“La cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è il suo tempo. Non sono le parole, non sono i fiori, i regali. È il tempo. Perché quello non torna indietro, e quello che ha dato a te è solo tuo, non importa se è stata un’ora o una vita(David Grossmann)”. Giuliana Maglia debutta al Festival Teatro Marconi con uno spettacolo di danza che attraversa l’itinerario del tempo in tutte le sue variegate declinazioni. “The time is out of joint”, il tempo è scaduto vedrà nel palco: Madalina Banescu, Matteo Bonsignore, Laura Di Biagio, Giuliana Maglia, Federica Pinna. Uno spettacolo che oltre a portare lo spettatore nel mondo della danza dove l’emozione scorre nelle vene lo condurrà a fare una riflessione significativa sul senso e il significato del tempo.
Cara Giuliana, parlaci di te. Chi sei?
Ciao! Mi presento: sono una ragazza di quarantun anni, tarantina di nascita ma romana di adozione. Sono danzatrice, coreografa, architetto (non attualmente praticante), insegnante di pilates e fitness, moglie innamorata, mamma follemente innamorata del mio Lorenzo di tre anni. Amo la musica, mi piace viaggiare e conoscere altre culture, adoro camminare, perché camminare mi fa percepire e toccare con mano l’energia che ho e le risorse del corpo. Amo i libri e i film fantasy perché sono spesso storie di amicizie incredibili, di lotta comune contro un male che sembra insormontabile ma che, seppur non senza difficoltà, alla fine viene sempre sconfitto. Sono sensibile, anche troppo, generalmente pacifica e sorridente. Sono molto disordinata, tendo ad essere pigra quando si tratta di fare qualcosa che non mi piace. Amo stare in compagnia delle persone, infatti, ho sofferto moltissimo il periodo di lockdown. Forse come risposta alla domanda bastava la prima frase ma ho voluto darti un quadro leggermente più ampio.
E la danza bussò nella tua vita così che hai deciso di inseguire un sogno, raccontaci di più?
Sono nata che già mi piaceva la danza. Mamma mi raccontava che da piccolissima guardavo i balletti classici che trasmettevano in tv e nonostante fossi davvero piccola restavo attenta per un tempo considerevole. Ho iniziato a cinque anni in una scuola di danza a Taranto (la città dove sono nata), la mia insegnante era americana, Leslie Levitt.
Cosa ricordi?
Ricordo benissimo il primo momento in cui misi piede nella sala di danza: mia mamma parlava con l’insegnante e io mi misi a girare, saltare, correre, mi sentivo quasi volare e in quel momento pensavo di essere una principessa. Da allora quell’energia che ho sentito non mi ha mai abbandonata, è stato amore al primo colpo.
Hai studiato solo danza?
Nella vita non ho fatto solo danza, sono venuta a Roma per studiare architettura continuando a studiare danza fino a quando ho deciso di provare l’audizione per il corso di avviamento professionale alla scuola e compagnia di Renato Greco. Non avevo fiducia di essere presa, invece poi è andata bene. Il Maestro Renato Greco è una persona incredibile, gli sarò per sempre riconoscente. Poi c’è stato l’incontro con la coreografa Paola Scoppettuolo che ha letteralmente cambiato la mia visione e percezione della danza: a lei devo moltissimo, con lei il mio corpo e il mio modo di danzare sono cambiati, ha restituito sincerità al mio movimento e da quando ho lavorato con lei ho iniziato a fare della danza un mezzo per poter comunicare, per dire con il corpo e con i gesti quello che con le parole non sarei mai riuscita ad esprimere.
E poi?
È nata l’esigenza di mettere su una mia compagnia: la Compagnia ECHOES, nata nel 2010 e ancora, nonostante tutte le difficoltà, in vita. È un sogno realizzato, per il quale non smetterò mai di ringraziare tutti i danzatori che negli anni mi hanno seguita e aiutata a dare corpo e anima alle mie idee.
Cosa accade quando: “il tempo è scaduto?”
Quando il tempo è scaduto possono accadere diverse cose: ci si può trasformare in degli zombie che non hanno più stimoli, che si lasciano vivere dal tempo, oppure in dei “runners” che vivono tutto affannandosi in una eterna corsa senza un vero traguardo, oppure ancora in degli “zavorrati” che non riescono più a muovere un passo, oppure ancora in degli “schiacciati” che sentono il peso di questa scadenza.
Ognuno ha una data di scadenza che apre verso altri itinerari, a te mettono ansia le date che scadono o ti stimolano verso altri orizzonti?
Le date di scadenza nella vita sono molte, poiché ci si può sentire scaduti a qualsiasi età a seconda del contesto con cui ci confrontiamo. È proprio questo il vero problema: il contesto, che spesso ci fa sentire come se non ci fosse più tempo per fare qualcosa o peggio come se alcune cose si possano fare solo entro un certo tempo. In realtà la mia reazione nei confronti delle scadenze (soprattutto quelle imposte dalla società) è cambiata. A 30 anni le vivevo con ansia soffocante, mi era stato detto che il mondo era per gli under 30. Invece poi gli anni dai 30 ai 40 sono stati i più belli, e pieni di consapevolezza rispetto a quelli dai 20 ai 30. Basti solo vedere che a 30 anni mi sentivo scaduta come ballerina e invece poi la danza è entrata ancor di più nella mia vita.
Veniamo al tuo spettacolo che parla appunto del tempo in tutte le sue declinazioni, perché questa scelta così densa di significati?
Il tempo è un argomento che mi appassiona da sempre. È già il terzo spettacolo che tocca questo tema dopo “L’asse di equilibrio” e “My time is not your time”. Non so, sarà una mia debolezza, un’eterna questione irrisolta, ma ogni volta che mi metto a pensare all’argomento “tempo” mi vengono in mente nuove idee, nuove risposte, nuove immagini.
Quanto è difficile dirigere e creare le giuste coreografie?
La fase della creazione è in assoluto la più bella. Di solito mi lascio guidare dal come avviene il processo: se le cose vengono fuori facilmente vuol dire che sono sulla strada giusta, se il processo diventa macchinoso allora c’è qualcosa che non funziona, bisogna fare un passo indietro.
A cosa ti ispiri quando prepari uno spettacolo?
Di solito parto con un bisogno di comunicare qualcosa, poi accumulo informazioni intorno a me che mi aiutano nell’elaborazione, spesso una fotografia, una musica, un odore, e da lì partono alcune immagini mentali, come dei flash, che poi vado a riprodurre in danza.
Hai un maestro a cui ti ispiri?
Alla coreografa Paola Scoppettuolo con cui ho lavorato e a cui devo moltissimo, ovviamente alla grandissima Pina Bausch, e al coreografo Akram Khan. Ma credo (e spero) che nelle mie coreografie ci sia tutto quello che di me hanno saputo tirare fuori tutti i Maestri che ho avuto e ai quali dirò sempre grazie!
Quando ci ritroviamo a vivere in un tempo “fuori dai cardini”?
Quando non siamo sincronizzati con il momento presente, pensando di doverci affannare per fare più cose possibili, proiettandoci sempre al futuro, mettendo il futuro come baricentro. In questo modo ci sentiamo sempre scaduti.
Cosa si può fare quando il tempo diventa inafferrabile?
In realtà sono le “occasioni perse” che ci fanno sentire che il tempo sia inafferrabile. Basterebbe riflettere un attimo e pensare che se abbiamo deciso di perdere quelle occasioni forse era giusto perderle in quel preciso momento. Soprattutto dobbiamo smetterla di pensare che non ce ne siano di nuove e di migliori.
Pensando al futuro come baricentro mi viene in mente questa frase: “- Alice: Per quanto tempo è per sempre? – Bianconiglio: A volte, solo un secondo?”. Cosa ne pensi?
Spesso si mette il futuro come baricentro perché si pensa che la felicità, la realizzazione o la semplice tranquillità siano tutte cose da dover raggiungere, che non appartengono al momento presente. In realtà siamo solo noi spesso incapaci di vedere le cose belle nel presente e ci perdiamo tutto, ci perdiamo la vita perché la vita è fatta di singoli istanti che si susseguono e che hanno tutti un valore immenso.
Come sarebbe la vita senza l’orologio?
È una visione certamente utopica della vita, anche se il tempo è un’invenzione umana, un modo di misurare ciò che non è misurabile e quantificabile, per alcune cose l’orologio è utile, per darsi degli obiettivi, anche per guardare indietro e accorgersi di quanto si è fatto e realizzato. Bisogna però avere anche il coraggio di distruggere l’orologio quando misurare il tempo diventa tossico per la nostra vita.
Quanto è importante vivere nel qui e ora?
È importantissimo “stare nel momento presente” che non vuol dire vivere alla giornata ma vivere ogni momento come se fosse l’ultimo, dandogli il giusto valore, essendo grati anche delle piccole cose e amarsi un po’ di più.
C’è un modo per non far scadere il tempo?
Sicuramente già il semplice fatto di non mettersi a confronto e in competizione tossica con gli altri è una strada per non sentirsi scaduti, perché ognuno di noi ha la sua storia, ha combattuto e combatterà le sue battaglie; quindi, guardare chi ha “fatto” di più o di meno di noi non ha alcun senso, perché le vite non sono confrontabili in quanto uniche.
Il tuo spettacolo sarà in tour?
Partiamo ora con questo debutto al Teatro Marconi, poi in autunno saremo al Teatro Manfredi a Ostia, al Teatro Ygramul di Roma con data doppia, stiamo lavorando a date su Napoli e altre su Roma. Teniamo le dita incrociate.
Progetti autunnali?
Vedi sopra.
Un sogno nel cassetto del tempo?
Un mio grandissimo sogno sarebbe quello di riessere insieme a tutti i danzatori che negli anni hanno fatto parte della compagnia, rimontare in tantissimi la coreografia “Echoes” per poi portarla in giro per il mondo. È troppo come sogno? Per fortuna per poterlo realizzare c’è ancora tempo.