È il 2013 quando il mistero inizia. Elisa Lam, giovane studentessa canadese di origini asiatiche, arriva a Los Angeles per un viaggio da sola. È piena di sogni, di voglia di esplorare, di scrivere la sua storia. Ma quella storia si interrompe bruscamente in un luogo che, già da solo, evoca inquietudine: il Cecil Hotel. Un edificio dal passato oscuro, teatro di suicidi, omicidi, presenze inquietanti. Un luogo che sembra trattenere i fantasmi di chi vi ha soggiornato.
L’ultima immagine di Elisa è in un video diventato virale. È nell’ascensore dell’hotel. I suoi gesti sono strani, i movimenti confusi, lo sguardo spaventato. Come se stesse fuggendo da qualcosa. O qualcuno. Ma nessuno compare. Solo lei, nel silenzio di quelle porte che si aprono e chiudono, come un respiro angosciante.
Poi, il silenzio. Elisa scompare nel nulla. Per giorni nessuna traccia, nessuna risposta. Finché un dettaglio inquietante fa scattare l’allarme: gli ospiti dell’hotel segnalano un sapore strano nell’acqua. I tecnici salgono sul tetto. E lì, dentro uno dei serbatoi, trovano il corpo senza vita di Elisa. Nuda. Senza segni evidenti di violenza. Senza una spiegazione logica. Ma con troppe domande sospese.
In questo primo episodio di Caffè Criminale, Barbara Fabbroni ci guida in una narrazione intensa, evocativa, investigativa. Entra nella psiche fragile di Elisa, nelle ombre di una mente che lotta con il disturbo bipolare, nelle pieghe oscure di un luogo che sembra alimentare le paure più profonde.
Cos’è successo davvero in quell’ascensore? Perché le porte non si chiudevano? Cosa ha visto Elisa che noi non possiamo vedere? È stato un gesto volontario, un errore, o c’è qualcosa che sfugge alla ragione?
Caffè Criminale non è solo cronaca. È introspezione, è immersione nell’inquietudine dell’animo umano. È un sorso di mistero che ci lascia l’amaro in bocca e mille interrogativi. Perché il male, a volte, non urla. Ma sussurra dietro una porta che si apre… e non si chiude più.