Dal 9 al 12 maggio a Teatrosophia andrà in scena l’opera: “Le tre figlie del Re” di Flavia Gallo tratta dall’antica leggenda di Lear e Cordelia. La la regia è affidata a Flavia Gallo e Chiara Cavalieri. Nel cast troviamo: Giovanna Cappuccio, Chiara Cavalieri e Giorgia Serrao.

“Le figlie del Re” prende le mosse dalla medievale leggenda di Cordelia, la figlia che salva il vecchio Lear suo padre dalle trame delle sorelle più grandi.

Goneril, Regan e Cordelia sono tre sorelle di oggi che, come quelle dell’antica leggenda, sono convocate per discutere la spartizione definitiva dei beni di famiglia; come quelle tre sorelle sono chiamate a riferire del proprio amore da cui dipenderà la proporzione degli averi ereditati. 

Ma questo Padre non è il Re di un vasto regno: è solo un moderno piccolo imprenditore ambiguo e manipolatore, un sovrano dei sentimenti di tutta la famiglia.

Le tre sorelle si ritrovano nell’anticamera dell’incontro con il loro vecchio genitore che vorrà far subire loro tutto il peso di un debito impagabile.

Attorno a un tavolo da poker, con la complicità del mondo immaginifico delle carte, si sviluppano le difficili relazioni di una famiglia composta da un padre anziano e tre figlie adulte.

Cosa vuol dire essere figlie? E come sono oggi le famiglie nel gioco del passaggio di beni tra le generazioni?

Se lo chiedono Goneril, Regan e Cordelia nelle more di un’attesa snervante che si mischia a tic nervosi e sogni di potere.

Una voce femminile ci racconta con precisione poetica come il dolore della famiglia viaggi dal corpo all’anima, come il dolore perduri se non interviene un atto di perdono reciproco. Solo la pieta della parola può placare l’antica furia della consanguineità.

Abbiamo intervistato Flavia Gallo, drammaturga e direttrice del teatro del Lido di Ostia, co-regista assieme a Chiara Cavaleri, attrice e co-produttrice de Le figlie del Re.

Chi sono “Le figlie del Re”? (risponde Cavalieri)

Goneril, Regan e Cordelia sono le tre figlie di un padre di oggi, unpiccolo “Re” imprenditore. L’uomo le convoca al suo cospetto per discutere le sorti dell’azienda e dei beni di famiglia: si tratta di un padre vecchio, forse non più totalmente lucido e presente a séstesso, un padre ambiguo e sentimentale che ha un immenso bisogno di chiedere l’ennesima prova d’amore alle figlie adulte,già dolorosamente stremate dal gioco manipolativo del genitore.Noi le incontriamo tutte e tre nell’anticamera di questo incontroansiogeno.

Che cosa narra l’antica leggenda di Lear e Cordelia?(risponde Gallo)

La storia di Lear e delle sue figlie era già antica al tempo in cui Shakespeare compose il suo sublime capolavoro e testamento poetico. L’ossatura narrativa originaria ci racconta di un re che scaccia la sua terza figlia a causa delle sue parole giudicate poco generose, non all’altezza delle aspettative del padre. Lui finisce per rimanere irretito nelle trame delle figlie più grandi che, invece,lo avevano soddisfatto con le loro dichiarazioni esagerate. Alla fine Cordelia, la reietta, ritorna per rimettere l’anziano genitore,vittima della cattiveria di Goneril e Regan, sul trono legittimo e per succedergli, pochi anni dopo, come regina.

Perché ispirarsi a questa leggenda? (risponde Gallo)

Per due motivi tematici fondamentali: l’invecchiamento senza saggezza e la richiesta di dichiarazione d’amore filiale. Chiedere ai figli (in questo caso alle figlie) di usare la parola per dire del loro amore davanti a un tribunale dei sentimenti è una “violazione”. Quanto amiamo i nostri padri? Cordelia, con la sua pacata, misurata e ragionevole risposta rimane un esempio di condotta sana. Le due sorelle più grandi, disposte nella parola a magnificare il padre mancheranno di pietas nel momento in cui il vecchio perderà lucidità nella mente e nel corpo. Dunque la leggenda presenta personaggi che si prestano diversamente a rispondere a questa domanda. Nella nostra riscrittura lo fanno anche grottescamente, scivolando su toni comici e leggeri. Infine,sostenere l’immagine di un padre che decrepita nelle membra, declina dolorosamente nel corpo e contemporaneamente sperde lasua capacità raziocinante è motivo di indagine teatrale nonché evento che prima o poi tocca tutti fronteggiare.

Quanto le opere shakespeariane sono ancora attuali?(risponde Gallo)

Oggi tanti classici vengono riscritti e riproposti al gioco-ritodrammaturgico, reagisco e attoriale. Non vi è dubbio che l’impalcatura di questa classicità è definita dai tragediografi greci e da Shakespeare: sono autori capaci di generano un discorso perdurante nel tempo e nello spazio delle culture. L’abilità autoriale è saper cogliere gli elementi fondanti dell’esistere nella forma più prossima all’umanità dei propri contemporanei. Ma Shakespeare ha grandezza scrittoria tale da chiamare in causa gli esseri umani che ci sono, che sono stati e che verranno e che esistono anche dentro a civiltà della rappresentazione lontanissime tra loro. Il dolore di Lear è universale e attuale perché è disponile alla manifestazione in ogni epoca e a ogni latitudine.

Re Lear un uomo dalle mille declinazioni esistenziali?(risponde Cavalieri)

Lear è un uomo che si perde nella collera, non trova il limite dell’agire che la terza figlia gli indica chiaramente con profonda grazia: è sordo al suono di una voce dalla forte potenza sapienziale. Il silenzio e la moderazione della giovane non hanno l’effetto di elevare l’uomo a una verità d’amore più autentica ma ne deformano la percezione. L’uomo non ne riesce a contenere il messaggio rivoluzionario e si incammina in un percorso di follia. Su questa declinazione abbiamo lavorato molto per intercettare un modo di essere padre oggi che ci interessava interrogare come nostro Lear: un padre incapace di sentire e accettare l’esistenza del potere femminile.

Possiamo affermare che il nostro millennio sia un nuovo Medioevo? (risponde Gallo)

Ce lo fanno pensare le guerre, i femminicidi, le morti sul lavoro, l’infelicità dei giovani, la politica che mostra la sua faccia più volgare e tutto lo scempio d’umanità che si dispiega nel mondo a partire dal fatto che non sentiamo più il dolore dell’altro come il nostro, dal fatto che “l’occhio della compassione”, per rubare un’espressione alla Nussbaum, in tutti noi si richiude così facilmente se non lo si allena a un’apertura vigile e costante. Questo training poetico-esistenziale è esattamente ciò che sta alcuore del teatro, tempio della parola relazionata, luogo in cui le conseguenze di azioni e parole umane sono direttamente osservabili, si muovono davanti agli occhi di chi vede come in unperfetto tribunale della verità.

Goneril, Regan e Cordelia perché sono tre sorelle di oggi?(risponde Cavalieri)

Perché vivono sulla scena qualcosa che prima o poi avviene in tutte le case: la vecchiaia di chi ci ha generato unita alla grande problematica della spartizione dei beni di famiglia. La questione che emerge dal fondo è naturalmente quella del conto dell’amore che si è dato e che si è ricevuto. Quanti di noi oggi si cimentato con questo? Cosa dire o fare davanti all’imminente morte di un genitore che abbiamo fino a quel momento dichiarato di odiare? Cosa siamo disposti a fare per avere in vita quel pezzetto di roba in più dalle mani di chi, nella funzione genitoriale, ci ha esposti violentemente sull’altare del suo ego? Sentiamo molte storie di figli e figlie stremati dalla richiesta di amore genitoriale. Proviamo a dire, con Cordelia, che i figli e le figlie non possono mai ripagare il debito d’amore nei confronti di chi ha dato loro la vita e vanno liberati da questo assurdo compito. Però, nonostante tutto,quando tutto la vita di un padre o di una madre sta per concludersi esiste un antico dovere di cura nei confronti degli anziani che è bene onorare, sempre.

E l’amore come si incastona in tutto questo? (risponde Gallo)

Quanto direste che mi amate? È la domanda ragionieristica di Learposta in violazione di un codice preciso: nessun figlio o figlia è in grado di restituire il dono della vita, né a parole né nei fatti. Credono di farlo Goneril e Regan con parole magniloquenti alle quali, poi, fanno seguito gesti ignobili. Cordelia invece tace, non supera la misura che la parola può contenere, viene scacciata ma ritorna quando è il momento di accudire il padre nell’ultima ora. Si tratta di un gesto d’amore incommensurabile, scritto nel codice antico dell’esistenza: nonostante tutto il male scambiatosi in vitasi ritorna per accompagnare i padri e le madri con cura davanti alla morte. Non ci sono spiegazioni ulteriori per questo. È un modo di sentire il mistero dell’esserci.

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La famiglia è il nucleo da cui tutto prende vita? (risponde Cavalieri)

La famiglia è di sicuro la cellula prima di ogni nostra espressione e comprensione umana ma non è l’unica fonte generatrice di ispirazione, identità e direzioni di percorrenza. È nella reciprocità con ciò che circonda la famiglia che le persone si rivelano,nell’espressione e nella comprensione altrui. Questo nostro dramma mostra le conseguenze di un agire più consapevole (spirituale), a fronte di un agire che restituisce il male ricevuto, volontariamente o involontariamente, da chi ci ha generato. Nelle famiglie di oggi ci è sembrato osservare un malessere preciso: il disagio rabbioso di una generazione senza mezzi economici sicuriche deve dimostrare una riverenza infinita, senza tregua, asfissiante che di fatto deforma l’autenticità dell’amore.

Noi mostriamo una famiglia in cui le parole attaccano l’anima ammalando il corpo. Parole come un morbo, un tormento, una persecuzione che deforma. Ma raccontiamo anche come questo enigma del male che discende da una generazione possa sciogliersi con un atto di pietà.

Che padre è Re Lear? (risponde Cavalieri)

Il nostro Lear è un padre invischiante, narcisista, sentimentale, fragile ed egoico che tenta di sostenere e argomentare il male che fa alle sue figlie. Non lo giudichiamo: lo mostriamo come possibile forma di un amore paterno “fuori di sesto” da cui si può imparare a difendersi, prendere le distanze, non rimanere schiacciati.

Esistono padri così anche oggi? (risponde Gallo)

Prima di scrivere questo testo ho provato a leggere su internet (luogo “pubblico” in cui oggi gli essere umani affidano i propri pensieri più profondi come un tempo si faceva attraverso i carteggi privati) lettere, sfoghi, dichiarazioni di figlie e figli che si dicono interamente distrutti e annichiliti da figure genitoriali di questo tipo. Ne avrò lette centinaia. Di certo il teatro non risponde psicologicamente al dolore umano ma poeticamente: mostrando le azioni, le parole e in definitiva le scelte che un personaggio in fieri sceglie di compiere data una situazione drammatica al fine di liberarsi e liberare, mentre il mondo velocemente incombe. Questa è una formula drammaturgica chiara che provo a non tradire davanti a ogni nuova scrittura.

Il poker come si coniuga in questa drammaturgia e che cosa rappresenta? (risponde Cavalieri)

Il tavolo da gioco e le carte sono un’idea registica. Il testo non li contempla ma ci serviva un segno inequivocabile per segnare un ambiente in cui stratagemma, doppiogioco, sospetto potessero costituire il paradigma delle intenzioni in questa particolare famiglia da noi rappresentata.

Chi sono i suoi compagni di viaggio? (risponde Gallo)

Questo progetto è prodotto da Ars29 in collaborazione con Humanitas Mundio Teatro. Sul sodalizio con Chiara Cavalieri, co-regista e attrice di questo spettacolo, da drammaturga posso solo dire che ho il privilegio di lavorare con un’attrice raffinata, intuitiva, ricca di potenza espressiva. Non potevo che giovarmi della vicinanza di un’interprete così evoluta per capire dove il mio scritto fosse debole, per comprendere davvero in quali luoghi dellaprima stesura de Le figlie del Re non ci fosse cogenza e logicaviva. Da regista Chiara Cavalieri ha organizzato il modo di rendere visibile e sensibile un immaginario scrittorio stratificato, di completare e sostanziare la parola di tutti i segni di cui sidispone. Inoltre interpreta Goneril, la sorella più grande, portando sul palco una verve multiforme di cui il personaggio in scrittura era sprovvisto. Giorgia Serrao, nella parte di Regan, è un’attrice precisa di una forza drammatica notevole in cui il dolore dell’essere figlia si manifesta per intero. Giovanna Cappuccio nel ruolo di Cordelia ha avuto l’arduo compito di mostrare un intero percorso spirituale di figlia che, nel silenzio e nel gesto minimo,rivela il più alto grado di sensibilità. Betti Pedrazzi, infine, ha prestato la sua straordinaria voce al nostro Fool.

Progetti? Desideri? Sogni? E poi? (risponde Cavalieri)

Ci piacerebbe rafforzare il nostro ensemble e riuscire a creare delle collaborazioni con altri artisti e altre artiste che desideranodifendere un’idea alta, colta ma trasformatrice della vita dell’arte drammatica e che sentono la necessità di fare cooperazioneaiutandosi a vicenda nella gestazione, nascita e sviluppo di uno spettacolo. Perché quando un’opera riesce è un bene pubblico, ispira accende cambia la vita degli spettatori e delle spettatrici. Inoltre ci proiettiamo su città europee come Berlino e Londra(culturalmente europea nonostante la Brexit) come possibili mete di ricerca e produzione. Desideriamo fare questo mestiere con costanza, profondità e senza affanni, come tutti gli artisti e le artiste di questo Paese. Stiamo preparando uno spettacolo su Medusa, una riscrittura di Flavia nata durante la Biennale di Venezia College Autori del 2022.

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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