Io sono Nijinsky

Dopo le repliche milanesi presso il Teatro della Contraddizione, approda al Teatro Trastevere di Roma Daniele Bernardi e i diari di Vaslav Nijinsky, sabato 11 e domenica 12 maggio 2024, rispettivamente alle ore 21.00 e 17.30: l’attore, autore e regista Daniele Bernardi porta in scena la dolorosa vicenda di Vaslav Nijinsky (Kiev, 1889 – Londra, 1950), la leggendaria stella della compagnia dei Balletti Russi. Ad accompagnare il suo assolo, le scenografie e i tessuti sonori di Ledwina Costantini, i costumi di Luisa Beeli e la voce fuori campo dell’attrice-cantante Raissa Avilés.

Il tutto si snoda a Saint-Moritz, nell’inverno del 1918-1919. Da un anno e mezzo trasferitosi in Svizzera in attesa che la guerra finisca, il ballerino Vaslav Nijinsky comincia a dare segni di squilibrio. Anche se non sono chiare le cause del male, più eventi sembrano concorrere al suo manifestarsi e uno pare assumere un ruolo particolarmente simbolico: la notizia della morte del fratello, malato di nervi fin dall’infanzia. Così, mentre il paesaggio elvetico si imbianca, Nijinsky prende a comportarsi in modo incomprensibile gettando una piccola comunità nel caos. E nel farlo redige febbrilmente un celebre diario, che sarà pubblicato solo in un secondo momento.

Elaborando una personale drammaturgia a partire da questo scritto, Daniele Bernardi dedica oggi uno spettacolo alla dolorosa figura del «Dio della danza». E lo fa alternando alle pagine del diario la presenza della moglie Romola, testimone dell’irrompere della pazzia nella vita del marito. Calato in un’atmosfera sospesa, fra diafani abeti e pacchi regalo, attraverso questo racconto lo spettatore è invitato a partecipare ai gelidi giorni di festa che precedettero l’ultima esibizione del grande danzatore. Lo abbiamo intervistato e lui, con grazia e delicatezza, ci ha condotto in questo mondo denso di significati significanti.

Chi era Nijinsky?

Vaslav Nijinsky (Kiev, 1889 – Londra, 1950) è stato una delle figure centrali della danza del Novecento. Cominciò a esibirsi bambino, affiancando i genitori in compagnia della sorella Bronislava, anch’essa destinata a divenire danzatrice e coreografa; il fratello maggiore, Stanislav, avrebbe condiviso lo stesso destino se un grave incidente non l’avesse psichicamente compromesso. In seguito all’abbandono della famiglia da parte del padre, Nijinsky si trasferì con la madre a San Pietroburgo, dove sia lui che Bronislava vennero ammessi alla Scuola Imperiale di Teatro. Da subito notato per le sue doti straordinarie, cominciò a lavorare per il Teatro Mariinskij. In quegli stessi anni incontrò il geniale impresario Sergej Djagilev, allora impegnato nella progettazione di una grande stagione teatrale parigina. Immediatamente coinvolto, Nijinsky intraprese con quest’ultimo una morbosa relazione sentimentale e, nel 1909, inaugurò la leggendaria compagnia dei Balletti Russi nella capitale francese. Qui, a più riprese, trionfò come artista attraverso interpretazioni di opere quali il Pavillon d’Armide, Le Spectre de la rose e Petrouchka. Ma successivamente furono le sue capacità coreografiche a fare ancora più scalpore: le partiture ideate per Après-midi d’un faune di Claude Debussy e Le Sacre du printemps di Igor Stravinsky segnarono un prima e un dopo nella storia del teatro.


Perché cucire uno spettacolo tratto dai diari della stella dei Balletti Russi?

I Diari di Vaslav Nijinsky sono un documento toccante da più punti di vista. Rileggendoli oggi, alla luce del periodo che stiamo attraversando, assumono un valore profetico impressionante, che pare suggerirci come l’attuale condizione mondiale sembri una variazione di quanto avvenuto in passato.
Che cosa rappresenta la Russia nel balletto?

Non sono un esperto in materia e, quindi, non mi reputo la persona adatta per trattare questo argomento. È comunemente noto che la Russia ha avuto un ruolo determinante nella Storia del balletto. Quello che posso dire è, piuttosto, come ho personalmente affrontato il tema dal punto di vista artistico. In Io sono Nijinsky la danza è raccontata alla stregua di una sorta di grande sogno perduto, di universo fiabesco infantile il cui crollo è determinato dall’insorgere della pazzia di Nijinsky in concomitanza alla caduta dell’Impero russo.
Perché il ballerino Vaslav Nijinsky si trasferisce a Saint-Moritz?

A causa del suo improvviso matrimonio con la  nobile ungherese Romola De Pulszky, nel 1913 Nijinsky viene estromesso dai Balletti Russi di Sergej Djagilev. Inizialmente tenta di fondare una compagnia propria, ma gli esiti produttivi sono disastrosi. Divenuto padre della sua primogenita, con lo scoppio della guerra rimane confinato in Ungheria, dove, in quanto cittadino russo, viene messo ai domiciliari assieme alla famiglia presso la suocera. Espatriato grazie a un sudato ingaggio oltreoceano, dall’inverno del 1917 si rifugia a Saint-Moritz con moglie e figlia in attesa che il conflitto volga al termine.

Lì che cosa accade?

Isolato dal mondo, privato del lavoro e della possibilità di esibirsi secondo le sue abitudini, Nijinsky inizia a scivolare inesorabilmente nella follia (alcuni segnali c’erano già stati durante le ultime tournée): fa lunghe passeggiate solitarie, non dorme, tiene strani discorsi in pubblico, disegna compulsivamente figure circolari, aggredisce i domestici ed è preda di allucinazioni.
Quale evento diventa significativo nella sua vita?

Mentre è a Saint-Moritz viene a sapere che, a causa della presa del potere da parte dei bolscevichi, la clinica psichiatrica in cui era ospite Stanislav è stata data alle fiamme e quest’ultimo è morto nell’incendio. È la goccia che fa traboccare il vaso. Dopo il matrimonio, la rottura con Djagilev, la nascita della bambina, lo scoppio della guerra e la caduta dell’Impero, la notizia della fine del fratello appare come un punto di non ritorno. Nijinsky impazzisce.
Un diario pubblicato in un secondo tempo, quanto è importante questo lavoro intimo?

Nijisnky si dedica alla scrittura in modo febbrile, come se questa potesse sostituire la danza e “contenere” la deflagrazione interiore che sta vivendo. Non si tratta, quindi, di un vero e proprio diario ma, piuttosto, di una scrittura inconsapevolmente – e disperatamente – vissuta come pratica auto-curativa. Egli dà enorme importanza a ciò che sta facendo, ma attraverso a delle fantasie megalomani (immagina di pubblicare “il suo libro” per risvegliare le coscienze di tutto il mondo). Ciò che è impressionante in questo scritto è la smisuratezza che lo caratterizza (non per numero di pagine, ma per furia e intensità) e gli squarci profetici che lo attraversano.

 


Perché il «Dio della danza» è una dolorosa figura?

Nijinsky era una sorta di grande innocente, di eterno bambino geniale incapace di provvedere a se stesso. Una specie di “idiot savant”, il cui destino fu posto come al crocevia di una serie di eventi privati e storici decisivi. Nel suo personale grido è come se potessimo sentire la eco di un dolore più grande, appartenente a un mondo al tramonto.

La pazzia come simbolo di esistenza oppure?

La pazzia individuale come riflesso della pazzia del mondo. Questo. Nient’altro.
Lo spettatore a che cosa è invitato a partecipare?

Io sono Nijinsky è uno spettacolo in cui grande importanza è data all’immagine (attraverso costumi, scenografie e oggetti), alla parola e alla Storia. Nel corso della rappresentazione il pubblico è guidato dalla voce fuori campo della moglie Romola, la cui narrazione è puntualmente interrotta dagli interventi di Nijinsky. Si tratta di una cronaca dei giorni che portarono il danzatore al male conclamato e all’internamento in una clinica svizzera. Il tutto è però raccontato attraverso situazioni simboliche, più simili a un sogno che alla realtà.
Chi sono i suoi compagni di viaggio?

Questo spettacolo ha visto la luce grazie a uno straordinario gruppo di lavoro: Ledwina Costantini, che ha realizzato oggetti e scenografie; Luisa Beeli, responsabile dei costumi; Raissa Avilés, alla quale è stata affidata la voce di Romola; Elisa Pagliaro, assistente durante una fase determinante delle prove e collaboratrice al progetto attraverso la realizzazione di alcune creazioni plastiche a sostegno della campagna di raccolti fondi che ha affiancato la produzione; Fabio Bezze, per quanto riaguarda il disegno luci.
Progetti?

Certo che sì, ma preferisco stare zitto. Meglio non vendere la pelle dell’orso prima del tempo.
Desideri?

Un mondo, in ogni senso possibile, meno brutto per tutti.
Passioni?
Quelle di sempre: il teatro, la poesia, l’arte.

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