Denaro, status, silenzi. Quando l’omicidio indossa l’abito buono.
Il crimine non ha classe, ma a volte ha un avvocato migliore.
Omicidi, abusi, sparizioni. Non sono solo storie di periferia o degrado. Esistono anche tra i salotti dorati dell’alta società, nei palazzi della politica, tra i corridoi del potere. Solo che lì, spesso, non si vedono. O si insabbiano. I cosiddetti “crimini d’élite” hanno un’ombra lunga e silenziosa. Perché quando a uccidere – o a coprire – è qualcuno che ha potere, influenza, conoscenze, la giustizia inciampa. E a volte, cade.
Il caso Montesi: scandalo in abito da sera. 1953. Il corpo di Wilma Montesi, 21 anni, viene ritrovato su una spiaggia nei pressi di Capocotta. La morte sembra accidentale. Ma qualcosa non torna. Emergono voci su feste esclusive, droga, sesso, e partecipanti eccellenti: attori, nobili, politici. Tra i nomi spunta quello del figlio del Ministro degli Esteri. L’Italia, in pieno boom postbellico, trema davanti a un’ipotesi: le élite uccidono… e si proteggono.L’inchiesta viene depotenziata, i testimoni screditati, i giornalisti intimiditi. Nessun colpevole. Solo un cadavere sulla sabbia, e un Paese più cinico.
La morte di David Rossi: suicidio o silenzio di Stato?
Siena, 2013. David Rossi, capo della comunicazione del Monte dei Paschi, precipita dalla finestra del suo ufficio. La versione ufficiale parla di suicidio. Ma video, testimonianze e incongruenze gridano altro. Rossi aveva le chiavi di segreti bancari, politici, finanziari. Le sue mail preoccupate. Le sue richieste di aiuto. Il corpo con ferite compatibili con un’aggressione. E un orologio gettato dopo la caduta. Il caso è stato archiviato. Due volte. Ma l’opinione pubblica continua a chiedere: “Chi aveva interesse a farlo tacere?”
Quando il potere sa sparire.
Ci sono omicidi che sembrano avere un colpevole con l’impermeabile dell’impunità. Chi ha soldi, può comprarsi il silenzio. Chi ha potere, può manipolare la narrazione. Chi ha agganci, può rallentare indagini, pilotare perizie, screditare testimoni. Ciò che nelle classi popolari viene subito etichettato come delitto, nelle classi alte diventa “fatalità”, “incidente”, “dramma personale”.
I titoli dei giornali cambiano tono. Le parole diventano più morbide. E la verità, più lontana. La giustizia diseguale. La legge è uguale per tutti. Ma non sempre lo è la possibilità di aggirarla, di piegarla, di ingannarla. I crimini commessi o coperti da persone influenti minano la fiducia collettiva nello Stato. Non solo perché restano impuniti. Ma perché dimostrano che la verità non basta, se chi la pronuncia non ha voce abbastanza potente. La giustizia dovrebbe essere cieca. Ma in questi casi, è spesso miope.
Il sangue su cravatte e tailleur.
Il crimine, quando veste elegante, è più difficile da scoprire. Perché non urla. Non sporca. Non si fa arrestare facilmente. Ma lascia tracce sottili: silenzi, ritardi, indagini monche. Ecco perché i crimini d’élite sono i più pericolosi. Perché uccidono due volte: la vittima, e la verità.









