In scena dal 28 febbraio al teatro Le Salette “Turandot” di Carlo Gozzi, drammaturgia di Francesca e Natale Barrea, regia di Stefano Maria Palmitessa. Un lavoro intenso e denso della sua cifra enigmatica che coinvolgerà lo spettatore conducendolo nel lontano Oriente. Infatti, il lontano Oriente misterioso e fragrante, imperatori e regnanti di terre sconosciute, la favola della principessa Turandot che giunge in Occidente che si inebria dei suoi misteri e profumi. Il grande impero cinese e il suo imperatore Altoum che si deve districare tra affetti paterni e obblighi pubblici. Timur e Elmaze, sovrani di Astracan, costretti ad abbandonare il regno e nascondere il loro stato regale, ritrovando il sincero affetto della Balia. La principessa Turandot colta, intelligente che sfida i suoi pretendenti a suon di enigmi, facendo rotolare giovani teste coronate. L’intraprendenza di Calaf, principe temerario che non indietreggia nell’affrontare le prove di Turandot, disposto a perdere la vita per conquistarne il cuore. Venezia imponente e graffiante, omaggiata dal Gozzi e dalle maschere che ne sottolineano la supremazia conducendo i personaggi con oculata astuzia e saggezza popolare.

 

“Il copione di Turandot – dice il regista Stefano Maria Palmitessa – “è stato da me affrontato tenendo presente la storia personale che il mio percorso artistico ha prodotto sino a questo momento. Perché ho ritenuto importante definire fin da principio questo collegamento? Negli anni sono andato, sempre più, convincendomi che lo spazio sia un elemento decisivo nella ricerca registica che mi riguarda. Uno spazio particolare con un boccascena ridotto, gli attori visibili talvolta a mezzo busto in una rappresentazione che trova evidenti precedenti nel cosiddetto Teatro dei burattini. Un luogo quindi che potesse consentirmi di poter fare ricorso a interventi a sorpresa. L’azione è quindi limitata a quello che da dietro un grande pannello può essere rubato, sbirciato dal pubblico privato della canonica visuale a tutto campo. La centralità dei pannelli che utilizzo (baracchini, tende ecc.) significa che l’idea del in mezzo è cruciale per me, affascinato sempre più dai sipari… dalle porte. Nei miei spettacoli abbondano le soglie, spazi che evocano un passaggio da un mondo a un altro. A volte possono essere visti solo frammenti corporei o brevi azioni compiute dagli attori sul palco. Una selezione del materiale fantastico ed espressivo/drammaturgico rigorosa, affinché qualunque azione avvenga davanti agli occhi dello spettatore possa avere il risalto di un’epifania.  Si tratta in altre parole di capovolgere l’abituale visione. La scenografia non rappresenta più l’ambiente sociale in cui prendono vita i personaggi dell’azione drammatica né un fondale decorativo della stessa. Essa deve, con la mimica e una recitazione venata di sense of grotesque, interpretare il dramma, sottolinearne i significati segreti. Una ricerca aperta al dubbio e ai problemi dell’espressione; per certi aspetti così antica e così rivoluzionaria nella sua tensione all’essenziale sia della parola sia del gesto”. Non solo, Stefano Maria Palmitessa, ci racconta molto di più.

Il 28 febbraio debutta “Turandot” di Carlo Gozzi, di cui ha curato la regia, può raccontarci qualcosa?

Turandot, principessa colta e intelligente sfida i suoi pretendenti a suon di enigmi, facendo rotolare giovani teste coronate. Il principe Calaf temerario decide di sfidarla anche a costo di perdere la vita. Questa è la trama nota a tutti, ma nell’opera di Gozzi si inseriscono altri elementi che partono dall’omaggio alla supremazia e alla potenza di Venezia, alla sua ferrea convinzione di commedia, delle maschere in polemica con Carlo Goldoni, e all’ ironica visione delle credenze e usanze dell’impero cinese.

Giacomo Puccini ne trasse ispirazione per la sua ultima opera lirica, che cosa invece ha ispirato Palmitessa?

Ho affrontato il copione di Turandot tenendo presente la storia personale che il mio percorso artistico ha prodotto, un elemento decisivo nella mia ricerca registica riguarda lo spazio, un boccascena ridotto, un luogo in cui poter fare ricorso a interventi a sorpresa.

Possiamo definirla una fiaba moderna con radici orientali?

Una fiaba intrisa delle crudeltà tipiche delle favole e con il lieto fine.

L’oriente cosa rappresenta?

L’oriente rappresenta il mistero, le fragranze, i profumi, le affascinanti storie da Mille e una notte e da Mille e un giorno.

Quali sono i tre enigmi di Turandot?

Gli enigmi sono il fulcro attrattivo della trama, lascio agli spettatori il piacere di svelarli.

Anche nella sua drammaturgia c’è la frase “nessun dorma”?

Non c’è “Nessun dorma”, le musiche che ci portano nel lontano oriente sono composte da Giovanna Castorina.

Nella nostra epoca dove si può ritrovare una Turandot?

Ogni donna è una Turandot, che oscilla tra la spietatezza e la fragilità dell’animo, pronta a combattere per la propria libertà e indipendenza ma altrettanto pronta a cedere per amore e passione.

Ci sono ancora dei Calaf nella nostra epoca che fanno di tutto per conquistare il cuore dell’amata?

Un sentimento di tale profondità come l’amore rimane universale, non limitato ad un’epoca, ma parte ineluttabile degli esseri umani.

Qual è il senso e il significato profondo della Turandot?

La costellazione di sfumature dei sentimenti umani che si cerca di controllare, indirizzare per comprendere e per dedurne alla fine che desistere non è una resa ma una crescita.

Dietro a ogni maschera si cela la verità, è vero?

Il nascondersi per svelare.

Secondo lei l’estetica è importante?

Certamente, e in questo spettacolo le scene nere e costumi bianchi, che in scena verranno illuminati e colorati, sono un rimando alla tipica estetica cinese piena di colori con il rosso che prevale; i costumi sono realizzati da Mary Fotia.

Chi sono i suoi compagni di viaggio?

Sono un gruppo di otto attori composto da Arina Sazontova, Giovanna Castorina, Alessandro Laureti, Mary Fotia, Marco Laudani, Carmen Pompei, Simone Proietti, Giovanni Prattichizzo

L’impianto scenico cosa prevede?

Uno spazio particolare, ridotto, in cui si vedono frammenti corporei, brevi azioni, attori visibili a volte a mezzo busto con richiamo al Teatro dei Burattini.

Il pubblico come accoglierà la sua Turandot?

Si troverà davanti ad una messa in scena lontana dalla celebre opera di Puccini, con una ricostruzione drammaturgica curata da Francesca e Natale Barreca, incentrato sull’astuzia e la saggezza popolare delle maschere care a Gozzi e a Venezia.

In questo mondo che vive e viaggia tutto nei social c’è spazio per una Turandot?

Credo proprio di sì.

Quante altre infinite idee ci sono nello scrigno della sua fantasia?

Ancora tanto materiale fantastico, da esprimere e realizzare, e mettere in scena su un palcoscenico, luogo che permette alla mente di arricchirsi e immergersi in altri mondi.

Andrete in tour?

Parteciperemo a dei Festival.

Progetti?

Allestimento di un altro spettacolo.

Vuole aggiungere altro?

Grazie per l’intervista.

 

Psicologa, Psicoterapeuta, Criminologa, Giornalista, Blogger, Influencer, Opinionista televisiva.

Autrice di numerosi saggi e articoli scientifici.

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