Santi, balordi e poveri cristi

Al teatro Trastevere lo spettacolo “Santi, balordi e poveri cristi” di e con Giulia Angeloni e Flavia Ripa. È uno spettacolo di affabulazione e musica, ispirato a motivi tratti dalla tradizione popolare, per lo più italiana. Si articola in un’ora e mezzo circa di performance ed è composto da un susseguirsi di racconti, fiabe, cantate popolari, in una cornice che strizza l’occhio alla tradizione del teatro dei giullari e dei cantastorie.

 Lo spettacolo ha ricevuto molti premi e riconoscimenti solo per citarne alcuni: Vincitore del premio ECEPLAST al TROIATEATRO Festival 2014, Menzione speciale al PREMIO SCINTILLE ASTI TEATRO 2014, Vincitore Premio degli allievi presso Premio Giovani Realtà del Teatro Udine 2013, Nomination Special Off ROMA FRINGE 2015, Vincitore Premio critica e pubblico CASTELBUONOTEATRO festival 2015.

La storia della drammaturgia narra di Banja e Sharazade che, nella speranza di liberarsi dei fenomeni da baraccone con i quali sono costretti a convivere, incontrano sulla propria strada personaggi ancora più strampalati, di cui volenti o nolenti di ritrovare a essere cantrici ogni sera, nei propri spettacoli sgangherati. Una corte di miracoli fatta di Santi, balordi, freaks e disadattati. Come il bambino nato con due teste da un padre che lo voleva il più intelligente del mondo, Scimmietta che si innamora di uno che sente cantare per strada dalla sua cella di regina Coeli, le tre vecchie al balcone che sognano uno Sceicco come quelli del cinematografo, o ancora Gesù Cristo e San Pietro in giro per il mondo in incognita, protagonisti di una serie di avventure comiche e picaresche. Abbiamo intervistato Giulia Angeloni e Flavia Ripa.

Ci sono ancora: “Santi, balordi e poveri cristi”?

F: Certo, noi usiamo questa formula nel titolo sia per segnalare concretamente i personaggi che compongono lo spettacolo, sia per citare categorie universali e quindi anche moderne. Cioè in fin dei conti “avere santi in paradiso “ significa godere della protezione di una persona influente. In realtà” Balordo” è propriamente uno sciocco o uno strampalato, ma in senso morale il balordo conduce una vita equivoca. E i poveri cristi? A volte ci vedo tutti quelli costretti a fare i conti con una vita difficile sin dalla nascita o chi è costretto a lavori miseri e non invidiabili pur di sopravvivere. Che so, persone meno abbienti,  studenti, stranieri, che pagano lo scotto della iniquità sociale e morale. Ci sono ancora, sì.

Chi sono i santi? I balordi? I poveri cristi?

G: Nelle nostre storie tutti i personaggi si ritrovano ad essere tutte queste tre cose insieme. C’è chi è balordo perché in fin dei conti è un povero cristo, il senso di umanità lo trovi dove meno te lo aspetti e persino i santi in fin dei conti non lo sono poi troppo: Gesù e San Pietro fanno piccole truffe con i miracoli e tirano a campare con mezzucci di fortuna.

Avete scritto e interpretate l’opera perchè questa scelta?

G: Con questo spettacolo abbiamo debuttato dieci anni fa ed è stata la prima volta che ho deciso di portare in scena qualcosa di mio – nostro, in questo caso. E nel fare questo lavoro ho capito che la mia vocazione era un po’ questa, fare un lavoro autoriale oltre che attoriale. Prendere la parola per raccontare quello che mi sta a cuore. 

Il lavoro di attrice è una parte del lavoro che amo tantissimo ma è quasi più un mezzo per me, il tramite per poter raccontare una storia.

Che cosa vi ha portato a scrivere uno spettacolo di affabulazione e musica, ispirato a motivi tratti dalla tradizione popolare, per lo più italiana?

F: In occasione di una data teatrale che mi era stata proposta nell’estate del 2014 in Puglia, a casa mia, ho intercettato il desiderio di Giulia di fare qualcosa assieme, qualcosa che si potesse fare ovunque, anche in contesti non squisitamente teatrali: lo abbiamo portato in piccoli club, librerie, castelli, borghi, in strada, case private. Siamo state alla mensa di un centro per senza tetto e persino in un monastero di clausura!

Ci è sembrato che la fiaba fosse un patrimonio estremamente interessante sia per i temi controversi che affronta, sia per la tecniche di affabulazione che volevamo approfondire. 

La fiaba ci consentiva di parlare di cose poco dicibili, complesse e moralmente scottanti. Assecondava il nostro desiderio di interrogarci su temi universali e di giocare con la nostra passione musicale, ciò che anche accomuna me e Giulia.

Parte della natura della fiaba, è proprio la musica. Formule, ripetizioni, canzoni e suoni onomatopeici, compongono i racconti, e noi abbiamo preso qualcosa di quella musicalità. Peraltro abbiamo riscritto, ispirandoci alla novella “il ragazzo a due teste” di Ema Perodi, la nostra versione “La canzone di Melo”, che è un racconto tutto in musica. Lo ascolterete a teatro.

Quali sono i punti cardine di questo lavoro teatrale?

F: E’ teatro d’attore, pochi oggetti, e nessuna scenografia, solo due valigie da cui possiamo immaginare esca di tutto. 

Al centro dello spettacolo c’è una storia, più d’una, divertente e amara al tempo stesso. Il racconto è affidato interamente all’attrice che attraverso il riuso dei dialetti e della musica, come da tradizione, evoca quei momenti in cui ci si racconta storie bizzarre un po’ per sognare, un po’ per giocare al farsi paura. 

I giullari e i cantastorie sono ancora così significativi?

G: Il bisogno di racconto accompagna le donne e gli uomini da sempre. Il racconto orale è una delle forme più potenti e dirette per passarsi delle storie. I mezzi per narrare ormai sono moltissimi, interessanti e ricchi di possibilità. Nonostante questo, l’oralità per me ha delle possibilità preziose, richiede all’immaginazione dell’ascoltatore una collaborazione importante, è in qualche modo un arte della relazione. Si viaggia insieme, incontrandosi nel qui e ora.

F: I cantastorie servono a tramandare la memoria di persone e cose, passati lontani quasi mitici, che rischiano di essere dimenticati fra libri polverosi. 

Avete ricevuto molti premi potete parlarcene?

F: dieci anni fa, quando lo spettacolo è nato, eravamo un duo under 35 e abbiamo avuto il piacere di essere premiate  o menzionate presso concorsi per giovani compagnie. Questi riconoscimenti ci hanno aiutato a viaggiare e replicare il lavoro fino ad oggi e farci conoscere da più persone.

Gli spettatori come accoglieranno l’opera?

F: Noi crediamo con un sorriso. E’ stato spesso così in questi anni, ma sai, ci sono pubblici più rumorosi e altri più riflessivi. Noi giochiamo a farli ridere ecco. 

Chi sono Banja e Sharazade?

G: Sono due cantastorie girovaghe, dicono di venire da un circo e di essere andate via perché non ne potevano più dei fenomeni da baraccone che avevano sempre attorno.

Mille e una notte c’entra qualcosa?

G: Certo. È una citazione ironica della Sharazade delle mille e una notte. Abbiamo deciso di chiamare così una delle due narratrici perché volevamo un nome che richiamasse un esotismo da ciarlatane.

Ma è anche un omaggio a un personaggio che fa dell’incanto del racconto un mezzo salvifico per sé e per le altre.

Chi sono i personaggi di questo lavoro?

F: C’è Scimmietta, carcerata del Regina Coeli che si innamora di uno che sente cantare dalla cella, c’è Melo, un pittore formidabile che ebbe un ragazzino la cui intelligenza era talmente tanta, che un sola testa non poteva contenerla. Poi ci sono Gesù e Pietro in giro in incognita durante una gita in Italia fatta di avventure al cardiopalma, e le tre vecchie del Quadraro, che sognano ancora il grande amore, “Lo sceicco del cinematografo”, e farebbero qualsiasi cosa pur di averlo per se. 

Progetti?

F: Di progetti ce ne sono tanti, e continuiamo a portarli avanti anche separatamente. Io spero di tornare presto a Roma con un mio lavoro dal nome Attilio di cui sono ideatrice e attrice e che ha debuttato a marzo del 2024 a Milano.

G: Al momento porto in giro altri due spettacoli a cui tengo molto,  “Che si trovino male”, di cui sono autrice e interprete – realizzato con la mia compagnia “I Franchi” – un racconto teatrale che recupera le memorie delle scuole di borgata negli anni ’60 e ’70 nei baraccamenti romani e “La soffitta di Chopin” di cui sono co- autrice, attrice e animatrice, uno spettacolo di teatro d’ombre e attore, una fiaba magica ambientata a Parigi negli anni ’20 sul tema dell’ispirazione artistica, realizzato con il gruppo Luci Ferrigne.

E poi volete aggiungere altro?

Grazie per lo spazio che ci avete dedicato, ci vediamo a teatro!

 

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