Una vita dedicata all’aiuto

La vita è una cosa unica ma, a volte, accade che presenti un conto significativo facendo sperimentare percorsi tortuosi e difficili. Allora, solo allora, ci rendiamo conto quanto sia importante l’appoggio di persone competenti ed empatiche come il corpo infermieristico che sostiene, aiuta e conforta oltre che aiutarci nella cura. Abbiamo intervistato l’infermiere del reparto di chirurgia pediatrica dell’azienda ospedaliera San Camillo Forlanini: Marco Zaccagnini.

Ci racconta di lei: che cosa fa e di che cosa si occupa?

Salve, sono un infermiere ormai dal 1993, per circa 16 anni ho lavorato

con pazienti adulti. Dal 2008 sono stato trasferito nel reparto di chirurgia pediatrica dell’azienda ospedaliera San Camillo Forlanini, dove, in questi anni, mi sono specializzato sia per tutte le patologie chirurgiche dei piccoli pazienti sia nel rapporto umano con genitori e bambini.

Ha ricevuto recentemente un premio prestigioso, quanta emozione?

Devo dire che è stata una bella sensazione quella di ricevere il Premia Assotutela Eccellenze Italiane.  È stato molto coinvolgente ed emozionante: con questo premio credo sia riconosciuto non solo il mio impegno ma quello di tutta l’equipe della chirurgia pediatrica del reparto dove da anni lavoriamo con dedizione. È un reparto particolare poiché non solo dobbiamo sostenere il piccolo paziente durante il suo ricovero ma anche i genitori che vivono insieme alla loro creatura una situazione nuova di grande stress. È significativo trovare sin da subito un punto di incontro.

Quanto è difficile il lavoro dell’infermiere?

Il lavoro di infermiere è una scelta consapevole, non è difficile, è molto differente dagli altri lavori. È fatto di responsabilità verso altri esseri umani, di empatia con chi nel giro di poche ore è stato catapultato in altra realtà. La paura diventa un compagno di viaggio e la fragilità ne è fedele amica. Il mio lavoro c’è chi lo considera una missione e forse lo è. È un lavoro fatto di rinunce, non ci sono feste o giorni dove si può decidere di non lavorare quando il turno chiama si va, sebbene l’impegno, la dedizione e la fatica è ripagata da molta gratificazione quando i nostri piccoli pazienti ci salutano guariti. Una cosa è certa: lavorare con i bambini è divertente.

Come ha conosciuto l’associazione Assotutela?

Questo premio è arrivato dopo molte iniziative di beneficenza fatte insieme al mio amico nonché presidente di Assotutela Michel Emi Maritato. Siamo nati nello stesso quartiere, abbiamo fatto percorsi di vita differenti, ci siamo persi un po’ di vista, quando poi Michel ha saputo che lavoravo con i bambini è iniziata questa collaborazione.

Assotutela e tutta la famiglia Maritato è molto presente nel mio reparto, non c’è ricorrenza o festa, dove i nostri bambini siano lasciati senza un dono.

Michele ormai è un personaggio. Con grande umiltà, quando viene a consegnare i regali, non ci sono telecamere o altro per lui l’importante è donare un sorriso.

Quanto è importante, oggi, prendersi cura del sociale?

Prendersi cura dell’altro è importante, permette di coinvolgere e avere relazioni piu’ vere con il solo intento di attribuire il giusto valore ad ogni essere umano senza prevaricare o imporre nulla.  La vita è bella, è un bene che va rispettato ad ogni latitudine.

Secondo lei le persone sono diffidenti nel dare aiuto all’altro? Perché?

Le persone non sono diffidenti nel dare aiuto, il vero problema è che la società di oggi spinge a guardare a sé stessi. Ci sono molte persone pronte a tendere un aiuto, una mano, ma la verità è che sono sempre troppo poche. Oggi viviamo con l’assillo del tempo, sempre frenetici, non pensiamo che quello che abbiamo è già sufficiente. Bisognerebbe andare più lenti e dedicare tempo a chi ne ha bisogno perché rende migliori.

Come arginerebbe il problema della violenza?

La violenza ha varie forme, spesso giunge a noi quella più eclatante e violenta, ma se prendiamo ad esempio il bullismo o lo stalkeraggio o soltanto una discriminazione scolastica, lavorativa o sportiva, sono forme di violenza nascoste che vanno combattute alla pari dei femminicidi delle violenze domestiche ecc. Nessuno ha il diritto di prevaricare fino a togliere il bene più prezioso e unico come la vita. Per fronteggiare tutto questo bisogna partire da un potenziamento delle basi culturali soprattutto quelle all’interno del nucleo familiare per poi proseguire anche in quello scolastico e sportivo, ma bisogna farlo da subito senza perdere tempo. Inoltre, credo sia fondamentale una buona prevenzione nel reprimere atteggiamenti aggressivi, anche e soprattutto, con la certezza della pena, perchè francamente leggo di sentenze con attenuanti assurde, possa ridurre in parte il fenomeno della violenza.

Che cosa pensa della generazione Z?

La generazione Z ha avuto la fortuna o la sfortuna (dipende dai punti di vista) di crescere nel boom tecnologico. Diversamente dalla mia generazione loto sono dei marziani, con un click arrivano ovunque, lavorano, studiano, giocano anche comodamente dal divano o senza alzarsi dal letto. La tecnologia, è innegabile, ci ha cambiato la vita: se pensiamo che ora si possono eseguire interventi di microchirurgia con dei robot o quanto ci ha aiutato durante il covid, ci rendiamo conto di quando sia essenziale.

La mia generazione è stata molto più fortunata, avevamo il muretto della comitiva dove non eri mai solo e non serviva una chat per riunirsi, ci si toccava di persona, oggi si è perso questo desiderio. I rapporti umani sono cambiati, è diminuita la voglia di incontrarsi, di passare del tempo insieme fisicamente e non solo su di uno schermo.

Quanta solitudine c’è oggi soprattutto in un percorso di malattia?

Guardi su questo argomento ci sarebbe un mondo da esplorare: la malattia è una cosa che già di per sé genera una chiusura.

Perché?

Perché vuoi o non vuoi sei tu che la fronteggi. La vicinanza dei familiari, degli amici, può contribuire ad allentare questa pressione ma credo che un individuo trovi molta più solitudine quando a mancare sono tutti quei presidi che accompagnano il malato durante il percorso della malattia. Una buona sanità, un buon sostegno economico, psicologico con strutture recettive e pronte ad accogliere chiunque ne abbia bisogno senza trafile inutili, la malattia si affronta meglio se c’è intorno un tessuto di assistenza valido.

In questo momento di che cosa si sta occupando?

In questo momento mi dedico al mio reparto: vorrei risolvere qualche piccolo inconveniente, per esempio vorrei applicare le zanzariere alle finestre visto che ci avviciniamo alla fase calda le zanzare non sono più quelle di una volta e poi cambiare i sostegni delle flebo quelle che abbiamo sono scomode per i bambini ci sono tante associazioni che possono aiutarci ma io confido tanto in Michel e in Assotutela.

Un sogno nel cassetto?

Il mio sogno nel cassetto viaggia di pari passo con il mio incubo nel cassetto: il mio timore è quello di avere un’esperienza come paziente in un pronto soccorso.

Vorrei rivedere una sanità pubblica di alto livello, lo siamo stati per anni ora siamo in difficoltà, speriamo di tornare a splendere ancora in efficienza.

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Barbara

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