Mentre l’inchiesta sulla morte di Liliana Resinovich prende una nuova piega, con l’iscrizione del marito Sebastiano Visintin nel registro degli indagati per omicidio, l’uomo si trova lontano da Trieste. Ha scelto la Carinzia, una regione tranquilla e silenziosa del Sud Austria, come luogo di “riposo e ristoro”. Un momento che definisce necessario per la sua salute, ma che inevitabilmente si scontra con lo sguardo pubblico e mediatico che da mesi – se non da anni – cerca una verità nel caso Resinovich, una delle vicende più controverse e dolorose degli ultimi tempi.
Liliana Resinovich è scomparsa il 14 dicembre 2021. Il suo corpo verrà ritrovato il 5 gennaio successivo, in un’area boscosa non lontana da casa. Avvolta in sacchi della spazzatura, con due sacchetti infilati in testa, in uno scenario che da subito ha lasciato spazio a interpretazioni e sospetti. Inizialmente l’ipotesi suicidaria aveva trovato spazio nelle carte, ma troppe domande restavano senza risposta: l’assenza di biglietti d’addio, la posizione del corpo, l’ambiguità degli ultimi movimenti.
Nel corso del tempo, la figura di Sebastiano Visintin – marito della donna, fotografo in pensione di 72 anni – è rimasta costantemente al centro dell’attenzione mediatica. Non tanto per un’accusa diretta, quanto per il suo atteggiamento: talvolta distante, altre volte quasi teatrale, spesso difficile da decifrare. Oggi, con il suo nome formalmente iscritto tra gli indagati, la procura pare voler percorrere un sentiero investigativo più preciso, alla luce di nuove acquisizioni e rilievi.
La reazione di Visintin a questa svolta? Apparentemente serena. Ha confermato di essere partito all’alba per recarsi in Austria, scegliendo come meta una località benessere tra laghi e montagne. Sauna, amici storici, passeggiate in bicicletta e “belle signorine”, come ha dichiarato in un’intervista telefonica, sono il suo programma per le giornate a venire. Parole che lasciano interdetti non tanto per il contenuto, quanto per il tono: un contrasto quasi dissonante rispetto alla gravità del momento.
È davvero solo un tentativo di staccare la spina, o una forma di fuga psicologica da una realtà sempre più complessa?
I legali di Visintin parlano di “atto dovuto”, sostenendo che l’indagine a suo carico sia una formalità necessaria per poter eseguire nuove attività investigative. Nessuna prova schiacciante, a loro dire. Nessun elemento realmente nuovo. Tuttavia, il cambio di status – da persona informata dei fatti a indagato – è un segnale chiaro che qualcosa si sta muovendo, e che gli inquirenti ritengono necessario esplorare più a fondo il ruolo del marito.
Nel frattempo, la scena si sdoppia: da una parte le stanze della procura, dove si cercano risposte; dall’altra un hotel di montagna, dove Visintin si rilassa e distrae.
La morte di Liliana Resinovich resta avvolta da troppe ombre. E la figura di Sebastiano, oggi più che mai, sembra dividersi tra due dimensioni inconciliabili: quella dell’uomo che ha perso la moglie e quella del possibile responsabile. La verità, forse, è ancora lontana. Ma una domanda – sussurrata da tempo e oggi tornata prepotente – resta sul tavolo: cosa è davvero accaduto tra le mura di quella casa, in quei giorni di dicembre?
E soprattutto: chi era Liliana, prima di diventare un caso di cronaca? E ancora chi ha ucciso Liliana?