Si è spenta oggi la voce che per oltre un decennio ha parlato al cuore del mondo. Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio, è morto lasciando un vuoto profondo nella coscienza collettiva di credenti e non credenti. Non solo il primo Papa gesuita e il primo latinoamericano a salire al soglio di Pietro, ma soprattutto un pontefice dell’essenziale, della misericordia, della tenerezza. Un pastore che ha camminato tra la polvere della terra per alzare lo sguardo del mondo verso il cielo, senza mai distogliere lo sguardo dai più fragili.
Nel silenzio che ora avvolge il Vaticano, risuona l’eco delle sue parole, delle sue carezze agli ultimi, del suo sguardo stanco ma sempre acceso dalla fede. Francesco non è stato solo il Papa dei gesti rivoluzionari – come lavare i piedi ai detenuti, aprire le porte della Chiesa ai migranti, denunciare la “globalizzazione dell’indifferenza” – ma è stato un uomo che ha saputo soffrire con il mondo, ridere con la gente, pregare con l’umanità intera.
Il suo pontificato è stato una carezza nei tempi duri, una voce ferma quando la speranza sembrava vacillare. In un’epoca frammentata da guerre, crisi climatiche, solitudini silenziose, Francesco ha indicato la fraternità come unica via, l’ascolto come medicina del cuore, l’umiltà come rivoluzione spirituale.
Era il Papa che usava le parole dei bambini, che predicava il Vangelo a partire da una sedia a rotelle, che chiamava tutti “fratelli” e “sorelle” anche quando parlava ai potenti. La sua voce, a tratti tremante per la malattia, non ha mai smesso di scuotere le coscienze. “Chi sono io per giudicare?” – quella frase rimarrà scolpita come simbolo della sua Chiesa aperta, accogliente, umana.
Oggi il mondo piange un uomo che non si è mai sentito sopra gli altri, ma accanto. Che ha scelto il nome di Francesco per abbracciare la povertà, la pace, e il rispetto per la creazione. E lo ha fatto fino alla fine, fino all’ultimo respiro.
Le campane di San Pietro ora suonano a lutto, e con loro piangono le favelas di Buenos Aires, i vicoli di Roma, i deserti della Siria, le piazze d’Europa, le periferie dimenticate dell’Africa e dell’Asia. Tutti i luoghi che il Papa ha amato, tutti i volti che ha benedetto con uno sguardo, una parola, un silenzio pieno di significato.
Papa Francesco non è morto. Si è fatto seme. E come ogni seme, germoglierà nei cuori di chi l’ha ascoltato, nei gesti quotidiani di chi ha creduto con lui che l’amore, e solo l’amore, può cambiare il mondo.
Nel cielo di Roma, stanotte, una luce resterà accesa più a lungo. Forse sarà solo una candela. Forse, sarà l’anima di un Papa che ha voluto bene al mondo. E il mondo, oggi, glielo restituisce.