, il nostro mondo è cambiato e sempre in meglio. Non sono colonne sonore, è un luogo nel quale si entra e si sta.

Come affronta il tema delle relazioni familiari disfunzionali attraverso la metafora del cibo in questo spettacolo?
Com’è andata? Hai fatto i compiti? Hai mangiato? Anche se un istante dopo mi pento di queste domande, io stesso mi ritrovo a farle a mio figlio di 7 anni quando vado a prenderlo a scuola.Soprattutto il cibo rappresenta spesso un pesante controllo genitoriale su persone che, per la loro età, per le responsabilità che sentiamo verso di loro, facciamo fatica a considerare libere e capaci di fare scelte per proprio conto. E’ un grosso problema. In Food Porn, in particolare, abbiamo una situazione familiare molto difficile, con tre sorelle, una madre che non c’è più e un padre, totalmente assente, chef e imprenditore di grande successo e dubbia moralità, un uomo che ha preferito lacarriera e il potere al rapporto umano con le figlie. Il cibo, in quella famiglia, è il simbolo e la rappresentazione visibile di una grande sofferenza.

Quali sfide ha incontrato nel ricreare “Food Porn” per il palco particolare del Teatro Trastevere?
Amo il palco del Teatro Trastevere, decentrato e con le pedane su più livelli. Non è una sfida portare lì questo spettacolo, è un’opportunità.

10. In che modo lo spettacolo riflette o reinterpreta il non-sense dadaista di inizio novecento?
Credo sia dovuto al testo. Sono un po’ colpevole di questo, avendo spinto l’autore a una scrittura molto astratta, a tratti apparentemente senza logica e piena di metafore e immagini. Credo che questo, in particolare, sia stato a lui ispirato dall’aver visto la nostra messa in scena del capolavoro dada Il Cuore a Gas di Tristan Tzara. Sono felicissimo che sia riuscito a creare una sintesi tra la scrittura di un secolo fa di questo genio totale e la nostra sensibilità contemporanea. Il dadaismo per me è un faro illuminante ancora oggi. Dada is not dead.

Può spiegarci come intende rendere questa performance “site specific” per il Teatro Trastevere?
Cerco sempre di sfruttare le potenzialità offerte da ogni struttura architettonica in cui mi trovo. Decidere di spostare alcune azioni usando gli spazi dei corridoi, le nicchie fuori dal palcoscenico, le scalette, a volte anche le biglietterie e i foyer, fa parte della pratica di Hangar Duchamp. Lo facciamo al Teatro Trastevere come lo faremmo in qualunque altro posto.

Quali elementi dello spettacolo pensa che possano “esondare” in questo nuovo contesto teatrale?
Il Trastevere è uno spazio che permette di recitare a stretto contatto col pubblico, in una dimensione molto intima e per certi aspetti magica. In Food Porn si alternano momenti di grande quiete ad altri con accenti forti, grotteschi, ironici e azioni che possono essere disturbanti. Credo possano essere esaltate tutte queste caratteristiche.

Come si collega “Food Porn” ai precedenti lavori di Hangar Duchamp, in particolare alla trilogia dell’avanguardia?
Dopo aver studiato dal dadaismo di Tristan Tzara, dal surrealismo di Apollinaire e dalla metafisica di Alberto Savinio, è ora di metterci alla prova e vedere se e cosa abbiamo imparato. Questa è la spinta che ci ha portato al nostro primo spettacolo originale.

In che modo lo spettacolo critica o commenta l’attuale cultura del cibo e del consumo?
E’ un argomento complesso. Quando facciamo la spesa, oltre a fare scelte di gusto, decidiamo un po’ anche da che parte stiamo. Il prodotto alimentare che infiliamo nel carrello contribuisce ad un sistema economico che prevede chi e come ha prodotto gli ingredienti, chi e come li ha assemblati o precotti, chi e come li ha confezionati e chi ha stabilito quale costo dovessero avere. Una catena infinita che ha che fare con la politica, l’economia e l’ambiente. Non voglio che andare al supermercato diventi un’azione pesante e difficile, abbiamo già tanti problemi, ma penso che servirebbe, da parte nostra, una maggiore predisposizione ad informarci e conoscere, per poi fare scelte consapevoli. Invece consumiamo cibo con la stessa modalità con cui leggiamo e crediamo a notizie senza controllarne le fonti, viviamo relazioni senza sentimenti, facciamo lavori che non ci piacciono, mettendo tutto dentro il carrello della nostra vita e aspettando solo di sentire il bip alla cassa e di tirare fuori la carta di credito. E’ un peccato.

Quali reazioni o riflessioni spera di suscitare nel pubblico con questo spettacolo?
Molte persone escono disturbate e sconcertate, lo comprendo, molte altre ci hanno riportato emozioni forti e riflessioni sul loro modo di mangiare e più in generale di affrontare la vita. Penso che il teatro, come tutte le forme d’arte, sia un veicolo di domande e questioni. Generare un dubbio, una perplessità, ha per me lo stesso valore di dare origine a una fascinazione. Come dico sempre, dal disprezzo all’amore va bene tutto, fa tutto parte del gioco. Solo l’indifferenza è la nemica da evitare.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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