Garlasco: emerge una nuova traccia sulla scena del crimine

Il delitto di via Pascoli sembra non voler smettere di parlare. Ogni volta che i faldoni polverosi dell’inchiesta vengono riaperti, da quelle pagine escono ombre nuove, dettagli dimenticati, voci che chiedono ancora ascolto, incongruenze, errori, molti errori. È come se la villetta di Garlasco fosse rimasta cristallizzata nel tempo: le stanze silenziose, il portone socchiuso, il corpo di Chiara Poggi riverso nella cantina. Ma non tutto, forse, è stato detto. Oggi con la riapertura delle indagini da parte della Procura di Pavia stanno emergendo incongruenze, errori, aspetti non attenzionati.

C’è un frammento invisibile che riemerge dagli atti, un dettaglio che inquieta: una traccia biologica femminile. Non appartiene a Chiara. Non appartiene a chi, ufficialmente, avrebbe compiuto quell’omicidio. Eppure è lì, fissata nei punti nevralgici della scena del crimine.

La maniglia della porta a soffietto della cantina.

La leva del miscelatore del bagno.

Il portone d’ingresso.

Tre luoghi che raccontano tre momenti diversi: la discesa nell’oscurità, forse il tentativo di lavarsi dal sangue, la fuga. E su ognuno di essi rimane impressa la presenza di qualcuno che non avrebbe dovuto esserci.

Quella traccia genetica venne repertata nei primi sopralluoghi dal Ris di Parma, ma non fu mai decifrata fino in fondo. Troppo debole, dissero. Un profilo parziale, incapace di rivelare un nome. E così rimase nei cassetti, sepolta tra numeri e sigle, mentre le indagini correvano altrove, verso un’unica direzione. Eppure quel profilo parziale fu adeguato per la comparazione con il DNA della vittima. Perché è stato ritenuto inadeguato per altre indagini?

Se ci si ferma a riflettere, quella presenza silenziosa inquieta, turba e ci impone un’infinità di domande, di dubbi, di perché. Chi era quella donna? Una conoscenza passata per caso nei giorni precedenti? Una testimone inconsapevole? O qualcos’altro, di molto più oscuro?

Il fascino e la maledizione del caso Garlasco sono tutte lì: nelle zone grigie, nei buchi neri di un’inchiesta che ha voluto chiudere il cerchio creando un abito sartoriale sul fidanzato della vittima. Alberto Stadi condannato a 16 anni di carcere con un processo indiziario che fa acqua da tutte le parti. Questa vicenda oggi sta svelando ogni angolo oscuro, ogni anfratto lasciato in sospeso aprendo uno spiraglio che è diventata un’autostrada che porta con sé nuove domande come il caso di questo DNA femminile.

Allora ci chiediamo perché proprio su quelle superfici – la porta, il rubinetto, il portone – si concentra la presenza di quel Dna sconosciuto? Perché nessuna verifica di esclusione fu mai condotta su tutte le donne che frequentavano casa Poggi? E soprattutto: cosa accadrebbe se oggi, con le nuove tecniche, quel codice silenzioso trovasse finalmente un volto?

A Garlasco il tempo sembra essersi fermato al 13 agosto 2007. Ma il Dna non mente, non svanisce. È lì, come un graffio inciso nel vetro, pronto a raccontare un’altra verità. Forse la più scomoda. Forse la più vicina alla realtà. Forse è arrivato il momento di scrivere una nuova narrazione, una narrazione vera, autentica che porti alla luce la verità non una verità.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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