Andrà in scena al Teatro Trastevere in Roma l’opera “Volevo essere Madame” per l’adattamento e la regia di Lucia Ciardo. Tra gli interpreti troviamo: Lina Zirpoli, Barbara Sirtoli.
“Voler essere qualcun altro è uno spreco della persona che sei” (Kurt Cobain).
L’opera è la versione psichedelica e contemporanea delle “Serve” di Jenet,una riscrittura che si perde nei simboli di due donne vinte dal loro narcisismo e in balia della fantasia compulsiva di voler essere al centro dell’attenzione. Non avendo coscienza di sé e delle proprie risorse, si credono qualcun’altra, sperando di “ritrovarsi” magicamente come in uno specchio. Da vittime a carnefici fino all’esecuzione finale, le due protagoniste trasformano il loro luogo di povertà nel set luccicante di una fiction, sovraesposte e sotto osservazione, come in un Grande Fratello.
La regia disegna un quadro grottesco e passa da momenti brillanti ad altri di più intima disperazione, l’azione scenica è dinamica, a tratti vorticosa come la giostra di un luna park.
Abbiamo intervistato la regista Lucia Ciardo.
Cosa l’ha ispirata a creare questa versione psichedelica e contemporanea de “Le serve” di Genet?
Sono sempre stata affascinata dal testo di Jenet per la sua ambiguità e sincerità allo stesso tempo. E’ un testo che mette in crisi perché è tutto e il contrario di tutto e per questo dà adrenalina. Come il viaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie dove stupore e paura spesso si confondono. Insomma il ritratto della società contemporanea, bulimica, drogata di chimere illusorie pur di sentire che esiste.
Un’occasione ghiotta per me descrivere in modo grottesco due personaggi esaltati come se fossero sempre sotto effetto di droghe leggere. Il risultato è spesso esilarante.
Come ha affrontato il processo di adattamento del testo originale per renderlo più attuale?
Mi ha intrigato la concezione di Jenet sulla recitazione e la sua idea fortissima per cui il racconto altro non è che una “favola, bisogna crederci e rifiutarsi di crederci”. Anticipa il testo con una serie di indicazioni che le attrici devono seguire per restare sempre al di sopra delle parti e di sé stesse. Sono partita da qui per porre l’accento sulle parti disturbate delle due protagoniste in maniera brillante e leggera, perché Il testo di Jenet è difficile, barocco e complesso ma, il racconto è attualissimo, narra di due donne apparentemente sane che uccidono l’oggetto del proprio desiderio. Evoca tanti episodi attuali.
Ho lavorato sul macro tema dell’eros del potere del testo originale e l’ho adattato spostando i tempi di narrazione degli eventi ed eliminando le lunghe descrizioni narrative per privilegiare i momenti di conflitto e di brillante complicità delle due protagoniste che cercano a tutti i costi di essere Madame. Ho riscritto alcune parti a servizio di una maggiore fluidità del linguaggio e eliminato il personaggio della Signora (Madame) in carne ossa lasciandola in scena attraverso un cartonato che la rappresenta e verso cui tendono le serve, perché innamorate di lei. Mi diverte molto rappresentare la tendenza ormai diffusa di creare dei feticci e amarli come persone reali. Inoltre ho scelto di far vivere la storia delle Serve in un contesto diverso dall’originale e che si scoprirà solo alla fine.
Quali sono i temi principali che ha voluto esplorare in questa riscrittura?
Il narcisismo cieco che legittima atti estremi. Che copre il dolore inascoltato, perché le protagoniste sono cresciute in stato di servitù e non hanno mai avuto la possibilità di scoprire e dichiarare i propri desideri. L’ambizione di arrivare al successo cercando di diventare qualcun altro, la solitudine pericolosa che ne deriva e che porta a compiere gesti folli. Cioè…il male dell’epoca moderna che istiga ad essere tutti sotto i riflettori che spesso masticano le vite degli esseri umani per buttarle via poi, senza pietà.
Come descriverebbe il percorso emotivo delle due protagoniste nel corso dello spettacolo?
Le protagoniste vivono ogni giorno lo stesso rituale: interpretare a turno la Madame per sentirsi vive e non più Serve nell’oblio. E’ una ricerca bulimica, disperata, come camaleonti cercano di diventare tutto ciò che non sono assumendo respiri, gesti, sguardi, modo di parlare, vestiti della Madame spartendosi tutto, ora con affetto, ora con odio represso nel tentativo di emergere l’una sull’ altra agli occhi della propria padrona e del mondo. Il crescendo di tensione tra le due rivelerà lo stato alterato delle loro coscienze fino a contemplare il massimo sacrificio, pur di passare alla storia.
In che modo il narcisismo e la ricerca dell’attenzione influenzano i personaggi e la trama?
Sono aspetti che definiscono le protagoniste e le loro azioni, anche se in maniera inconsapevole. Tutto ciò che fanno è spinto da una necessità di riscatto e dalla pretesa di essere guardate e ammirate. Mettono in piazza i sentimenti più abietti e le pulsioni più forti dell’essere umano, sovraesponendosi senza ritegno e in maniera infantile
Quali elementi scenografici e di costume ha utilizzato per creare l’atmosfera “psichedelica” dello spettacolo?
La scenografia, fiore all’occhiello, firmata da Lina Zirpoli (che è anche una delle due protagoniste) e Giovanni Valgimigli, traduce perfettamente la mia idea di un luogo ovattato e patinato, con elementi e accessori dai colori pop e l’ausilio di due telecamere finte che rappresentano i riflettori di un set cinematografico con costumi glamour, luccicanti.
Le telecamere permettono alle protagoniste di vivere come sul set di una fiction, il resto è monocromatico perché in finale si scoprirà essere altro luogo.
Come ha lavorato con le attrici Lina Zirpoli e Barbara Sirtoli per sviluppare i loro personaggi?
Il processo è stato faticoso ma ne è valsa la pena, perché le due attrici sono chiamate da testo ad interpretare 3 personaggi a testa, il proprio, quello della sorella e quello di Madame. Insomma una follia ma che tutte le attrici desiderano vivere. Lina e Barbara si sono fidate della mia visione “esaltata” delle serve e si sono buttate a capofitto nella ricerca di due personaggi sempre a filo del grottesco eppure vere come due persone che potremmo incontrare nella nostra vita. Si sono fatte guidare con curiosità per arrivare ad amare due anime tenere anche se con “una psicologia perturbata”. Sensibili e stakanoviste, sono diventate due magnifiche versioni shocking di donne ridotte in servitù. Esilaranti e poetiche. Bravissime.
Qual è il significato della citazione di Kurt Cobain in relazione allo spettacolo?
“Voler essere qualcun altro è uno spreco della persona che sei” di Kurt Cobain è una frase che mi ha ispirato, perché semplifica la narrazione dei personaggi. Il testo di Jenet per me è il grillo parlante che sussurra all’orecchio che tutte e tutti possiamo essere serve-i insoddisfatti se non ci impegniamo a scoprire chi siamo e a rispettarci così come siamo.
Come ha integrato l’idea del “Grande Fratello” nella messa in scena?
E’ stato lampante: le protagoniste in ogni frase, ogni gesto spesso sospeso e “affralito” (fragile) come dice Jenet, sembra che stiano perennemente in posa, così come mi sembrano i protagonisti del Grande Fratello che anche nel gesto più quotidiano sanno di essere osservati perdendo la naturalezza dell’essere. Ecco l’idea di “esporre” le protagoniste sotto i riflettori di due finte telecamere verso le quali vivono spesso convinte di essere ammirate da un pubblico fuori dalla loro stanza, appagando il loro desiderio di essere al centro dell’attenzione.
Quali sono state le sfide maggiori nel dirigere uno spettacolo che oscilla tra momenti brillanti e momenti di intima disperazione?
La sfida più importante è stata mantenere una misura che non faccia diventare kitsch il risultato, trovare l’equilibrio tra surrealtà e verità per lasciare vivere due personaggi densi di emozioni forti.
Come ha lavorato sulla dinamicità dell’azione scenica, in particolare nei momenti “vorticosi”?
Le protagoniste seguono una partitura impegnativa di movimenti che liberano l’essenza dei personaggi, vivendo tutto lo spazio costruito dentro e intorno alla scenografia, spostandosi con ritmo a seconda dei cambi emotivi. I momenti più divertenti sono quando le protagoniste cantano in lipstick canzoni famose con un finto microfono con il volto appiccicato alla finta telecamera come prova di abilità e seduzione.
In che modo la scenografia contribuisce a trasformare il “luogo di povertà” in un “set luccicante di una fiction”?
Con la presenza delle telecamere microfoni, un materassino gonfiabile coloratissimo e una toletta appariscente perché disegnata con la carta stagnola, tutto dichiaratamente finto, Tutto è servito su elementi di scena grigi e essenziali che sveleranno in finale il luogo di detenzione dove vivono le protagoniste ed espressione della povertà interiore che vivono.
Quali tecniche registiche ha utilizzato per creare il quadro grottesco che descrive?
Considero il teatro un gioco. Serio ma, un gioco. Non amo il realismo naturalistico sulle tavole del palcoscenico ma, il segno evidente della finzione sul palco. Dove tutto però deve concorrere a rendere credibile ciò che viene rappresentato, tutto deve essere vero. Dalla scenografia ai costumi, allo stare in scena tutto può essere la rappresentazione di questo. Ecco il grottesco…che stupisce, diverte, commuove. Amo la musica e i miei spettacoli sono narrati spesso da interventi musicali che l’attore è chiamato a vivere come drammaturgia insieme alla prosa.
Come ha collaborato con il team creativo (costumista, scenografo, assistenti) per realizzare la sua visione?
Ho lavorato conscia di essere fortunata, perché lo staff ha la sensibilità, la competenza e la pazienza di tradurre le mie idee “fantasiose” per cui devono intuirne il senso per realizzare i miei intenti. Il risultato è eccellente Ringrazio tutti per questo!
Quale messaggio o riflessione spera che il pubblico porti con sé dopo aver visto “VOLEVO ESSERE MADAME”?
Spero sempre che lo spettatore vada via un po’ confuso e che si chieda il perché… quale sarà la sua risposta, la finzione del teatro avrà vinto, perché lo avrà svegliato dalla comodità di una certezza o di una convinzione e che tutto si può reinventare se ci si mette…in gioco.
“Quando scoprirai cosa sei, riderai di ciò che credevi di essere” (Budda Gauatama).